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«La verità potrebbe distruggerlo,» disse Justarius.

«C’è assai poco da distruggere, se vuoi la mia opinione,» osservò Ladonna con freddezza. Si alzò in piedi. Justarius si alzò con lei, barcollando un po’ fino a quando non riuscì a rimettersi in equilibrio sulla gamba storpiata. «Fintanto che ti sbarazzerai della donna, m’importa assai poco di ciò che farai dell’uomo, Par-Salian. Se pensi che possa lavare il sangue dalle tue vesti, allora aiutalo pure.» Esibì un torvo sorriso. «In un certo senso trovo la cosa molto divertente. Forse, a mano a mano che invecchiamo, non siamo poi tanto diversi, non è vero, mio caro?»

«Le differenze ci sono sempre, Ladonna,» replicò Par-Salian, con uno stanco sorriso. «Sono i contorni nitidi e distinti che cominciano a sbiadire e a farsi confusi alla nostra vista. Questo significa che le Vesti Nere si conformeranno alla mia decisione?»

«Pare che non abbiamo altra scelta,» constatò Ladonna, senza emozione. «Se fallirai...»

«Goditi la mia caduta,» disse Par-Salian, sarcastico.

«Lo farò,» rispose la donna con voce sommessa. «Ancora di più perché con ogni probabilità sarà l’ultima cosa che mi godrò in questa vita. Arrivederci, Par-Salian.»

«Una donna saggia,» osservò Justarius, quando la porta si fu chiusa alle sue spalle.

«Una rivale degna di te, amico mio.» Par-Salian tornò alla sua sedia dietro la scrivania. «Mi godrò lo spettacolo di voi due che vi darete battaglia per il mio posto.»

«Spero in tutta sincerità che ti sia possibile farlo,» disse Justarius, con la mano sulla porta.

«Quando lancerai l’incantesimo?»

«Domattina sul presto,» disse Par-Salian con voce grave. «Ci vogliono giorni di preparativi, ma ho già passato lunghe ore a lavorarci sopra. Non ho nessuno, neppure un apprendista. Alla fine sarò esausto. Occupati dello scioglimento del Conclave, vuoi farlo, amico mio?»

«Certo. E il kender e la nana dei burroni?»

«Rimanda a casa la nana dei burroni con qualunque piccolo tesoro che tu pensi possa piacerle. Quanto al kender,» Par-Salian sorrise, «puoi mandarlo dovunque voglia andare, escluse le lune, s’intende. In quanto al tesoro, sono certo che il kender ne avrà acquisito una quantità sufficiente prima di andarsene. Controlla di nascosto le sue borse ma, se non c’è niente d’importante, lascia pure che tenga quello che ha “trovato”.»

Justarius annuì. «E Dalamar?».

Il volto di Par-Salian s’incupì. «Senza dubbio l’elfo scuro se n’è già andato. Non avrebbe mai fatto aspettare il suo Shalafi.» Par-Salian batté le dita sulla scrivania, la fronte increspata per la frustrazione. «Quello che Raistlin possiede è un fascino ben strano! Tu non l’hai mai incontrato, vero? No. L’ho provato anch’io e non riesco a capire...»

«Forse io posso,» disse Justarius. «Tutti hanno riso di noi a un certo punto della nostra vita. Siamo tutti stati gelosi di un fratello germano. Tutti abbiamo provato dolore e abbiamo sofferto. E tutti abbiamo ambito, almeno una volta, ad avere il potere per schiacciare i nostri nemici. Lo odiamo. Lo temiamo soltanto perché c’è un po’ di lui in tutti noi, anche se lo ammettiamo a noi stessi soltanto nei momenti più bui della notte.»

«Sempre che lo ammettiamo. Quella donna, quel chierico sventurato! Perché mai doveva trovarsi coinvolta in questa faccenda?». Par-Salian si prese la testa fra le mani che gli tremavano.

«Arrivederci, amico mio,» disse Justarius, a bassa voce. «Ti aspetterò fuori del laboratorio, se avrai bisogno di aiuto quando tutto sarà finito.»

«Grazie,» bisbigliò Par-Salian senza sollevare la testa. Justarius uscì dallo studio con passo barcollante. Ma chiuse la porta troppo in fretta: l’orlo della sua veste rossa vi rimase impigliato, e fu costretto a riaprirla per liberarlo. Prima di chiudere di nuovo la porta sentì che qualcuno piangeva.

Capitolo quindicesimo.

Tasslehoff Burrfoot era annoiato. E, come tutti sanno, non c’è niente di più pericoloso su Krynn d’un kender annoiato.

Tas, Bupu e Caramon avevano terminato il loro pasto, un pasto assai monotono. Caramon, smarrito nei suoi pensieri, non aveva detto una sola parola, ma era rimasto seduto avvolto in un desolante silenzio, divorando con aria assente quasi tutto ciò che aveva sott’occhio. Bupu non si era neppure seduta. Agguantata una scodella, ne aveva tirato fuori il contenuto con le mani cacciandoselo in bocca con una perizia che era frutto d’una lunga esperienza acquisita alle tavole dei nani dei burroni.

Messa giù la prima scodella, ne aveva attaccata una seconda e ripulito un piatto dal sugo, per poi passare al burro, allo zucchero e alla crema, concludendo con mezzo piatto di purè di patate prima che Tasslehoff si fosse reso conto di ciò che stava accadendo. Era riuscito a malapena a salvare la saliera.

«Ah,» esclamò Tas in tono allegro. Allontanando da sé il piatto vuoto, cercò d’ignorare la vista di Bupu che lo agguantava a sua volta e lo puliva con la lingua. «Mi sento molto meglio. E tu, Caramon? Andiamo ad esplorare!»

«Esplorare!» Caramon gli rivolse un’occhiata talmente terrorizzata che Tas rimase momentaneamente sconcertato. «Sei pazzo? Non metterei piede fuori da quella porta neanche per tutte le ricchezze di Krynn!»

«Davvero?» chiese Tas, veemente. «Perché no? Oh, dimmi Caramon! Cosa c’è là fuori?»

«Non lo so.» L’omone rabbrividì. «Ma non può che essere orribile.»

«Non ho visto nessuna guardia...»

«No, e c’è una maledetta ragione perché non ce ne siano,» ringhiò Caramon. «Qui non hanno bisogno di guardie. Vedo l’espressione che hai negli occhi, Tasslehoff, perciò dimenticatene subito! Anche se ce la facessi a uscire da questa stanza,» Caramon rivolse alla porta un’occhiata possessionata, «cosa di cui dubito... finiresti tra le braccia d’un cadavere o anche peggio!»

Tas spalancò gli occhi. Riuscì comunque a soffocare un’esclamazione deliziata. Abbassando lo sguardo sulle proprie scarpe, borbottò: «Già, Immagino che tu abbia ragione, Caramon. Mi ero dimenticato di dove ci troviamo.»

«Credo proprio di sì,» replicò Caramon con severità. Sfregandosi le Spalle doloranti, l’omone gemette: «Sono stanco morto. Devo dormire un po’. Tu e quella-come-si-chiama coricatevi anche voi. D’accordo?»

«Certo, Caramon,» annuì Tasslehoff.

Bupu, producendo un rutto di soddisfazione, si era già avvoltolata in un tappeto davanti al fuoco, usando come cuscino quanto rimaneva di una scodella di purè di patate.

Caramon lanciò al kender un’occhiata carica di sospetto. Tas assunse l’espressione più innocente che un kender potesse assumere. Come risultato Caramon agitò con grande severità un dito verso di lui.

«Promettimi che non lascerai questa stanza, Tasslehoff Burrfoot. Promettimelo come lo prometteresti... diciamo a Tanis, se fosse qui.»

«Lo prometto,» rispose Tas con solennità, «proprio come lo prometterei a Tanis... se fosse qui.»

«Bene,» sospirò Caramon e crollò sul letto che scricchiolò di protesta, col materasso che sprofondò fino al pavimento sotto il peso dell’omone. «Immagino che qualcuno ci sveglierà, quando decideranno quello che vogliono fare.»

«Andrai davvero indietro nel tempo, Caramon?» chiese Tas con voce carica di desiderio, sedendosi sul proprio letto e fingendo di slacciarsi gli stivali.

«Sì, certo. Non è una gran cosa,» mormorò Caramon con voce assonnata. «Adesso fatti una dormita e... grazie, Tas. Mi sei stato... mi sei stato di grande aiuto...». Le parole si smorzarono in un sonoro russare.

Tas rimase perfettamente immobile, aspettando fino a quando il respiro di Caramon divenne costante e regolare. Non ci volle molto, poiché l’omone era fisicamente ed emotivamente esausto.