Выбрать главу

Tirando il saliscendi, l’aprì. «Otik!» esclamò, stupefatta. «Cosa... Per chi è quel cibo?»

L’anziano e panciuto locandiere era in piedi sulla soglia, con un piatto di cibo fumante in mano.

Sbirciò al di là di Tika.

«Lei non è qui?» chiese, sorpreso.

«Chi?» rispose Tika, confusa. «Qui non c’è nessuno.»

«Oh, cielo.» Il volto di Otik si fece solenne. Con aria assente cominciò a mangiare le pietanze sul piatto. «Allora immagino che lo stalliere “vesse ragione. Se n’è andata. E io che le avevo preparato questa bella colazione.»

«Chi se n’è andata?» insistè Tika, esasperata chiedendosi se non intendesse Dezra.

«Dama Crysania. Non è nella sua stanza. E non ci sono neppure le sue cose. E lo stalliere ha detto che era venuta, stamattina, gli aveva detto di sellare il cavallo, e poi se n’era andata. Pensavo...»

«Dama Crysania!» rantolò Tika. «È partita, da sola. Certo che lo avrebbe fatto...»

«Cosa?» chiese Otik, sempre masticando.

«Niente,» disse Tika, pallida in volto. «Niente, Otik. Uh, farai meglio a tornare alla locanda. Io... io farò un po’ tardi, oggi.»

«Sicuro, Tika,» replicò Otik con gentilezza, avendo visto Caramon Curvo sopra il tavolo. «Vieni quando puoi.» Poi si allontanò, continuando a mangiare mentre camminava. Tika chiuse la porta alle sue spalle.

Vedendo Tika che tornava e sapendo di doversi aspettare una predica, Caramon balzò in piedi con movimenti impacciati. «Non mi sento troppo bene,» dichiarò. Attraversando la stanza con passo barcollante entrò in camera da letto, sbattendosi la porta dietro le spalle. Tika potè udire, proveniente dall’interno, il suono di laceranti singhiozzi.

Si sedette al tavolo, riflettendo. Dama Crysania se n’era andata. Avrebbe trovato da sola la Foresta di Wayreth. O meglio, era andata a cercarla. Nessuno la trovava mai, stando alla leggenda. Era la Foresta che ti trovava! Tika rabbrividì, ricordando le storie di Caramon. La temuta foresta appariva sulle mappe ma, confrontandole fra loro, non c’erano due mappe che fossero d’accordo sulla sua posizione. E accanto ad essa c’era sempre il simbolo del pericolo. Al suo centro s’innalzava la Torre della Grande Stregoneria di Wayreth, dove tutto il potere dei maghi di Ansalon si trovava adesso concentrato. Be’, quasi tutto...

Prendendo una decisione improvvisa, Tika balzò in piedi e aprì di colpo la porta della camera da letto. Entrando, trovò Caramon lungo disteso sul letto, che singhiozzava e piagnucolava come un bambino. Indurendo il proprio cuore per resistere a quella scena pietosa, Tika raggiunse con passo fermo la grande cassapanca dei vestiti. Dopo che ebbe sollevato il coperchio, cominciando a frugare tra gli indumenti, trovò la fiasca, ma si limitò a buttarla in un angolo della stanza. Poi, proprio in fondo, trovò quello che aveva cercato.

L’armatura di Caramon.

Sollevando un cosciale per la sua cinghia di cuoio, Tika si alzò in piedi e, voltandosi, buttò il metallo lucido addosso a Caramon.

Il cosciale lo colpì alla spalla, rimbalzò e cadde sul pavimento con un rumoroso sferragliare.

«Ouch!» gridò l’omone, rizzandosi a sedere. «In nome dell’Abisso, Tika! Lasciami solo per...»

«Tu le andrai dietro,» disse Tika con fredda decisione, tirando fuori un altro pezzo di armatura e sollevandolo in alto. «Le andrai dietro, anche se mi trovassi costretta a portarti fuori di qui con una carriola!»

«Uh, voglia scusarmi,» disse un kender a un uomo che stava oziando vicino al bordo della strada alla periferia di Solace. L’uomo strinse all’istante la mano sulla propria borsa. «Sto cercando la casa di un mio amico. Oh, in effetti si tratta di due miei amici. Uno dei due è una donna graziosa, con i riccioli rossi. Si chiama Tika Waylan...»

Fissando furibondo il kender, l’uomo sollevò di scatto un pollice. «Laggiù, da quella parte.»

Tas guardò. «Laggiù?» disse, indicando a sua volta, impressionato. «Quella magnifica casa sul nuovo albero di vallen?»

«Cosa?». L’uomo se ne uscì in una breve risata tagliente. «Com’è che la chiami? Magnifica? Questa sì che è buona.» Sempre ridacchiando, si allontanò, contando allo stesso tempo in fretta e furia le monete nella sua borsa.

Maleducato! pensò Tas, infilando distrattamente il coltello da tasca dell’uomo in qualche segreto ricettacolo dei propri indumenti. Poi, dimenticando subito l’incidente, il kender si avviò verso la casa di Tika. Il suo sguardo si soffermò con amorevolezza su ogni particolare della bella casa saldamente annidata in mezzo ai rami del vallen ancora in crescita.

«Sono così contento per Tika,» osservò Tas a quello che sembrava un mucchio di cenci dotato di piedi che camminava al suo fianco. «E anche per Caramon,» aggiunse. «Ma Tika non ha mai avuto per davvero una casa tutta sua. Come dev’essere orgogliosa! »

Quando si avvicinò alla casa, Tas vide che era una delle migliori costruzioni della città. Era stata costruita secondo il tradizionale stile di Solace. Le delicate volte dei frontoni erano sagomate così da apparire parte dell’albero medesimo. Ciascuna stanza si protendeva fuori dal corpo principale della casa, il legno delle pareti era scolpito e lucidato così da assomigliare al tronco di un albero. La struttura stessa si rifaceva, nel suo complesso, alla forma di un albero, una pacifica armonia esisteva tra l’opera dell’uomo e quella della natura, creando un insieme piacevole. Tas sentì un gradevole calore nel proprio cuore, nel pensare ai suoi due amici che lavoravano e vivevano in un’abitazione così bella. Poi...

«È strano,» disse Tas, parlando tra sé, «chissà perché non c’è il tetto.»

Mentre si avvicinava, guardando la casa con maggior attenzione, si accorse che mancavano non poche cose - fra queste un tetto, appunto. In effetti i grandi frontoni a volta non formavano altro che l’intelaiatura per un tetto che non c’era. Le pareti delle stanze si stendevano soltanto in parte lungo il perimetro dell’edificio. Il pavimento era soltanto una piattaforma spoglia.

Fermandosi subito sotto di essa, Tas sbirciò verso l’alto, chiedendosi Cosa mai stesse succedendo.

Poteva vedere martelli, asce e seghe sparpagliati lì all’aperto, lasciati ad arrugginire. Dal loro aspetto si deduceva che non venivano usati da mesi. La struttura stessa mostrava gli effetti di una lunga esposizione alle intemperie. Tas si tirò pensierosamente il ciuffo, quell’edifìcio aveva tutte le qualifiche per essere la più bella struttura di Solace, semmai fosse stato finito!

Poi Tas si ravvivò. Una sezione della casa era finita. Tutti i vetri erano Stati accuratamente installati nei telai delle finestre, le pareti erano intatte, un tetto proteggeva la stanza dagli elementi atmosferici. Per lo meno Tika aveva una stanza tutta sua, pensò il kender. Ma, non appena ebbe studiata la stanza con maggior attenzione, il suo sorriso scomparve. Poteva infatti vedere con chiarezza che sopra la porta, malgrado le intemperie lo avessero un po’ appannato, spiccava il marchio accuratamente lavorato che denotava la residenza di uno stregone.

«Avrei dovuto saperlo,» disse Tas, scuotendo la testa. Lanciò un’occhiata intorno. «Insomma, Tika e Caramon non possono certo abitare qui. Ma quell’uomo ha detto... Oh.»

Mentre camminava intorno al gigantesco vallen, Tas s’imbattè in una casetta quasi smarrita in mezzo alle erbacce troppo cresciute, nascosta dalla grande ombra dell’albero. Era ovvio che era stata costruita soltanto come abitazione temporanea, ma aveva l’aria di essere diventata fin troppo permanente. Se mai c’era un edificio che poteva apparire squallido, rifletté Tas, era proprio quello. I suoi frontoni erano afflosciati al punto da apparire accigliati. La pittura era crepata e scrostata.

Comunque, c’erano ancora fiori nelle cassette alle finestre e tendine di trine. Il kender sospirò. Così, era quella la casa di Tika, costruita all’ombra di un sogno.