Le meraviglie dei corridoi lasciarono il posto alle bellezze dell’anticamera dove le pareti correvano verso l’alto per sorreggere la cupola sovrastante, come la preghiera d’un mortale che ascendesse agli dei. Gli affreschi che rappresentavano gli dei erano dipinti in delicati colori.
Anch’essi parevano ardere di luce propria: Paladine, il Drago di Platino, il Dio del Bene; Gilean del Libro, Dio della Neutralità. Qui era rappresentata perfino la Regina delle Tenebre, poiché il Gran Sacerdote non avrebbe offeso apertamente nessun dio. Era raffigurata come un drago a cinque teste, ma un drago così docile e inoffensivo che Denubis si chiedeva se non fosse sul punto di rotolare su se stesso per andare a leccare il piede di Paladine.
Però, pensò questo soltanto più tardi, dopo aver riflettuto. In quel momento era troppo nervoso anche soltanto per guardare quei meravigliosi dipinti. Il suo sguardo era fisso sulla porta di platino accuratamente lavorata che si apriva sul cuore del Tempio stesso.
La porta si aprì, irradiando una luce gloriosa. Era giunta l’ora della sua udienza.
La Sala delle Udienze dava subito a coloro che vi accedevano la sensazione della propria umiltà e mansuetudine. Questo era il cuore della bontà. Qui venivano rappresentati la gloria e il potere della chiesa. La porta si apriva su un’immensa sala circolare dal pavimento di bianco, levigato granito. Il pavimento proseguiva verso l’alto per formare le pareti modellate come i petali d’una gigantesca rosa che s’innalzava verso il cielo per sorreggere una grande cupola. La cupola stessa era di cristallo smerigliato, che assorbiva il bagliore del sole e delle lune. La loro radiosità riempiva ogni punto della sala.
Una grande onda arcuata di schiuma marina svettava al centro del pavimento arrivando fin dentro a un’alcova che si trovava sul lato opposto a quello della porta. Qui si ergeva un singolo trono. La luce e il calore che s’irradiavano da quel trono erano ancora più brillanti della luminosità che scendeva a fiotti dalla cupola.
Denubis entrò nella stanza a testa china e con le mani congiunte davanti a sé, come si conveniva.
Era sera, e il sole adesso era tramontato. La sala nella quale Denubis entrò era illuminata soltanto da candele. Eppure, come sempre, Denubis provò la chiara impressione d’essere entrato in un cortile all’aria aperta inondato dalla luce del sole.
E in verità, per un momento, i suoi occhi furono abbagliati da quel chiarore. Tenendo, come si conveniva, lo sguardo abbassato fino a quando non gli fosse stato dato il permesso di sollevarlo, intravide il pavimento, gli oggetti e le persone presenti nella Sala. Vide la scalinata mentre la saliva.
Ma la radiosità che proveniva dal davanti della stanza era talmente splendida che non notò, letteralmente, nient’altro.
«Solleva la testa, Reverendo Figlio di Paladine,» intonò una voce così melodiosa che fece venire le lacrime agli occhi di Denubis proprio qualche istante dopo che l’adorabile canto delle donne elfo si era rivelato del tutto incapace a commuoverlo.
Denubis sollevò lo sguardo, e la sua anima tremò per lo sgomento.
Erano passati due anni da quando si era trovato, l’ultima volta, così vicino al Gran Sacerdote, e il tempo aveva appannato la sua memoria. Com’era diverso osservarlo ogni mattina da lontano, vederlo come si contempla il sole che compare all’orizzonte, crogiolandosi nel suo calore, rallegrandosi fin nel profondo della sua luce e, invece, essere convocati alla presenza del sole, trovarsi davanti ad esso e sentire la propria anima ardere nella chiarezza e nella purezza del suo splendore.
D’ora in avanti lo ricorderò, pensò Denubis con severità. Ma nessuno, quand’era ritornato da un’udienza con il Gran Sacerdote, riusciva a ricordare esattamente quale aspetto aveva. In effetti, appariva sacrilego tentare di farlo, quasi che pensare a lui in termini di pura carne fosse una dissacrazione. Si riusciva soltanto a ricordare di essersi trovati alla presenza di qualcosa d’incredibilmente bello. Un’aura luminosa circondava Denubis, ma questa venne immediatamente lacerata dal più terribile senso di colpa, a causa dei dubbi, dei timori e degli interrogativi. In contrasto con il Gran Sacerdote, Denubis vedeva se stesso come la più sventurata creatura su Krynn. Cadde sulle ginocchia implorando perdono, quasi del tutto inconsapevole di ciò che stava facendo, sapendo soltanto che era la cosa giusta da fare.
E il perdono gli venne concesso. La voce musicale parlò, e Denubis si sentì immediatamente colmare da una sensazione di pace e di calma soave. Si rialzò, e guardò il Gran Sacerdote con reverente umiltà, e lo pregò di dirgli in qual modo avrebbe potuto servirlo.
«Hai condotto al Tempio, questa mattina, una giovane donna, una Reverenda Figlia di Paladine,» disse la voce, «e a quanto ci è dato di sapere ti sei preoccupato per lei, come è soltanto naturale e più che corretto. Abbiamo pensato che ti avrebbe confortato sapere che sta bene e che si è completamente ripresa dalla sua terribile ordalla . Potrà anche gratificare la tua mente, Denubis, amato Figlio di Paladine, sapere che non è stata fisicamente ferita.»
Denubis offrì i suoi ringraziamenti a Paladine per la guarigione della giovane donna e si stava giusto preparando a farsi da parte e a crogiolarsi per qualche altro istante in quella luce gloriosa, quando fu colto dall’intera portata delle parole del Gran Sacerdote.
«Non... non era stata aggredita?» riuscì appena a balbettare.
«No, figlio mio,» rispose la voce, suonando così come un inno alla gioia. «Paladine, nella sua infinita saggezza, ha raccolto la sua anima a sé, ed io sono stato in grado, dopo molte, lunghe ore di preghiera, di prevalere su di lui perché ci restituisse questo tesoro, dal momento che era stata strappata prematuramente dal suo corpo. Adesso, la giovane donna riposa in un sonno ristoratore di vita.»
«Ma i segni sul suo viso?» protestò Denubis, confuso. «Il sangue...»
«Non c’erano segni,» disse con voce pacata il Gran Sacerdote, ma con un accenno di rimprovero che fece sentire Denubis inesplicabilmente infelice. «Ti ho detto che non è stata fisicamente ferita.»
«So... sono contento di essermi sbagliato,» rispose Denubis, in tutta sincerità. «E ancor di più perché ciò significa che quel giovane che è stato arrestato è innocente come si è proclamato, e adesso può essere rimesso in libertà.»
«Sono davvero riconoscente, proprio come lo sei tu, Reverendo Figlio, di sapere che un mio simile, a questo mondo, non ha commesso un crimine orrendo, come si era a tutta prima temuto. Eppure, chi fra noi ; è davvero innocente?»
Quella voce musicale fece una pausa e parve aspettare una risposta. E le risposte arrivarono, e numerose. Il chierico sentì un borbottio di voci tutt’intorno a sé dare la corretta risposta, e Denubis divenne consapevole per la prima volta che altri erano vicino al trono. Tale era il carisma del Gran Sacerdote che aveva quasi finito per credere di essere solo con lui.
Denubis borbottò la sua risposta a quella domanda insieme al resto dei presenti, e all’improvviso seppe, senza che gli venisse detto, di essere stato congedato da quell’augusta presenza. La luce non risplendeva più direttamente su di lui, da lui era passata a qualcun altro. Provando l’impressione di essere passato dal vivido bagliore del sole all’ombra più profonda, riattraversò mezzo accecato e barcollante la sala. Ridisceso infine al livello inferiore, riacquistò in qualche modo il respiro, si rilassò e si guardò intorno.
Il Gran Sacerdote sedeva a un’estremità, circondato dalla luce. Ma a Denubis parve che i suoi occhi si stessero abituando a quella luce, perché finalmente, in qualche modo, riuscì a riconoscere gli altri che erano con lui. Qui, c’erano i capi dei vari Ordini: i Reverendi Figli e le Reverende Figlie.
Conosciuti, quasi per scherzo, come «le mani e i piedi del sole», toccava a loro occuparsi degli affari quotidiani della chiesa. In pratica, erano i veri governanti di Krynn. Ma, qui, altri erano ancora presenti, oltre agli alti funzionari della chiesa. Denubis sentì che il suo sguardo veniva attratto da un angolo della sala, l’unico angolo, a quanto pareva, che era immerso nell’ombra.