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«Sì,» disse Tanis, grattandosi la barba. «Ha qualcosa a che fare con Raistlin, anche se non sono sicuro di che cosa si tratti. Abbiamo incontrato Tas a Palanthas. Ha cominciato a raccontarci una delle sue storie - ho avvertito Crysania che soltanto la metà di quello che dice è vero, e anche quella metà sono insensatezze, ma è probabile che lui sia riuscito a convincerla a mandarlo alla ricerca di una persona che lei pensa possa aiutarla a recuperare Raistlin!»

«Quella donna potrà anche essere un sacro chierico di Paladine,» dichiarò Riverwind con severità,

«e possano gli dei perdonarmi se parlo male di uno dei loro prescelti, ma io penso che sia matta.»

Fatta che ebbe questa dichiarazione, si mise l’arco a tracolla e si apprestò a partire.

Tanis scosse la testa. Mettendo un braccio sulla spalla di Tika, la baciò. «Temo che Riverwind abbia ragione,» le disse con voce sommessa. «Tieni d’occhio Dama Crysania mentre è ospite qui da noi. Farò una chiacchierata su di lei con Elistan, quando torneremo. Mi chiedo quanto in realtà sapesse di questo suo piano avventato. Oh, e se Tasslehoff si farà vivo, trattienilo qui, per favore. Non voglio che mi compaia a Qualinost! Già senza di lui avrò abbastanza problemi con Porthios e gli elfi!»

«Certo, Tanis,» rispose Tika con voce sommessa. Per qualche istante si strinse a lui, lasciandosi confortare dalla sua forza e dalla compassione che poteva percepire nel suo tocco e nella sua voce.

Tanis esitò, tenendola a sé, riluttante a lasciarla andare. Lanciando un’occhiata all’interno della piccola casa, poteva sentire Caramon che piagnucolava nel sonno.

«Tika...» cominciò a dire.

Ma lei lo spinse via. «Vai, Tanis,» gli disse con voce ferma. «Ti attende una lunga cavalcata.»

«Tika, vorrei...». Ma non c’era niente che lui potesse dire per aiutarla, e lo sapevano tutti e due.

Voltandosi lentamente, Tanis si avviò con passo pesante dietro a Riverwind.

Seguendolo con lo sguardo mentre si allontanava, Tika sorrise.

«Sei molto saggio, Tanis Mezzelfo. Ma questa volta ti sbagli,» disse fra sé mentre era lì sola, sulla veranda. «Dama Crysania non è matta. È innamorata.».

Capitolo quarto.

Un esercito di nani stava marciando nella camera da letto, i loro stivali dalle suole d’acciaio facevano TONF TONF TONF. Ognuno dei nani aveva un martello in mano e, passando accanto al letto, lo picchiava sulla testa di Caramon. Caramon gemette e sbatté le mani in aria, debolmente.

«Andate via!» borbottò. «Andate via!»

Ma i nani si limitarono a rispondere sollevando il letto sulle loro spalle robuste e facendolo ruotare sempre più veloce, mentre continuavano a marciare, sbattendo i loro stivali sull’assito, TONF

TONF TONF.

Caramon si sentì afferrare da un conato di vomito. Dopo parecchi tentativi disperati riuscì a balzar fuori dal letto turbinante e a precipitarsi con movimenti goffi verso il vaso da notte che si trovava in un angolo della Camera. Dopo aver vomitato, si sentì meglio. Gli si erano schiarite le idee. i nani erano scomparsi, anche se sospettò che si fossero nascosti sotto il letto in attesa che lui tornasse a coricarsi.

Invece aprì un cassetto del minuscolo comodino dove teneva la sua fiaschetta di spirito dei nani.

Scomparsa! Caramon corrugò la fronte, così, Tika aveva ricominciato con quel gioco, vero?

Sorridendo compiaciuto, Caramon raggiunse barcollando la grande cassapanca sull’altro lato della stanza. Sollevò il coperchio e frugò in mezzo alle tuniche, ai calzoni e alle camicie che non erano più in grado di contenere il suo corpo inflaccidito. Eccola là, ficcata dentro un vecchio stivale.

Caramon tirò fuori la fiaschetta con amore, inghiottì un sorso di quel liquore di fiamma, ruttò ed esalò un sospiro. Ecco, il martellio nella sua testa era scomparso. Lanciò un’occhiata tutt’intorno.

Che i nani restassero pure sotto il letto. Non gliene importava.

Dall’altra stanza giunse un tintinnio di vasellame. Tika! In fretta e furia Caramon trangugiò un altro sorso, poi chiuse la piccola fiasca e la ricacciò dentro lo stivale. Chiuse il coperchio della cassapanca senza fare il minimo rumore, si raddrizzò, si passò una mano tra i capelli arruffati, e fece per uscire nella zona del soggiorno. Poi s’intravide nello specchio mentre passava.

«Devo cambiarmi la camicia,» borbottò con voce impastata.

Dopo essersi dimenato a lungo e aver tirato a tutto spiano, si sfilò la camicia sudicia che aveva addosso e la buttò in un angolo. Forse avrebbe dovuto lavarsi? Bah! Che cos’era... una donnicciola?

D’accordo, puzzava - era un odore di maschio. Un mucchio di donne lo trovavano attraente! Loro non si lamentavano né lo rimbrottavano mai, non come Tika. Perché lei non poteva prenderlo così com’era? Lottando per infilarsi la camicia pulita che aveva trovato ai piedi del letto, Caramon si sentì dispiaciuto per se stesso. Nessuno lo capiva... la vita era dura... adesso stava passando un brutto momento... ma le cose sarebbero cambiate... bastava aspettare... un giorno, domani, forse...

Uscendo dalla stanza con passo barcollante, cercando di apparire indifferente, Caramon attraversò con passo incerto il soggiorno pulito e ordinato e crollò su una sedia della sala da pranzo. La sedia scricchiolò sotto il suo corpo massiccio. Tika si voltò.

Cogliendo il suo sguardo, Caramon sospirò. Tika era pazza, di nuovo. Cercò di sorriderle, ma fu un sorriso malato e non servì. Con i riccioli rossi che rimbalzavano per la collera, Tika si girò di scatto e scomparve attraverso una porta che dava sulla cucina. Caramon sussultò quando udì uno sbatacchiare di pesanti pentole di ferro. Quel frastuono fece ritornare i nani e i martelli. Qualche istante dopo Tika ricomparve portando un gigantesco piatto di bacon sfrigolante, focaccine di granoturco fritte, e uova. Gli mise davanti il piatto sbattendolo giù con tanta forza che le focaccine schizzarono in aria fino a un’altezza di tre pollici.

Caramon sussultò di nuovo. Si chiese per un breve istante se fosse il caso di mangiare, vista la nausea che provava alla bocca dello stomaco poi, di malumore, ricordò al suo stomaco chi era il capo. Si sentiva morire dalla fame, non riusciva a ricordare quando avesse mangiato l’ultima volta.

Tika si lasciò cadere su una sedia accanto a lui. Sollevando lo sguardo, Caramon vide lampeggiare i suoi occhi verdi. Le lentiggini risaltavano con chiarezza sullo sfondo della sua pelle, un segno certo del suo furore.

«D’accordo,» grugnì Caramon, cacciandosi il cibo a palate in bocca. «Adesso che cosa debbo fare?»

«Non te lo ricordi.» Era un’affermazione.

Caramon scandagliò frettolosamente le regioni nebbiose della sua mente. Qualcosa si agitò incerto.

La sera prima avrebbe dovuto essere da qualche parte. Era rimasto a casa tutta la giornata per prepararsi. L’aveva

promesso a Tika... ma aveva cominciato ad avere sete. La sua fiasca era vuota. Era andato giù al Trough per un rapido bicchierino, poi a... dove... perché...

«Dovevo occuparmi di una faccenda,» disse Caramon, evitando lo sguardo di Tika.

«Sì, abbiamo visto la tua faccenda», sbottò Tika con amarezza. «La faccenda che ti ha fatto perdere i sensi proprio ai piedi di Tanis!»

«Tanis.» Caramon lasciò cadere la forchetta. «Tanis, ieri sera...». Con un gemito affranto, l’omone lasciò cadere fra le mani la testa dolorante.

«Hai dato proprio un bello spettacolo di te stesso,» continuò Tika, con voce soffocata. «Davanti a tutta la città, più la metà degli elfi di Krynn. Per non parlare dei nostri vecchi amici.» Adesso piangeva sommessamente. «I nostri migliori amici...»

Caramon gemette di nuovo. Adesso piangeva anche lui. «Perché? Perché?» piagnucolò. «Tanis, più di tutti...». Le sue autorecriminazioni vennero interrotte da un bussare alla porta d’ingresso.

«Adesso che cosa c’è?» borbottò Tika, alzandosi e asciugandosi le lacrime con la manica della camicetta. «Forse è Tanis, malgrado tutto.» Caramon sollevò la testa. «Cerca per lo meno di apparire come l’uomo che eri un tempo,» disse Tika fra i denti mentre si affrettava verso la porta.