«No,» disse con calma. «Non rientrerai in casa mia, Caramon, fino a quando non sarai tornato ad essere un uomo intero!»
«Lui molto più uguale a due uomini interi,» biascicò Bupu con voce soffocata. Tas le cacciò dell’altro pane in bocca.
«Quello che dici non ha senso!» sbottò Caramon, inferocito, calandole una mano sulla spalla.
«Togliti dalla mia strada, Tika! »
«Ascoltami, Caramon,» disse Tika. La sua voce era sommessa, ma penetrante; i suoi occhi colsero e trattennero l’attenzione dell’omone. Mettendogli la mano sul petto, sollevò lo sguardo ardente su di lui. «Una volta ti eri offerto di seguire Raistlin nella tenebra. Te ne ricordi?»
Caramon deglutì. Poi annuì in silenzio, pallido in volto.
«Lui rifiutò» continuò Tika con gentilezza, «dicendo che avrebbe significato la tua morte. Ma non capisci, Caramon... tu lo hai seguito nella tenebra! E stai morendo, lentamente, un po’ per volta!
Raistlin stesso ti aveva detto d’incamminarti per il tuo sentiero, e lasciare che lui percorresse il suo.
«Ma tu non l’hai fatto! Tu stai cercando di percorrere entrambi i sentieri, Caramon. Metà di te vive nella tenebra, e l’altra metà sta dimenticando con il bere l’orrore e il dolore che vedi in quel luogo.»
«È colpa mia!» cominciò a piagnucolare Caramon, con voce rotta. «È colpa mia se è diventato una Veste Nera. Sono stato io a spingerlo! È quello che Par-Salian ha cercato di farmi capire...»
Tika si morse un labbro. Tas potè vedere il suo volto incupirsi e irrigidirsi per la collera, ma riuscì a tenersela dentro. «Forse,» fu tutto quello che replicò. Poi tirò un profondo respiro. «Ma non tornerai da me come marito, o anche soltanto come amico, fino a quando non sarai di nuovo in pace con te stesso.»
Caramon la fissò, dando l’impressione di vederla per la prima volta. Il volto di Tika era fermo e risoluto, i suoi occhi verdi erano limpidi e freddi. D’un tratto Tas la ricordò mentre combatteva contro i draconici nel Tempio di Neraka durante quell’ultima orribile notte della guerra. Allora, gli era apparsa com’era adesso.
«Forse non succederà mai,» disse Caramon, scontroso. «Ci hai mai pensato... uh... mia bella signora?»
«Sì,» replicò Tika con voce ferma. «Ci ho pensato. Addio, Caramon.»
Voltando le spalle a suo marito, Tika riattraversò la porta della propria casa e la chiuse a chiave.
Tas sentì il catenaccio che s’incastrava al suo posto con un clic. Anche Caramon lo sentì e trasalì a quel suono. Strinse gli enormi pugni e per un attimo Tas temette che potesse sfondare la porta. Poi lasciò cadere le mani. Rabbiosamente, cercando di salvare parte della sua dignità infranta, Caramon scese dalla veranda pestando i piedi.
«Gliela farò vedere,» borbottò, allontanandosi a grandi passi, con l’armatura che sbatacchiava e sferragliava. «Tornerò fra tre o quattro giorni insieme a Dama Crysle... qualsiasi cosa sia. Poi parleremo di questa storia. Non può farmi questo! No, per tutti gli dei! Fra tre o quattro giorni m’implorerà di tornare. Ma forse lo farò, e forse no...»
Tas rimase là, indeciso. Alle sue spalle, all’ingresso della casa, le sue acute orecchie di kender potevano sentire dei singhiozzi colmi di dolore. Sapeva che Caramon, tra i suoi brontolii di autocommiserazione e lo sferragliare della sua armatura, non poteva sentire niente. Ma cosa poteva fare?
«Mi occuperò io di lui, Tika!» urlò. Poi, agguantando saldamente Bupu si mise a seguire l’omone.
Tas sospirò. Fra tutte le avventure che aveva vissuto fino a quel giorno, quella stava senza dubbio cominciando con il piede sbagliato.
Capitolo quinto
Palanthas, città favoleggiata per la sua bellezza. Una città che aveva voltato le spalle al mondo e se n’era rimasta seduta a guardarsi nel proprio specchio con occhi ammirati.
Chi l’aveva descritta così? Kitiara, seduta sul dorso del suo drago azzurro, Skie, rifletteva oziosamente mentre volava in vista delle mura della città. Forse il defunto, e per nulla compianto, Signore dei Draghi Ariakas. Sembrava abbastanza pretenzioso, come qualsiasi cosa che lui avrebbe detto. Ma Kit era costretta ad ammettere che aveva avuto ragione sui palanthani. Erano rimasti talmente terrorizzati al pensiero di veder devastata la loro amata città, che avevano negoziato una pace separata con i Signori dei Draghi. Soltanto appena prima della fine della guerra, quando era ormai ovvio che non avevano più nulla da perdere, seppure con riluttanza si erano uniti agli altri per combattere contro la potenza della Regina delle Tenebre.
Per merito dell’eroico sacrificio dei Cavalieri di Solamnia, alla città di Palanthas era stata risparmiata la devastazione che aveva portato alla distruzione di altre città come Solace e Tharsis.
Kit, volando a portata di freccia dalle mura, sorrise ironica. Adesso, ancora una volta, Palanthas avrebbe rivolto gli occhi al suo specchio, utilizzando la nuova ondata di prosperità per dare ulteriore enfasi al suo fascino già leggendario.
Pensando a questo, Kitiara scoppiò in una sonora risata quando vide l’agitazione sulle mura della Città Vecchia. Erano passati due anni da quando un drago azzurro aveva volato sopra le mura.
Poteva immaginarsi il caos, il panico. Fioco, nell’immobile aria della notte, poteva udire il rullare dei tamburi e i limpidi appelli delle trombe.
Anche Skie poteva udirli. Il suo sangue ribolliva ai rumori della guerra: volse un avvampante occhio rosso a Kitiara, pregandola di ripensarci.
«No, cucciolotto mio,» gli gridò Kitiara, abbassando il braccio per accarezzargli il collo e tranquillizzarlo. «Adesso non è il momento, ma ben presto, se avremo successo! Ben presto, te lo prometto!»
Skie fu costretto ad accontentarsi di questo. Tuttavia, si tolse una bella soddisfazione alitando una saetta dalle sue fauci spalancate, annerendo il muro di pietra mentre vi passava accanto al volo, tenendosi immediatamente fuori portata delle frecce. I soldati si sparpagliarono come formiche al suo arrivo. La paura del drago li aveva investiti come tante onde impetuose.
Kitiara volava lenta, prendendosela con comodo. Nessuno osava toccarla, una situazione di pace esisteva fra i suoi eserciti a Sanction e i palanthani, anche se c’era qualcuno fra i cavalieri che stava cercando di convincere i liberi popoli di Ansalon a unirsi e ad attaccare Sanction, dove Kitiara si era ritirata dopo la guerra. Ma i palanthani non erano disposti a scomodarsi. La guerra era finita, la minaccia non c’era più.
«E ogni giorno che passa aumentano la mia forza e la mia potenza,» disse Kit rivolta a loro, mentre volava sopra la città, assimilando tutto, immagazzinandolo nella propria mente a futura memoria.
Palanthas è costruita come una ruota: tutti gli edifici importanti, i palazzi dei signori regnanti, gli uffici governativi e le antiche dimore dei nobili, si ergono al centro. La città ruota intorno a questo mozzo. Nel cerchio successivo sorgono le case dei ricchi uomini delle gilde, i «nuovi» ricchi, e le dimore estive di coloro che vivono fuori delle mura della città. Qui si trovano inoltre i centri educativi, compresa la Grande Biblioteca di Astinus.
E infine, accanto alle mura della Città Vecchia, si trova la piazza del mercato con negozi d’ogni tipo e descrizione.
Otto grandi viali conducono fuori dal centro della Città Vecchia, come i raggi di una ruota. Questi viali sono bordati da alberi, alberi bellissimi, le cui foglie sono come un merletto dorato tutto l’anno.
I viali conducono al porto sul mare al nord e alle sette porte del Muro della Città Vecchia.
Attorno alle mura Kit vide la Città Nuova, costruita proprio come la Città Vecchia, con lo stesso modello circolare. Non c’erano mura intorno alla Città Nuova, poiché le mura «sminuivano il progetto d’insieme», come aveva affermato uno dei signori.
Kitiara sorrise. Lei non vedeva la bellezza della città. Gli alberi non erano niente per lei.
Contemplava l’abbacinante meraviglia delle sette porte senza provare nessun nodo in gola... be’, forse uno, ma piccolo piccolo. Come sarebbe stato facile, pensò con un sospiro, impadronirsene!