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«Crysania...» disse Caramon, cominciando a tornare indietro. «Dovremo preparare una lettiga. Dovrai aiutarmi...» Ma prima di riuscire a finire la frase s’interruppe, fissando con stupore due figure vestite di bianco che stavano fluttuando fuori dal bosco dorato. I cappucci bianchi erano abbassati sulle teste così da celare i volti. Entrambi s’inchinarono davanti a lui con solennità, poi attraversarono la radura fino al punto in cui Crysania giaceva immersa in un sonno simile alla morte. Sollevando senza difficoltà il suo corpo immobile, la trasportarono con delicatezza fin là, dove si trovava Caramon. Giunti ai bordi della Foresta si fermarono, voltando le teste incappucciate, guardandolo come in attesa.

«Credo che aspettino che tu entri per primo, Caramon,» disse Tas, in tono allegro. «Tu vai pure avanti, io prendo Bupu.»

La nana dei burroni era rimasta al centro della radura, fissando la foresta con profondo sospetto... un sospetto che anche Caramon, guardando le due figure vestite di bianco condivise.

«Chi siete?» chiese.

Non risposero. Rimasero lì ad aspettare.

«Che importa chi sono?» esclamò Tas, agguantando Bupu con mano impaziente e trascinandola con sé, con la sacca che le sbatteva contro i calcagni.

Caramon corrugò la fronte. «Andate voi per primi.» Indicò le figure vestite di bianco, ma queste non dissero niente, e neppure si mossero.

«Perché aspettate che sia io ad entrare in quella Foresta?» Caramon fece un passo indietro. «Andate avanti,» disse con un gesto. «Portatela alla Torre. Voi potete aiutarla. Non avete bisogno di me...»

Le figure non parlarono, ma una di loro sollevò una mano, indicando.

«Su, Caramon,» lo sollecitò Tas. «Guarda, è come se ci stesse invitando!»

Non ci daranno fastidio, fratello... Siamo stati invitati! Le parole di Raistlin pronunciate sette anni prima.

«I maghi ci hanno invitato. Non mi fido di loro.» Caramon ripetè sottovoce la risposta che aveva dato allora.

D’un tratto l’aria si riempì di risate: risate strane, arcane, sussurranti. Bupu buttò le braccia intorno alle gambe di Caramon, aggrappandosi a lui in preda al terrore. Perfino Tasslehoff parve un po’ sconcertato. E poi giunse una voce, come quella che Caramon aveva sentito sette anni prima.

Questo comprende anche me, caro fratello?

Capitolo undicesimo

L’orrenda apparizione si avvicinò sempre di più. Crysania era in preda a una paura che non aveva mai conosciuto prima. Mentre si ritraeva davanti ad essa Crysania, per la prima volta nella sua vita, contemplò la morte, la propria morte. Non era quella pacifica transizione verso un regno beato nella cui esistenza aveva sempre creduto. Era un dolore selvaggio, un’oscurità ululante, giorni e notti eterni trascorsi a invidiare i vivi.

Cercò di gridare per chiedere aiuto, ma la voce le venne meno. Non c’era nessuno che potesse aiutarla, comunque. Il guerriero ubriaco giaceva in una pozza di sangue. Le sue arti guaritone l’avevano salvato, ma avrebbe dormito per lunghe ore. Il kender non poteva aiutarla. Niente poteva aiutarla contro questo...

La figura scura continuava ad avanzare, ad ogni istante era più vicina. Corri! le urlava la mente. Ma le sue gambe non le obbedivano. Non potè fare altro che arretrare strisciando, e poi il suo corpo parve muoversi di propria volontà senza che lei facesse nulla. Non riusciva neppure a distogliere lo sguardo da lui. Le tremolanti luci arancione che erano i suoi occhi la imprigionavano.

L’apparizione sollevò una mano, una mano spettrale. Lei poteva vedere attraverso quella mano gli alberi retrostanti ombreggiati dalla notte. La luna d’argento era alta nel cielo, ma non era la sua vivida luce quella che traeva riflessi dall’antica armatura di un Cavaliere di Solamnia morto da moltissimo tempo. La creatura risplendeva di una propria luce corrotta, ardendo dell’energia della sua immonda putrefazione. La mano si sollevò sempre più in alto, e Crysania sapeva che quando fosse arrivata all’altezza del suo cuore, lei sarebbe morta.

Attraverso le labbra intorpidite dalla paura, Crysania invocò un nome. «Paladine,» pregò. La paura non la lasciò, non riuscì ancora a strappar via la propria anima dallo sguardo terribile di quegli occhi fiammeggianti. Ma portò la mano alla gola.

Afferrò il medaglione e lo strappò via dal collo. Sentendo che le forze le venivano meno, Crysania sollevò la mano. Il medaglione di platino rifletté la luce di Solinari e avvampò d’un bagliore biancoazzurro. L’orrenda apparizione parlò: «Muori!».

Crysania si sentì cadere. Il suo corpo si abbatté sul terreno, ma il terreno non la fermò. Stava cadendo attraverso di esso, oppure lontano da esso, cadendo... cadendo... chiudendo gli occhi... dormendo... sognando...

Era in un fitto bosco di querce. Mani bianche le ghermivano i piedi, bocche spalancate cercavano di berle il sangue. L’oscurità era interminabile, gli alberi la deridevano, i loro rami crepitanti esplodevano in orrende risate.

«Crysania,» sussurrò una voce soave.

Chi mai pronunciava il suo nome parlando dall’ombra delle querce? Poteva vederlo, in mezzo a una radura, abbigliato di nero.

«Crysania,» ripetè la voce.

«Raistlin!» singhiozzò Crysania con gratitudine. Uscendo fuori da quel terrorizzante bosco di querce, correndo e incespicando, fuggendo da quelle mani bianche come ossa che cercavano di trascinarla giù per farle patire insieme a loro gli incessanti tormenti, Crysania sentì delle braccia sottili che la trattenevano. Sentì uno strano tocco bruciante di esili dita.

«Riposa tranquilla, Reverenda Figlia,» disse la voce in tono sommesso. Tremando fra quelle braccia Crysania chiuse gli occhi. «Le tue prove sono finite. Hai attraversato indenne il Bosco. Non avevi nulla da temere, Dama. Avevi il mio amuleto.»

«Sì,» mormorò Crysania. Si toccò la fronte con la mano, là dove le labbra di lui le avevano premuto la pelle. Poi, rendendosi conto di cosa aveva vissuto, e rendendosi anche conto di aver permesso che lui la vedesse cedere alla debolezza, Crysania spinse via le braccia del mago.

Tenendosi lontana da lui, lo guardò con freddezza.

«Perché ti circondi di cose così immonde?» volle sapere. «Perché senti il bisogno di... di simili guardiani?». Suo malgrado la voce le tremava.

Raistlin la guardò con espressione pacata. «Di quale genere di guardiani ti circondi tu, Reverenda Figlia?» le chiese. «Quali tormenti patirei se mettessi piede sul terreno sacro del Tempio?»

Crysania aprì la bocca per dargli una risposta bruciante, ma le parole le morirono sulle labbra. In verità il Tempio si trovava su un terreno consacrato a Paladine. Se qualcuno che venerava la Regina delle Tenebre avesse varcato i suoi confini, avrebbe sentito la collera di Paladine. Crysania vide sorridere Raistlin, le sue labbra sottili si contrassero. Sentì la propria pelle coprirsi di rossore. Come riusciva a farle questo? Mai nessun uomo era riuscito ad umiliarla così! Mai nessun uomo aveva sconvolto a tal punto la sua mente!

Sin dalla sera in cui aveva incontrato Raistlin nella casa di Astinus, Crysania non era stata più in grado di bandirlo dai suoi pensieri. Aveva atteso con impazienza di poter visitare la Torre quella notte... con impazienza e timore allo stesso tempo. Aveva raccontato a Elistan ogni particolare della sua conversazione con Raistlin, tutto, ma non gli aveva riferito dell’amuleto che lui le aveva dato.

Per qualche motivo non era riuscita a indursi a dire a Elistan che Raistlin l’aveva toccata, l’aveva...

No, non glielo aveva detto.

Già così Elistan era rimasto alquanto turbato. Conosceva Raistlin, l’aveva conosciuto tempo addietro, poiché il mago era stato uno dei compagni che avevano salvato il chierico dalla prigione di Verminaard a Pax Tharkas. Elistan non si era mai fidato di Raistlin, né il mago gli era mai davvero piaciuto. Il chierico non era rimasto sorpreso nell’apprendere che il mago aveva indossato le Vesti Nere. Non era rimasto sorpreso nell’udire l’avvertimento che Crysania aveva ricevuto da Paladine.