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Par-Salian rifletté su tutto questo mentre si trovava all’interno delle sue stanze, nella più settentrionale delle due alte torri, osservando Caramon e il suo piccolo seguito che venivano verso i cancelli.

Mentre Caramon ricordava il passato, così lo ricordava anche Par-Salian. Qualcuno si chiedeva se lo ricordasse con rincrescimento. No, disse in silenzio, osservando Caramon che avanzava lungo il sentiero, con la spada da battaglia che gli sbatteva sferragliando contro le cosce inflaccidite. Non mi rammarico per il passato. Mi venne offerta una terribile scelta, e la feci.

Chi può mettere in discussione gli dei? Mi hanno chiesto una spada. Ne ho trovata una. E, come tutte le spade, era a doppio taglio.

Caramon e il suo gruppo erano arrivati alla porta esterna. Non c’erano guardie. Un minuscolo campanello d’argento suonò nell’alloggio di Par-Salian.

Il vecchio mago sollevò la mano. La porta si spalancò.

Era l’imbrunire quando varcarono l’ingresso esterno della Torre della Grande Stregoneria. Tas si guardò intorno, sorpreso. Un attimo prima era ancora mattina. O per lo meno, gli era parso che fosse mattina! Sollevando lo sguardo vide dei raggi rossi che striavano il cielo, riflettendosi con luccichii arcani sulle mura di pietra levigata della Torre.

Tas scosse la testa. «Come fanno a sapere l’ora da queste parti?» si chiese. Si trovava in un grande cortile cinto dalle mura esterne e dalle due torri interne: un cortile spoglio e desolato. Pavimentato con quadrelli grigi, appariva freddo e sgraziato. Non vi crescevano fiori, nessun albero interrompeva l’implacabile monotonia della pietra grigia. E Tas notò, con disappunto, che era vuoto. Non c’era assolutamente nessuno lì intorno.

O forse sì? Tas colse un movimento fugace con la coda dell’occhio, un bianco svolazzare. Ma quando si girò di scatto fu sorpreso nel constatare che era scomparso. Là non c’era nessuno. E poi, vide con la coda dell’altro occhio, un volto e una mano e una manica rossa. Vi puntò direttamente gli occhi, e non c’era più! D’un tratto Tas ebbe l’impressione di essere circondato da gente che andava e veniva parlando, oppure se ne stava là senza far niente con lo sguardo fisso nel vuoto, o perfino dormiva! Eppure il cortile era ancora silenzioso, ancora vuoto.

«Devono esserci dei maghi che stanno facendo la Prova!» esclamò Tas con reverenziale sgomento.

«Raistlin mi diceva che viaggiano dappertutto, ma non immaginavo niente del genere! Mi chiedo se possono vedermi. Pensi che potrei toccarne uno, Caramon, se... Caramon?»

Tas sbatté le palpebre. Caramon non c’era più! Bupu non c’era più! Le figure dalle vesti bianche e Dama Crysania non c’erano più. Era solo!

Ma non per molto. Vi fu un lampo di luce gialla, un fetore orrendo, e un mago abbigliato di nero torreggiò sopra di lui. Il mago protese una mano... una mano di donna. «Sei stato convocato.»

Tas deglutì. Lentamente sollevò una mano. Le dita della donna si chiusero attorno al suo polso. Tas rabbrividì al loro freddo contatto. «Forse mi verrà fatta una magia!» disse fra sé, speranzoso.

Il cortile, le mura di pietra nera, le strisce rosse della luce del sole, i quadrelli grigi, tutto cominciò a dissolversi intorno a Tas, scivolando fuori dagli orli della sua visuale, come un dipinto inzuppato di pioggia. Profondamente deliziato, il kender sentì le vesti nere della donna avvolgergli tutt’intorno, quindi gli vennero rimboccate intorno al mento...

Quando Tasslehoff riprese i sensi, giaceva su un pavimento di pietra molto duro e molto freddo. Accanto a lui, Bupu russava beatamente. Caramon si era rizzato a sedere, scuotendo la testa, cercando di liberarla dalle ragnatele che sembravano avvolgerla.

«Ouch.» Tas si sfregò la nuca. «Strano alloggio, Caramon,» grugnì, alzandosi in piedi. «Ti verrebbe da pensare che potrebbero almeno far spuntare qualche letto dal pavimento, con la loro magia. E se vogliono che qualcuno si faccia un pisolino, perché non lo dicono, invece di mandare... oh...».

Sentendo la voce di Tasslehoff trasformarsi in uno strano gorgoglio, Caramon sollevò di scatto la testa.

Non erano soli.

«Conosco questo posto,» bisbigliò Caramon.

Si trovavano in un’enorme stanza scavata nell’ossidiana. Era così vasta che il suo perimetro si smarriva in mezzo alle ombre, e così alta che anche il suo soffitto si perdeva nell’oscurità. Nessun pilastro sorreggeva il soffitto, e non si vedevano fonti luminose. Eppure c’era luce, anche se era impossibile dire da dove prendesse origine. Una luce pallida, bianca, priva di sfumature. Fredda e squallida, non emanava nessun calore.

L’ultima volta che Caramon si era trovato in quella stanza, la luce aveva illuminato un vegliardo vestito di bianco, seduto su un grande seggio di pietra. Questa volta la luce illuminava lo stesso vecchio, ma non era più solo. Un semicerchio di sedie di pietra era disposto intorno a lui, esattamente ventuno. L’uomo vestito di bianco sedeva al centro. Alla sua sinistra c’erano tre figure indistinte, era difficile dire se fossero maschi o femmine o appartenenti a qualche altra razza. Avevano cappucci quasi del tutto abbassati sui loro volti. Erano vestiti di rosso. Alla loro sinistra sedevano sei figure, tutte vestite di nero. Fra queste c’era una sedia vuota. Alla destra del vecchio sedevano altre quattro figure vestite di rosso e, alla loro destra, sei vestite tutte di bianco. Dama Crysania giaceva sul pavimento davanti a loro, il suo corpo era disteso su un giaciglio bianco, coperto di lino bianco.

Di tutto quel conclave, soltanto la faccia del vecchio era visibile.

«Buona sera,» disse Tasslehoff, inchinandosi e arretrando, e continuando a farlo finché non andò a sbattere addosso a Caramon. «Chi è questa gente?» gli chiese il kender, con voce non troppo sommessa. «E cosa ci fanno nella nostra camera da letto?»

«Il vecchio al centro è Par-Salian,» rispose Caramon, bisbigliando. «E non siamo in camera da letto. Questa è la sala centrale, la Sala dei Maghi, o qualcosa di simile. Sarà meglio che tu svegli la nana dei burroni.»

«Bupu!» Tas tirò un calcio alla nana addormentata.

«Feccia di ghiottonvorace!» ringhiò la nana, rotolando su se stessa, gli occhi cocciutamente chiusi.

«Vai via. Me dormire.»

«Bupu!» Tas era disperato; gli occhi del vecchio sembravano trapassarlo. «Ehi, svegliati. È ora di cena.»

«Cena!». Aprendo gli occhi, Bupu balzò in piedi. Guardandosi intorno con avidità, vide le venti figure impaludate, sedute là in silenzio, i volti invisibili sotto i cappucci.

Bupu cacciò un urlo da coniglio torturato. Fece un balzo convulso e si lanciò addosso a Caramon, serrandogli le braccia intorno alla caviglia in una stretta micidiale. Conscio dei molti occhi luccicanti che lo guardavano, Caramon cercò di scrollarsela di dosso, ma la cosa risultò impossibile. Si teneva aggrappata a lui come una sanguisuga, tremando, fissando i maghi in preda al terrore. Alla fine Caramon rinunciò.

Il volto del vecchio s’increspò in quello che avrebbe potuto essere un sorriso. Tas vide Caramon che abbassava lo sguardo impacciato sui propri indumenti puzzolenti. Vide l’omone toccarsi la mascella ispida e passarsi una mano tra i capelli arruffati. Imbarazzato, il grosso guerriero arrossì. Poi la sua espressione s’indurì. Quando parlò, lo fece con semplicità e decoro.

«Par-Salian,» disse Caramon, le sue parole rimbombarono nell’ampia sala in penombra, «ti ricordi di me?»

«Mi ricordo di te, guerriero,» replicò il mago. La sua voce era sommessa, eppure risuonò ugualmente nella sala. In quella sala si sarebbe udito anche un bisbiglio morente.

Non disse altro. Nessun altro dei maghi parlò. Caramon si agitò a disagio. Alla fine indicò Dama Crysania. «L’ho portata qui sperando che tu possa aiutarla. Puoi farlo? Si riprenderà?»