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Grazie al potere del gioiello, Kitiara poteva cominciare a distinguere i tronchi degli alberi viventi.

E adesso poteva scorgere un sentiero formarsi ai suoi piedi. Come un fiume di notte, scorreva davanti a lei in mezzo agli alberi, e Kitiara provò l’arcana sensazione di scorrere insieme ad esso.

Affascinata osservò i propri piedi che si muovevano, trasportandola avanti senza l’intervento della sua volontà. Con vivo orrore, si rese conto che, se prima il bosco aveva tentato di tenerla fuori, adesso la stava attirando dentro!

Disperatamente tentò di riguadagnare il controllo del proprio corpo. Finalmente l’ebbe vinta - o così suppose. Per lo meno, aveva smesso di muoversi. Ma adesso non poteva fare più nulla, se non rimanere in piedi in mezzo a quell’oscurità avvolgente e rabbrividire, il corpo squassato dagli spasimi della paura. Sopra di lei i rami crepitavano, ridacchiando per quello scherzo. Le foglie le sfioravano il viso. Kit tentò freneticamente di allontanarle colpendole con le mani, poi smise di farlo. Il loro Contatto era gelido ma non sgradevole. Era quasi una carezza, un gesto di rispetto. Era stata riconosciuta, accettata per una di loro. Kit riprese subito il controllo di sé. Sollevando la testa s’indusse a guardare il sentiero.

Non si stava muovendo: quella era stata un’illusione nata dal suo stesso terrore. Kit fece un cupo sorriso. Gli alberi si muovevano! Si facevano da parte per lasciarla passare. La fiducia di Kitiara crebbe. Percorse il Sentiero con passo fermo e perfino si voltò per guardare con aria di trionfo Lord Soth, il quale camminava a pochi passi dietro di lei. Però il cavaliere della morte non parve accorgersi del suo sguardo.

«È probabile che sia in comunione con gli spiriti suoi confratelli,» disse fra sé Kit con una risata che all’improvviso sfociò in uno strillo di puro terrore.

Qualcosa l’aveva afferrata alla caviglia! Un gelo da congelarle le ossa Stava filtrando lentamente attraverso il suo corpo, trasformando in ghiaccio il suo sangue e i suoi nervi. Il dolore era intenso.

Urlò in preda all’angoscia. Stringendosi la gamba, Kitiara vide cosa l’aveva ghermita: una mano bianca! Protendendosi fuori dal suolo, le sue dita ossute si erano avvolte saldamente intorno alla sua caviglia. Nel sentire il calore che abbandonava il suo corpo, Kit si rese conto che quella mano la stava prosciugando della vita. E ancora, in preda a un crescente orrore, vide il suo piede che cominciava a scomparire nel terreno melmoso.

Il panico s’impadronì della sua mente. Freneticamente tirò un calcio la mano, cercando di spezzare la sua morsa raggelante. Ma la mano continuò a stringerla saldamente, e un’altra mano ancora sorse dal nero sentiero e l’afferrò per l’altra caviglia. Urlando per il terrore, Kitiara perse l’equilibrio e cadde.

«Non lasciar cadere il gioiello!» le giunse la voce senza vita di Lord Soth. «Ti trascineranno sotto!»

Kitiara tenne stretto il gioiello, serrandolo tra le mani mentre si contorceva e lottava, cercando di sfuggire alla stretta mortale che la stava lentamente trascinando giù per farle condividere la propria tomba.

«Aiutami!» gridò Kitiara, cercando Lord Soth con lo sguardo, in preda al terrore.

«Non posso farlo,» rispose tetro il cavaliere della morte. «Qui la mia magia non può funzionare. Adesso tutto ciò che può salvarti è la forza della tua volontà, Kitiara. Ricordati del gioiello...»

Per un lungo istante Kitiara giacque del tutto immobile, rabbrividendo a quel tocco raggelante. E poi la rabbia percorse il suo corpo. Come godrà a farmi questo? pensò, vedendo ancora una volta quegli irridenti occhi dorati che si godevano la sua tortura. La sua rabbia fuse il gelo della paura e bruciò via il panico. Adesso era calma. Sapeva quello che doveva fare. Lentamente si spinse fuori dal suolo poi, con fredda deliberazione, abbassò la mano nella quale stringeva il gioiello, avvicinandolo alla mano scheletrica e, rabbrividendo, toccò con esso quella pallida carne.

Un’imprecazione soffocata uscì con un sordo rimbombo dalle profondità del terreno. La mano tremò, poi allentò la stretta, tornando a scivolare dentro le foglie marce accanto al sentiero.

Con uguale decisione Kitiara toccò con il gioiello l’altra mano che la stringeva. Anche questa scomparve. La Signora dei Draghi si risollevò e si guardò intorno. Poi tenne di nuovo in alto il gioiello.

«Avete visto questo, maledette creature della morte vivente?» gridò con voce stridula. «Non mi fermerete! Io passerò! Mi avete sentito? Io passerò!»

Non vi fu risposta. I rami non scricchiolavano più, le foglie penzolavano flosce. Dopo essere rimasta là in silenzio per qualche altro istante, sempre stringendo il gioiello in mano, Kitiara riprese a percorrere il sentiero, maledicendo Raistlin fra i denti. Era consapevole della presenza di Lord Soth accanto a lei.

«Non manca ancora molto,» disse questi. «Ancora una volta, Kitiara, ti sei guadagnata la mia ammirazione.»

Kitiara non rispose. La rabbia era scomparsa lasciandole un vuoto alla bocca dello stomaco che si stava riempiendo un’altra volta, e rapidamente, di paura. Non si fidava di parlare, ma continuava a camminare con gli occhi truci puntati sul sentiero davanti a sé. Adesso, tutt’intorno a lei, poteva vedere le dita che scavavano attraverso il terreno, cercando la carne vivente che allo stesso tempo odiavano e bramavano. Pallidi volti incavati la fissavano dagli alberi, informi creature nere le svolazzavano intorno, riempiendo l’aria fredda e appiccicosa dell’immondo puzzo della morte e della putredine. Ma, malgrado la mano guantata che reggeva il gioiello tremasse, mai una volta mostrò esitazione. Le dita scarnificate non la fermarono, così come le facce con le loro bocche spalancate che ululavano invano per avere il suo sangue caldo. Con lentezza, le grandi querce cominciarono a dischiudersi davanti a Kitiara, i rami s’incurvarono all’indietro scostandosi dal suo percorso.

Là, immobile, dove il sentiero finiva, c’era Raistlin.

«Dovrei ucciderti, dannato bastardo!» disse Kitiara attraverso le labbra irrigidite, con la mano sull’elsa della spada.

«Anch’io sono sopraffatto dalla gioia di rivederti, sorella mia,» rispose Raistlin con voce sommessa.

Era la prima volta che fratello e sorella s’incontravano, dopo più di due anni. Adesso che era uscita dall’oscurità degli alberi, Kitiara potè scorgere suo fratello là in piedi, illuminato dalla pallida luce di Solinari. Indossava paludamenti del più raffinato velluto nero. Ricadendo dalle sue spalle sottili, leggermente ricurve, formavano una serie di morbide pieghe intorno al suo corpo esile. Rune d’argento erano cucite sul cappuccio che gli copriva la testa, lasciando tutto in ombra salvo i suoi occhi dorati. La runa più grande era al centro: una clessidra. Altre rune d’argento luccicavano alla luce della luna sui polsini delle maniche ampie e capaci. Raistlin si appoggiava al Bastone di Magius, il cui cristallo, che fiammeggiava di luce soltanto a un ordine di Raistlin, era serrato, adesso scuro e freddo, nell’artiglio d’un drago dorato.

«Dovrei ucciderti!» ripetè Kitiara e, prima di essere del tutto consapevole di ciò che faceva, lanciò un’occhiata al cavaliere della morte, il quale pareva prender forma dall’oscurità del bosco. Era un’occhiata, non un ordine... un invito, una tacita sfida.

Raistlin sorrise, quel raro sorriso che pochi avevano visto, il quale però si smarrì fra le ombre del suo cappuccio.

«Lord Soth,» disse, voltandosi per salutare il cavaliere della morte.

Kitiara si morse il labbro mentre gli occhi a clessidra di Raistlin studiavano l’armatura del cavaliere non morto. Qui erano ancora incisi i simboli di Cavaliere di Solamnia: la Rosa, il Martin Pescatore e la Spada, ma erano tutti anneriti come se l’armatura fosse stata arsa in un incendio.

«Il Cavaliere della Rosa Nera,» continuò Raistlin, «che morì tra le fiamme del Cataclisma prima che la maledizione della fanciulla elfa a cui aveva fatto torto lo ritrascinasse ad una vita amara.»