Guardando il volto pallido di Caramon, logorato dalle preoccupazioni e rigato di lacrime, il kender sentì per un attimo rimordergli la coscienza. Ma i kender sono abituati a trattare con i rimorsi di coscienza proprio come gli umani sono abituati a trattare con le punture delle zanzare.
«Non saprà mai che sono uscito,» disse Tas fra sé mentre sgusciava sul pavimento passando davanti al letto di Caramon. «E in effetti non è a lui che ho promesso di non andare da nessuna parte. L’ho promesso a Tanis. E Tanis non è qui, perciò la promessa non conta. Inoltre sono sicuro che lui avrebbe voluto esplorare, se non fosse stato così stanco.»
Quando Tas ebbe superato sempre strisciando il corpicino sozzo di Bupu, aveva ormai fermamente convinto se stesso che Caramon gli aveva ordinato di guardarsi intorno prima di andare a letto.
Saggiò la maniglia della porta con apprensione, ricordando gli ammonimenti di Caramon. Ma questa si aprì senza nessuna difficoltà. Allora siamo ospiti, non prigionieri. A meno che non ci fosse un cadavere di guardia all’esterno. Tas sporse la testa oltre il telaio della porta. Guardò lungo il corridoio, prima a destra e poi a sinistra. Niente. Nessun cadavere in vista. Sospirando un po’ per il disappunto, Tas sgusciò fuori della porta, poi la chiuse in silenzio alle proprie spalle.
Il corridoio si prolungava sia alla sua destra sia alla sua sinistra, scomparendo dietro angoli avvolti nell’ombra su entrambi i lati. Era spoglio, freddo e vuoto. Altre porte si aprivano sul corridoio, tutte buie, tutte chiuse. Non c’erano decorazioni di nessun genere né tendaggi alle pareti, nessun tappeto copriva il pavimento di pietra. Non c’erano neppure luci, né torce, né candele. A quanto pareva i maghi avrebbero dovuto procurarsele da soli, qualora fossero andati in giro dopo il calar del sole.
Una finestra a una delle due estremità lasciava filtrare la luce di Solinari, la luna d’argento, attraverso i pannelli di vetro, ma questo era tutto. Il resto del corridoio era immerso nel buio più completo. Tas pensò troppo tardi di reintrufolarsi nella stanza per prendere una candela. No. Se Caramon si fosse svegliato, avrebbe potuto non ricordare di aver detto al kender di andare ad esplorare.
«Farò una capatina in un’altra di queste stanze e prenderò a prestito una candela,» si disse Tas.
«Inoltre, è una buona maniera per incontrare gente.»
Scivolando lungo il corridoio, più silenzioso dei raggi della luna che danzavano sul pavimento, Tas raggiunse la porta successiva.
«Non busserò, nel caso in cui stiano dormendo,» ragionò, e girò con cautela la maniglia della porta.
«Ah, è chiusa a chiave!» disse, sentendosi immensamente incoraggiato. Questo gli avrebbe dato qualcosa da fare, almeno per alcuni minuti. Tirando fuori i suoi arnesi da scasso, li espose alla luce della luna per scegliere i fili di ferro della misura giusta per quella particolare serratura.
«Spero che non sia chiusa con un incantesimo,» borbottò e quel pensiero improvviso gli fece provare una sensazione di gelo. Sapeva che talvolta i maghi lo facevano, un’abitudine che il kender giudicava altamente contraria all’etica. Ma forse nella Torre della Grande Stregoneria, circondati da altri maghi, non avrebbero pensato che ne sarebbe valsa la pena. Voglio dire, chiunque potrebbe abbattere la porta con un soffio, ragionò Tas.
E infatti la serratura si aprì con facilità. Col cuore che gli batteva per l’eccitazione, Tas aprì la porta in silenzio e sbirciò dentro. La stanza era illuminata soltanto dal debole bagliore di un fuoco morente. Tese le orecchie.
Non riuscì a sentire nessuno all’interno, nessun russare o respirare, così entrò con passo felpato. I suoi occhi acuti trovarono il letto. Era vuoto. Non c’era nessuno in casa.
«Allora non gl’importerà se prendo a prestito la candela,» si disse il kender tutto felice. Trovato che ebbe una candela, accese lo stoppino con un carbone ardente. Poi si dedicò al delizioso compito di esaminare i beni degli occupanti, osservando, mentre lo faceva, che chiunque abitasse in quella stanza, non era una persona molto ordinata.
Circa due ore e molte stanze più tardi Tas stava tornando stancamente nella sua camera, con le borse gonfie degli oggetti più affascinanti... che era decisissimo a restituire ai proprietari il mattino seguente. Per la maggior parte li aveva prelevati da sopra i tavoli sui quali era ovvio che erano stati buttati con noncuranza. Non pochi altri li aveva trovati sul pavimento (era ovvio che i proprietari li avevano persi) e ne aveva perfino recuperati parecchi dalle tasche delle vesti che con tutta probabilità erano destinate a venir lavate nel qual caso gli oggetti sarebbero finiti certamente nel posto sbagliato.
Però, aguzzando gli occhi verso il fondo del corridoio, ebbe un grave shock quando vide la luce filtrare da sotto la loro porta!
«Caramon!» deglutì, ma nel medesimo istante cento scuse plausibili per giustificare il fatto di trovarsi fuori della stanza gli affluirono nel cervello. O forse Caramon non si era ancora accorto della sua assenza. Forse era ancora in preda ai fumi dello spirito dei nani. Prendendo in considerazione questa possibilità, Tas si avvicinò in punta di piedi alla porta chiusa della loro stanza e schiacciò l’orecchio contro di essa, ascoltando.
Sentì delle voci. Una la riconobbe prontamente: era quella di Bupu. L’altra... corrugò la fronte. Gli pareva familiare... dove mai gli era capitato di sentirla?
«Sì, ti rimanderò dall’Highpulp, se è là che vuoi andare. Ma prima devi dirmi dov’è l’Highpulp.»
La voce aveva un tono lievemente esasperato. A quanto pareva, la faccenda andava avanti da un po’. Tas applicò l’occhio al buco della serratura. Potè vedere Bupu con i capelli impiastricciati di purè di patate che fissava con sospetto una figura vestita di rosso. Adesso Tas ricordò dove aveva sentito quella voce! Quello era il mago presente al Conclave che aveva continuato a interrogare Par-Salian!
«Highbulp!» corresse Bupu, indignata. «Non Highpulp! E Highbulp è casa. Tu manda me casa.»
«Sì, naturalmente. Ora, dov’è la casa?»
«Dove Highbulp è.»
«E dov’è Highbulp?» chiese il mago vestito di rosso con una sfumatura di disperazione nella voce.
«Casa,» dichiarò Bupu succintamente. «Già detto te prima. Hai orecchie sotto tuo cappuccio? Forse tu sordo.» La nana dei burroni scomparve per un momento alla vista di Tas, tuffandosi dentro la sua sacca. Quando ricomparve stringeva in mano un’altra lucertola morta, con una cinghia di cuoio stretta intorno alla coda. «Me curare. Tu caccia coda in un orecchio e...»
«Grazie,» rispose precipitosamente il mago, «ma il mio udito è perfetto, te l’assicuro. Uhm, come chiami la tua casa? Qual è il suo nome?»
«Il Pitt. Con due ti. Bel nome, uh?» disse Bupu con orgoglio. «Idea di Highbulp. Lui mangiato libro una volta. Imparato un sacco. Qui tutto a posto!». Si accarezzò lo stomaco.
Tas si tappò la bocca con la mano per non scoppiare a ridere. Il mago vestito di rosso aveva gli stessi problemi. Tas vide le spalle dell’uomo scuotersi sotto le Vesti Rosse. Gli ci volle un bel po’ per rispondere. Quando lo fece, la sua voce aveva un leggero tremito.
«E con che nome gli umani chiamano il tuo, uhm, Pitt?»
Tas vide Bupu accigliarsi. «Nome stupido. Pare qualcuno che sputi. Skroth.»
«Skroth,» ripetè il mago vestito di rosso, perplesso. «Skroth,» borbottò. Poi fece schioccare le dita.
«Adesso ricordo. Il kender l’ha detto durante il Conclave. Xak Tsaroth?»
«Me detto questo già una volta. Tu sicuro non volere cura lucertola per orecchi? Metti cosa...?»
Con un profondo sospiro di sollievo, il mago vestito di rosso tenne la mano sopra la testa di Bupu,e Spruzzando quella che pareva polvere su di lei (Bupu starnutì con violenza) Tas sentì il mago salmodiare strane parole.
«Me andare a casa adesso?» chiese Bupu, speranzosa.
Il mago non rispose, continuò a salmodiare.
«Lui non carino,» borbottò la nana fra sé, starnutendo di nuovo mentre la polvere ricopriva lentamente i suoi capelli e il suo corpo. «Nessuno di loro carini. Non come mio grazioso uomo.» Si asciugò il naso, tirando su. «Lui non ride... Lui chiama me “piccolina”.»