Da quello che Tas poteva vedere, i draconici rimasti in piedi erano due o tre soltanto, e il kender cominciò a sentirsi imbaldanzito. Le creature si tenevano appena fuori del bagliore del fuoco e stavano squadrando circospette il grosso guerriero, Caramon, che si stava rialzando con qualche difficoltà. Vista soltanto in mezzo alle ombre, la sua figura appariva minacciosa come ai vecchi tempi. La lama della sua spada sfavillava sinistra alla luce rossastra delle fiamme.
«Beccali, Caramon!» urlò Tas con voce stridula. «Spaccagli la testa...»
La voce del kender si spense quando Caramon si voltò lentamente verso di lui con una strana espressione sulla faccia.
«Non sono Caramon,» disse con voce sommessa. «Sono il suo gemello Raistlin. Caramon è morto. L’ho ucciso io.» Abbassando lo sguardo sulla spada che stringeva in mano, il grosso guerriero la lasciò cadere come se l’avesse punto. «Cosa faccio con questo freddo acciaio in mano?» chiese con asprezza. «Non posso lanciare incantesimi con una spada e uno scudo!»
Tasslehoff soffocò, lanciando un’occhiata allarmata ai draconici. Poteva vedere che si stavano scambiando delle occhiate astute. Cominciarono ad avanzare lentamente, anche se tutti tenevano lo sguardo fisso sul grosso guerriero, probabilmente sospettando una trappola.
«Non sei Raistlin! Sei Caramon!» gridò Tas in preda alla disperazione, ma non servì. Il cervello dell’omone era ancora inzuppato di spirito dei nani. Col cervello completamente scardinato, Caramon chiuse gli occhi, sollevò le mani e cominciò a cantare.
«Nidi di formiche d’argento...» prese a mugolare, oscillando avanti e indietro.
Il volto ghignante d’un draconico si profilò davanti a Tas. Vi fu un balenare d’acciaio e la testa del kender parve esplodere per il dolore...
Tas era sul terreno. Un liquido caldo gli scorreva sul viso, accecandogli un occhio, gocciolandogli in bocca. Sentì il sapore del sangue. Era stanco... molto stanco...
Ma il dolore era tremendo. Non lo lasciava dormire. Temeva di muovere la testa, temeva che questa si spaccasse in due. E così giacque perfettamente immobile, osservando il mondo da un occhio solo.
Sentì la nana dei burroni che continuava a urlare come un animale torturato, e poi tutt’a un tratto le urla cessarono. Udì un profondo grido di dolore, un gemito soffocato, e un grosso corpo si schiantò al suolo accanto a lui. Era Caramon, con il sangue che gli scorreva dalla bocca, gli occhi spalancati e fissi.
Tas non riusciva a sentirsi triste. Non riusciva a sentire niente se non il terribile dolore alla testa.
Un gigantesco draconico si ergeva sopra di lui, con la spada in pugno. Sapeva che la creatura stava per ucciderlo. Non gli importava. Metti fine al dolore, lo implorò. Fai presto.
Poi vi fu un turbinio di vesti bianche e una limpida voce invocò Paladine. Il draconico scomparve all’improvviso con un trepestio di piedi artigliati che si allontanavano in mezzo alla boscaglia. Le vesti bianche s’inginocchiarono al suo fianco. Tas sentì il tocco di una mano gentile sulla testa, e udì di nuovo il nome di Paladine. Il dolore scomparve. Nel sollevare lo sguardo vide la mano del chierico toccare Caramon, vide le palpebre dell’omone che sbattevano per poi chiudersi in un sonno tranquillo.
Va tutto bene, pensò Tas giubilante. Se ne sono andati ! Siamo salvi. Poi sentì che la mano tremava. Recuperando un po’ i propri sensi a mano a mano che le energie curative del chierico si diffondevano nel suo corpo, il kender sollevò la testa, sbirciando davanti a sé con l’occhio ancora valido.
Stava arrivando qualcuno. Qualcosa aveva richiamato i draconici. Qualcosa stava entrando nella luce del fuoco.
Tas cercò di gridare un avvertimento, ma la gola gli si chiuse. La mente gli si inceppò più e più volte. Per un momento, troppo spaventato e stordito per riuscire a pensare con chiarezza, si convinse che qualcuno avesse mischiato le sue avventure.
Vide Dama Crysania alzarsi in piedi, le vesti bianche spazzarono il terriccio accanto alla sua testa.
Lentamente Dama Crysania cominciò ad arretrare dalla cosa che la guatava. Tas la sentì invocare il nome di Paladine, ma le parole sgorgavano da labbra irrigidite dal terrore.
Lo stesso Tas avrebbe voluto disperatamente chiudere gli occhi. La paura e la curiosità combattevano dentro il suo piccolo corpo. La curiosità l’ebbe vinta. Sbirciando dall’occhio buono, Tas osservò l’orrenda figura che si avvicinava sempre più al chierico. La figura indossava l’armatura d’un Cavaliere di Solamnia ma quell’armatura era bruciata e annerita. Mentre si avvicinava a Crysania la figura tese un braccio che non terminava con una mano. Pronunciò parole che non uscivano da una bocca. I suoi occhi avvamparono d’arancione, le sue gambe trasparenti attraversarono le ceneri fumanti del bivacco. Il gelo delle regioni in cui era costretto a dimorare in eterno scorreva fuori dal suo corpo, congelando il midollo nelle ossa di Tas.
Spaventato, Tas sollevò la testa. Vide Dama Crysania che arretrava. Vide il cavaliere della morte incamminarsi verso di lei con passi lenti e inesorabili.
Il cavaliere sollevò la mano destra e puntò contro Crysania un pallido dito scintillante.
Tas si sentì afferrare da un improvviso, incontrollabile terrore. «No!» gemette, rabbrividendo, anche se non aveva la più pallida idea di quale orrenda cosa stesse per accadere.
Il cavaliere disse una parola:
«Muori!»
In quell’istante, Tas vide Dama Crysania sollevare la mano e stringere il medaglione che portava appeso al collo. Vide un lampo accecante di pura luce bianca sgorgare dalle sue dita; poi Dama Crysania cadde al suolo come se fosse stata trafitta da un dito scarnificato.
«No!» si sentì gridare Tasslehoff. Vide quegli occhi avvampanti di arancione rivolgere la loro attenzione verso di lui, e un’oscurità umida e gelida, come l’oscurità di una tomba, gli sigillò gli occhi e gli chiuse la bocca...
Capitolo ottavo.
Dalamar si avvicinò trepidante al laboratorio del mago, passando un dito nervoso sulle rune protettive cucite sul tessuto delle sue vesti nere mentre frettolosamente ripeteva parecchi incantesimi difensivi della sua mente. Una certa dose di cautela non sarebbe parsa indecorosa da parte di qualsiasi giovane apprendista che si avvicinasse alle camere interne e segrete d’un maestro potente e tenebroso. Ma le precauzioni di Dalamar erano eccezionali. E con buone ragioni. Dalamar aveva propri segreti da nascondere, e non c’era nessuno al mondo che più di lui temesse e paventasse lo sguardo di quegli occhi dorati a forma di clessidra.
Eppure, ancora più in profondità di quella paura, una corrente sotterranea di eccitazione pulsava nel sangue di Dalamar, come sempre accadeva quando si arrestava davanti a quella porta. Aveva visto cose meravigliose dentro quella stanza. Meravigliose... spaventose...
Sollevando la mano destra tracciò un rapido segno nell’aria davanti alla porta e borbottò alcune parole nella lingua della magia. Non vi fu nessuna reazione. Sulla porta non era stato lanciato nessun incantesimo. Dalamar respirò un po’ più facilmente... o forse era un sorriso di delusione. Il suo padrone non era impegnato in nessuna magia potente e intensa, altrimenti Raistlin avrebbe bloccato ermeticamente la porta con un adeguato incantesimo. Lanciando un’occhiata al pavimento, l’elfo scuro non vide filtrare nessuna luce tremolante da sotto la massiccia porta di legno. Non sentì nessun odore, salvo quello consueto delle spezie e della putrefazione. Dalamar appoggiò le cinque punte delle dita della sua mano sinistra sulla porta e aspettò in silenzio.
Nello spazio di tempo che l’elfo scuro impiegò a tirare un sospiro, giunse l’ordine pronunciato con voce sommessa: «Entra, Dalamar.»
Facendosi forza, Dalamar entrò nella stanza quando la porta si spalancò in silenzio davanti a lui.