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«La magia,» terminò Raistlin.

«Sì! Per la magia!» gridò Dalamar.

«È per il potere che conferisce.» Raistlin annuì. «Sei ambizioso. Ma, mi chiedo, ambizioso fino a che punto. Cerchi forse di dominare i tuoi consanguinei? Oppure un regno, in qualche luogo, tenendo soggiogato un monarca mentre tu ti godi la ricchezza delle sue terre? O forse un’alleanza con qualche tenebroso signore, come è stato fatto nei giorni dei draghi non molto tempo addietro. Mia sorella Kitiara, per esempio, ti ha trovato molto attraente. Le piacerebbe averti intorno. In particolare, se hai qualche arte magica che pratichi in camera da letto...»

«Shalafi, non dissacrerei...»

Raistlin agitò una mano. «Una battuta, apprendista. Ma hai capito quello che voglio dire. Qualcuno di questi intenti riflette i tuoi sogni?»

«Be’, certo, Shalafi.» Dalamar esitò, confuso. Dove portava tutto questo? A qualche informazione che poteva usare e trasmettere, così sperava, ma quanto di se stesso doveva rivelare? «Io...»

Raistlin lo interruppe. «Sì, vedo che sono arrivato vicino al bersaglio. Ho scoperto i vertici della tua ambizione. Non hai mai cercato d’indovinare i miei?»

Dalamar sentì un brivido di gioia percorrergli il corpo. Era questo che era stato mandato a scoprire.

Il giovane mago rispose lentamente: «Me lo sono chiesto spesso, Shalafi. Sei così potente.»

Dalamar indicò la finestra, oltre la quale erano visibili le luci di Palanthas che risplendevano nella notte. «Questa città, questa terra di Solamnia, questo continente di Ansalon potrebbero essere tuoi.»

«Il mondo potrebbe essere mio!» Raistlin sorrise, le labbra sottili si dischiusero leggermente.

«Abbiamo visto le terre al di là del mare, non è vero, apprendista? Quando guardiamo nell’acqua fiammeggiante, possiamo vederle, e vedere coloro che vi abitano. Controllarle sarebbe la semplicità stessa...»

Raistlin si alzò in piedi. Avvicinatosi alla finestra, fissò la città scintillante che si stendeva davanti a lui. Sentendo l’eccitazione del suo maestro, Dalamar lasciò la seggiola e lo seguì.

«Potrei darti quel regno, Dalamar,» disse Raistlin con voce sommessa. Scostò la tenda con la mano, si attardò con lo sguardo sulle luci che brillavano con più calore delle stelle in alto. «Potrei darti non soltanto la sovranità sui tuoi miserabili consanguinei, ma il controllo su tutti gli elfi di Krynn.»

Raistlin scrollò le spalle. «Potrei darti mia sorella.»

Voltando le spalle alla finestra, Raistlin fissò Dalamar, il quale lo osservava con ansia.

«Ma non m’importa nulla di tutto questo.» Raistlin fece un gesto di ripulsa lasciando cadere la tenda. «Nulla di nulla. La mia ambizione va oltre.»

«Ma, Shalafi, non rimane molto se rifiuti il mondo.» Dalamar esitò, senza capire. «A meno che tu non abbia visto mondi al di là di questo, che sono nascosti ai miei occhi...»

«Mondi al di là?» Raistlin rifletté. «Un pensiero interessante. Forse un giorno dovrei considerare questa possibilità. Ma no, non è questo che intendevo.» Il mago fece una pausa e con un movimento della mano fece segno a Dalamar di avvicinarsi di più.

«Hai visto la grande porta proprio in fondo al laboratorio? La porta di acciaio con rune d’argento e d’oro incise sopra? La porta senza una serratura?»

«Sì... Shalafi,» rispose Dalamar sentendosi percorrere da un brivido che neppure lo strano calore del corpo di Raistlin così vicino a lui poteva scacciare.

«Sai dove conduce quella porta?»

«Sì... Shalafi.» Un sussurro.

«E sai perché non è aperta?»

«Non si può aprirla, Shalafi. Soltanto qualcuno che possieda una grande e potente magia, insieme a qualcuno dotato di veri poteri sacri, potrebbero aprirla...». Dalamar ristette, la gola gli si chiuse per la paura, soffocandolo.

«Sì,» mormorò Raistlin. «Tu capisci. “Qualcuno che abbia veri poteri sacri”. Adesso sai perché ho bisogno di Lei! Adesso capisci le vette, e gli abissi, della mia ambizione,»

«Questa è follia!» Dalamar rantolò, poi abbassò gli occhi per la vergogna. «Perdonami, Shalafi, non intendevo mancarti di rispetto.»

«No, e hai ragione. È follia, con i miei limitati poteri.» Una punta di amarezza tinse la voce del mago. «È per questo che sto per intraprendere un viaggio.»

«Un viaggio?» Dalamar sollevò lo sguardo. «Dove?»

«Non dove, quando,» lo corresse Raistlin. «Mi hai sentito parlare di Fistandantilus?»

«Molte volte, Shalafi,» disse Dalamar, in tono quasi riverente. «Il più grande del nostro Ordine, Quelli sono i libri dei suoi incantesimi, quelli con la rilegatura azzurro-notte.»

«Inadeguati,» borbottò Raistlin, liquidando l’intera biblioteca con un gesto. «Li ho letti tutti, molte volte, durante questi ultimi anni, sin da quando ho ottenuto la chiave dei loro segreti dalla Regina delle Tenebre in persona. Ma servono soltanto a frustrarmi!». Raistlin serrò la mano sottile. «Ho letto questi libri d’incantesimi e vi trovo delle grandi lacune, mancano interi volumi! Forse sono andati distrutti durante il Cataclisma, o più tardi, nel corso delle Guerre di Porta dei Nani che causarono la rovina di Fistandantilus. Questi volumi mancanti, queste sue conoscenze che sono andate perdute, mi daranno il potere di cui ho bisogno!»

«E così, il tuo viaggio ti porterà...» Dalamar ristette incredulo.

«Indietro nel tempo,» terminò Raistlin con calma. «Ai giorni immediatamente precedenti al Cataclisma, quando Fistandantilus era al culmine del suo potere.»

Dalamar si sentiva stordito, i suoi pensieri erano un turbine confuso. Loro cosa avrebbero detto?

Fra tutte le ipotesi fatte non avevano certo previsto questa!

«Calmati, mio apprendista.» La voce sommessa di Raistlin parve giungere da molto lontano. «Ti sei spaventato. Un po’ di vino?»

Il mago andò a un tavolo. Sollevando una caraffa versò un bicchierino d’un liquido rosso sangue e lo porse all’elfo scuro. Dalamar lo prese con gratitudine, sorpreso nel constatare che la mano gli tremava. Raistlin versò un bicchierino anche per sé:

«Non bevo spesso questo vino forte, ma a quanto pare stanotte faremo bene a festeggiare. Un brindisi a... come hai detto... a qualcuno che abbia veri poteri sacri. A Dama Crysania, dunque!»

Raistlin bevve il vino a piccoli sorsi. Dalamar mandò giù il suo tutto d’un fiato. Quel liquido ardente lo morse nella gola. Tossì.

«Shalafi, se il Vivo ha riferito correttamente, Lord Soth ha lanciato un incantesimo su Dama Crysania, eppure è ancora viva. Le hai ridato la vita?»

Raistlin scosse la testa. «No, le ho dato soltanto dei segni visibili di vita, cosicché il mio caro fratello non la seppellisse. Non posso essere sicuro di ciò che è accaduto, ma non è difficile indovinarlo. Vedendo il cavaliere della morte davanti a lei, e conoscendo il proprio destino, la Reverenda Figlia ha combattuto l’incantesimo con la sola arma che aveva, ed era anche un’arma potente, il sacro medaglione di Paladine. Il dio l’ha protetta, trasportando la sua anima nel regno in cui dimorano gli dei, lasciando il suo corpo sul terreno come un guscio vuoto. Non c’è nessuno, neppure io, che possa rimettere insieme la sua anima e il suo corpo. Soltanto un grande chierico di Paladine ha quel potere.»

«Elistan?»

«Bah, quell’uomo è malato, morente...»

«Allora l’hai perduta!»

«No,» replicò Raistlin con gentilezza. «Non riesci a capire, apprendista. A causa della disattenzione ho perduto il controllo, ma l’ho presto riguadagnato. Non soltanto questo: farò in modo che ciò vada a mio vantaggio. Già adesso si stanno avvicinando alla Torre della Grande Stregoneria. Crysania andava là per cercare l’aiuto dei maghi. Quando arriverà troverà quell’aiuto e anche mio fratello lo troverà.»

«Vuoi che loro la aiutino?» chiese Dalamar, confuso. «Crysania trama per distruggerti!»

Raistlin sorseggiò in silenzio il vino, osservando intensamente il giovane apprendista. «Pensaci, Dalamar,» disse con voce sommessa, «pensaci, e arriverai a capire. Ma,» il mago mise giù il bicchiere vuoto, «ti ho trattenuto anche troppo a lungo.»