Выбрать главу

Il petto della donna si sollevò, le vesti bianche tremolarono. Cominciò a respirare, profondamente e pacificamente.

Il kender lanciò un grido.

«Caramon! Bupu l’ha guarita! Evviva! Guarda!»

«Cosa dia...» L’omone smise di scavare e si avvicinò incespicando, fissando la nana dei burroni con stupore e paura.

«Lucertola guarisce, » disse Bupu trionfante. «Funziona tutte volte.»

«Sì, piccolina,» disse Raistlin, sempre sorridendo. «Funziona bene anche per la tosse, a quanto ricordo.» Agitò la mano sopra l’acqua immobile. La voce del mago divenne un canto suadente, quasi una ninnananna: «E adesso dormi, fratello mio, prima di fare qualche altra stupidaggine. Dormi, kender, dormi, piccola Bupu. E dormi anche tu, Dama Crysania, nel regno in cui Paladine protegge.»

Sempre salmodiando, Raistlin fece un cenno con la mano. «E adesso vieni avanti, Foresta di Wayreth. Striscia su di loro mentre dormono. Canta loro la magica canzone. Attirali lungo i tuoi segreti sentieri.»

L’Incantesimo era finito. Alzandosi in piedi, Raistlin si rivolse a Dalamar. «E vieni anche tu, apprendista,». C’era una nota di sottilissimo sarcasmo in quella voce, che fece rabbrividire l’elfo scuro, «vieni nel mio studio. È ora che noi due parliamo.».

Capitolo nono.

Dalamar sedeva nello studio del mago, sulla stessa sedia che Kitiara aveva occupato durante la sua visita. L’elfo scuro si sentiva assai meno a proprio agio, assai meno sicuro di quanto lo era stata Kitiara. Eppure le sue paure erano ben controllate. All’esterno appariva rilassato, composto. Un rossore accentuato sui suoi pallidi lineamenti da elfo poteva venir attribuito, forse, alla sua eccitazione per essere stato preso in confidenza dal suo maestro.

Dalamar era stato spesso nello studio, anche se non in presenza del suo maestro. Raistlin passava lì le sue serate da solo, a leggere e a studiare i tomi che rivestivano le pareti. Allora nessuno osava disturbarlo. Dalamar entrava nello studio durante le ore diurne, e anche allora soltanto quando Raistlin era impegnato altrove. In quei periodi all’elfo scuro apprendista era permesso, anzi richiesto, di studiare i libri degli incantesimi, alcuni soltanto, s’intende. Gli era stato proibito di aprire, o anche soltanto di toccare, i libri con la rilegatura azzurro-notte.

Dalamar una volta l’aveva fatto, naturalmente. La rilegatura gli aveva dato una sensazione di freddo intenso, così freddo da bruciargli la pelle. Ignorando il dolore, era riuscito ad aprire la copertina, ma dopo una sola occhiata si era affrettato precipitosamente a chiuderla. Le parole all’interno erano incomprensibili, non era riuscito a trarne alcun senso. E aveva percepito l’incantesimo protettivo lanciato su di esse. Chiunque le avesse guardate troppo a lungo senza la chiave adatta a tradurle sarebbe impazzito.

Vedendo la mano ferita di Dalamar, Raistlin gli aveva chiesto cos’era successo. L’elfo scuro aveva risposto, esibendo tutto il suo sangue freddo, di aver rovesciato dell’acido mentre stava mescolando i componenti di un incantesimo. L’arcimago aveva sorriso senza dir nulla. Non ce n’era stato bisogno. Entrambi avevano capito.

Ma adesso Dalamar si trovava nello studio dietro esplicito invito di Raistlin, e stava seduto là in una posizione più o meno alla pari con il suo maestro. Ancora una volta Dalamar provava l’antica paura corretta dall’ intossicazione dell’eccitazione.

Raistlin sedeva davanti a lui dietro al tavolo di legno scolpito, con una mano appoggiata su un grosso libro d’incantesimi rilegato in azzurro-notte. Le dita dell’arcimago accarezzavano distrattamente il libro, passando sopra le rune d’argento della sua copertina. Gli occhi di Raistlin fissavano Dalamar. L’elfo scuro non si mosse né si spostò sotto quello sguardo intenso e penetrante.

«Eri molto giovane quando hai affrontato la Prova,» disse Raistlin all’improvviso con voce sommessa.

Dalamar sbatté le palpebre. Non era questo che si era aspettato.

«Non giovane quanto te, Shalafi,» rispose l’elfo scuro. «Io sono sui novanta, il che corrisponde a circa venticinque dei vostri anni umani. Tu, credo, ne avevi soltanto ventuno quando hai affrontato la Prova.»

«Sì,» mormorò Raistlin, e un’ombra passò sul volto dorato del mago. «Avevo... ventun anni.»

Dalamar vide la mano appoggiata sul libro degli incantesimi serrarsi come per un improvviso, rapido dolore; vide lampeggiare quegli occhi dorati. Il giovane apprendista non fu sorpreso da quest’esibizione di emozione. Ogni mago che volesse praticare le arti magiche ad un livello elevato doveva affrontare la Prova. Là, nella Torre della Grande Stregoneria di Wayreth, veniva condotta dai capi di tutte e tre le Vesti. Molto tempo addietro i fruitori di magia di Krynn si erano resi conto di ciò che invece era sfuggito ai chierici: se si voleva mantenere l’equilibrio nel mondo, il pendolo doveva oscillare liberamente avanti e indietro fra tutti e tre, il Bene, il Male e la Neutralità. Bastava che uno dei tre diventasse troppo potente, uno qualunque fra essi, e il mondo avrebbe cominciato a pendere verso la distruzione.

La Prova era brutale. Ai livelli più alti della magia, in cui si otteneva il vero potere, non c’era posto per gli inetti e i confusionari. La Prova era concepita per sbarazzarsi di questi, e in modo permanente, poiché la morte era la punizione per l’insuccesso. Dalamar aveva ancora incubi causati dalla sua Prova, perciò poteva capire benissimo la reazione di Raistlin.

«L’ho superata,» bisbigliò Raistlin, riandando con la memoria a quel tempo. «Ma quando uscì da quel luogo terribile, ero come mi vedi adesso. La pelle aveva questa tinta dorata, i capelli erano bianchi e gli occhi...». Tornò al presente, per fissare Dalamar.

«Sai cosa vedo con questi occhi a clessidra?»

«No, Shalafi.»

«Vedo come il tempo influenza tutte le cose,» proseguì Raistlin. «La carne umana avvizzisce davanti a questi occhi, i fiori appassiscono e muoiono, le rocce stesse si sgretolano mentre le guardo. Davanti al mio sguardo è sempre inverno. Perfino tu, Dalamar,» gli occhi di Raistlin si appuntarono sul giovane apprendista trattenendolo nella loro orribile fissità,

«perfino la carne degli elfi che invecchia così lentamente e per cui lo scorrere degli anni è come gli acquazzoni di primavera, perfino il tuo giovane viso, Dalamar, porta, ben visibile per me, il marchio della morte!»

Dalamar rabbrividì, e questa volta non riuscì a nascondere la sua emozione. Involontariamente si rannicchiò tra i cuscini della sua seggiola. Un incantesimo protettivo gli venne subito alla mente, così come, senza che lui lo volesse, un incantesimo concepito per far del male, non per difendere.

Pazzo si disse, disprezzandosi, recuperando rapidamente il controllo: quale mio misero incantesimo potrebbe mai ucciderlo?

«È vero, è vero,» mormorò Raistlin, rispondendo, come faceva spesso, ai pensieri di Dalamar.

«Non esiste nessuno su Krynn che abbia il potere di farmi del male. Certamente non tu, apprendista. Ma sei ardimentoso. Hai coraggio. Spesso ti sei trovato al mio fianco, nel laboratorio, e hai affrontato coloro che ho trascinato fuori dai piani della loro esistenza. Tu sapevi che se avessi respirato nel momento sbagliato ci avrebbero strappato dal corpo il cuore ancora palpitante e l’avrebbero divorato mentre noi ci contorcevamo davanti a loro in preda ai tormenti.»

«Per me è stato un privilegio,» mormorò Dalamar.

«Sì,» rispose Raistlin con fare assente, i pensieri perduti altrove. Poi sollevò un sopracciglio. «E sapevi, vero, che se un fatto del genere fosse accaduto, avrei salvato me stesso, ma non te?»

«Naturalmente, Shalafi,» rispose Dalamar con voce ferma. «Capisco e accetto il rischio.» Gli occhi dell’elfo luccicarono. Dimenticate le sue paure, si sporse in avanti con foga dalla sua seggiola. «No, Shalafi, io invito i rischi! Sacrificherei qualunque cosa pur di...»