«Non vuoi il mondo.» Kit scrollò le spalle, la sua voce suonò amara per il sarcasmo. «Allora questo lascia soltanto...»
Kitiara si morse la lingua. Fissò Raistlin con meraviglia. In mezzo alle ombre della stanza, gli occhi fiammeggianti di Lord Soth avvampavano più luminosi della fiamma.
«Adesso capisci.» Raistlin sorrise soddisfatto e tornò a sedersi. «Adesso capisci l’importanza di questa Reverenda Figlia di Paladine! È stato il destino a condurla da me, proprio quando mi stavo avvicinando alla fine del mio viaggio.»
Kitiara non potè fare altro che fissarlo, atterrita. Alla fine ritrovò la propria voce. «Come... come fai a sapere che ti seguirà? Certamente non gliel’avrai detto!»
«Soltanto quel che basta per piantare il seme nel suo petto.» Raistlin sorrise, riandando con la memoria a quell’incontro. Abbandonandosi contro lo schienale si portò le dita alle labbra sottili.
«Ad esser franco, la mia recita è stata una delle migliori. Ho mostrato riluttanza nel parlare, le parole sgorgavano dalla mia bocca attirate dalla sua bellezza e purezza. Sono uscite tinte di sangue e lei è stata mia... smarrita a causa della sua stessa compassione.» Ritornò al presente con un sussulto. «Verrà,» lui disse con freddezza, mettendosi ancora una volta a sedere e sporgendosi in avanti. «Lei e quel buffone di nostro fratello. Caramon mi servirà, in modo inconsapevole, naturalmente. Ma d’altronde è così che fa ogni cosa.»
Kitiara si portò una mano alla testa, saggiando il pulsare del sangue. Non era il vino, adesso era fredda e sobria. Erano il furore e la frustrazione. Avrebbe potuto aiutarmi! pensò con rabbia. È davvero potente come dicevano. Anche di più! Ma è folle. Ha perso la testa... Poi, spontanea, una voce le parlò da qualche punto nelle profondità del suo intimo. E se non fosse folle? E se davvero avesse intenzione di andare fino in fondo?
Con freddezza Kitiara valutò il suo piano, esaminandolo con attenzione sotto ogni angolatura. Ciò che vide le fece orrore. No. Non poteva vincere! E, cosa ancora peggiore, l’avrebbe trascinata giù insieme a lui!
Questi pensieri passarono rapidamente attraverso la mente di Kit, senza minimamente trasparire sul suo volto. E, al contrario, il suo sorriso divenne ancora più incantevole. Molti uomini erano morti con quel sorriso come ultima immagine nei loro occhi.
Era possibile che Raistlin stesse valutando proprio quel sorriso mentre la guardava attentamente.
«Puoi essere dalla parte del vincitore tanto per cambiare, sorella mia.»
La convinzione di Kitiara vacillò. Ventotto anni prima era stato un neonato, debole e malato, un fragile alter ego di suo fratello gemello, forte e robusto.
«Lasciatelo morire. Sarà meglio così per il futuro,» aveva detto la levatrice. Allora Kitiara era un’adolescente. Sgomenta, aveva sentito che sua madre accondiscendeva piangendo.
Ma Kitiara aveva rifiutato. Qualcosa dentro di lei era pronto ad accettare quella sfida. Il bambino sarebbe vissuto! L’avrebbe fatto vivere, che lui lo volesse o no. «La mia prima lotta,» diceva, «è stata con gli dei. E ho vinto!»
E adesso? Kitiara lo studiò. Vide l’uomo. Vide, con l’occhio della sua mente, quel bambino lagnoso che vomitava a tutto spiano. D’un tratto si voltò.
«Devo tornare,» disse, infilandosi i guanti. «Ti metterai in contatto con me al tuo ritorno?»
«Se avrò successo non ci sarà bisogno che mi metta in contatto con te,» disse Raistlin con voce sommessa. «Lo saprai!»
Kitiara fu quasi sul punto di sogghignare, ma riuscì a imporsi di non farlo. Lanciando un’occhiata a Lord Soth, si preparò a lasciare la stanza. «Arrivederci, allora, fratello mio.» Per quanto la controllasse, non riuscì a impedire che una punta di rabbia trasparisse dalla sua voce. «Mi spiace che tu non condivida il mio desiderio per le cose buone di questa vita! Avremmo potuto fare molto, insieme, tu ed io!»
«Arrivederci Kitiara,» la salutò Raistlin, chiamando a se con la sua mano sottile le forme d’ombra di coloro che lo servivano perché accompagnassero i suoi ospiti alla porta. «Oh, a proposito,» aggiunse, mentre Kit era in piedi sulla soglia, «ti devo la vita, cara sorella. Per lo meno così mi è stato detto. Volevo soltanto farti sapere che, con la morte di Lord Ariakas, il quale indubbiamente ti avrebbe uccisa, considero pagato il mio debito. Non ti devo nulla!»
Kitiara fissò gli occhi dorati del mago, cercandovi una minaccia, una promessa... o cosa? Ma non c’era niente. Assolutamente niente. Poi, in un fuggevole istante, Raistlin pronunciò una parola magica e scomparve alla sua vista.
La via per uscire dal Bosco di Shoikan non fu difficile. Ai guardiani non importava nulla di coloro che lasciavano la Torre. Kitiara e Lord Soth camminarono insieme, il cavaliere della morte si muoveva in silenzio attraverso il Bosco, i suoi piedi non lasciavano nessuna impronta sulle foglie che giacevano morte e putrescenti sul terreno. La primavera non giungeva mai nel Bosco di Shoikan.
Kitiara non parlò fino a quando non ebbero oltrepassato il perimetro esterno delle querce e non ebbero rimesso piede ancora una volta sulle solide pietre della pavimentazione della città di Palanthas. Il sole si stava levando. Il cielo si stava rischiarando, passando dal profondo azzurro notturno a un pallido grigio. Qua e là quei palanthani le cui occupazioni richiedevano che si alzassero presto si stavano svegliando. In fondo alla strada, al di là degli edifici abbandonati che circondavano la Torre, Kitiara poteva udire un rumore di passi in marcia: il cambio della guardia.
Era di nuovo in mezzo ai vivi.
Tirò un profondo sospiro, poi disse rivolta a Lord Soth: «Bisogna fermarlo.»
Il cavaliere della morte non fece alcun commento, né in un senso né nell’altro.
«Non sarà facile, lo so,» disse Kitiara, calandosi sulla testa l’elmo di drago e camminando a rapidi passi verso Skie, il quale aveva inalberato la testa in un gesto di trionfo al suo avvicinarsi.
Accarezzando amorevolmente il drago sulla testa, Kitiara si voltò verso il cavaliere della morte.
«Ma non dobbiamo affrontare Raistlin direttamente. Il suo piano ruota intorno a Dama Crysania. Eliminiamo lei, e l’avremo fermato. In effetti, non sarà mai necessario che sappia che io ho avuto mano in questo. Molti sono morti mentre tentavano di entrare nella Foresta di Wayreth. Non è così?»
Lord Soth annuì, i suoi occhi fiammeggianti ebbero un fugace sprazzo di luce.
«Occupatene tu. Fai in modo che sembri... il destino,» disse Kitiara. «A quanto pare il mio fratellino ci crede.» Salì in groppa al drago. «Quand’era piccolo gli insegnai che rifiutarsi di obbedire ai miei ordini significava venir frustati. Ora, pare che debba imparare di nuovo quella lezione!»
A un suo ordine, le poderose zampe posteriori di Skie affondarono nel terreno, crepando e frantumando le pietre. Il drago balzò in aria, allargò le ali e si levò in alto nel cielo del mattino. Gli abitanti di Palanthas sentirono un’ombra sollevarsi dai loro cuori, ma fu tutto quello che seppero.
Pochi videro il drago andarsene con il suo cavaliere.
Lord Soth rimase immobile ai margini del Bosco di Shoikan.
«Anch’io credo nel destino, Kitiara,» mormorò il cavaliere della morte. «Il destino che un uomo si crea con le proprie mani.»
Lanciando un’occhiata verso le finestre della Torre della Grande Stregoneria, Soth vide la luce spegnersi nella stanza dov’erano stati poco prima. Per un breve istante la Torre fu riavvolta dall’oscurità perpetua che pareva attardarsi intorno ad essa, un’oscurità che la luce del sole non poteva penetrare. Poi baluginò una luce, da una stanza in cima alla Torre.