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«Come sta Dama Crysania?» chiese Caramon.

L’uomo con la pelle d’orso sbatté le palpebre, confuso.

«Dama Crysania. L’hanno portata al Tempio,» ripetè Caramon.

Il carceriere diede un colpo di gomito nelle costole dell’uomo con la pelle d’orso. «Sai, la donna che lui ha picchiato.»

«Non l’ho mai toccata,» dichiarò Caramon con voce tranquilla. «Come sta adesso?»

«Non ti riguarda proprio,» sbottò l’uomo con la pelle d’orso, ricordando d’un tratto che si stava facendo tardi. «Sei un fabbro? Il kender ci ha detto qualcosa sul fatto che saresti capace di aprire questa porta.»

«Non sono un fabbro,» replicò Caramon, «ma forse posso aprirla.» Il suo sguardo andò al carceriere. «A te non spiace che la rompa?»

«La serratura è già rotta!» esclamò il carceriere con voce stridula. «Non vedo cosa potresti fare di peggio, a meno di non sfondare la porta!»

«È proprio quello che ho intenzione di fare,» disse Caramon con freddezza.

«Sfondare la porta?» strillò il carceriere. «Ma tu sei scemo! Diamine...»

«Aspetta.» L’uomo con la pelle d’orso aveva intravisto le spalle e il collo taurino di Caramon attraverso le sbarre della porta. «Vediamo. Se lo fa, pagherò i danni.»

«Ci puoi scommettere!» borbottò il carceriere. L’uomo con la pelle d’orso gli lanciò un’occhiata con la coda dell’occhio, e il carceriere si azzittì.

Caramon chiuse gli occhi e tirò parecchi profondi sospiri, espirando lentamente ognuno di essi.

L’uomo con la pelle d’orso e il carceriere arretrarono dalla porta. Caramon scomparve alla loro vista.

Udirono un grugnito e poi un tonfo terrificante contro la massiccia porta di legno. La porta sobbalzò follemente sui cardini, perfino le pareti di pietra parvero vibrare sotto la violenza del colpo. Ma la porta tenne. Però il carceriere fece un altro salto indietro, la bocca spalancata.

Un grugnito arrivò dall’interno della cella, poi un altro colpo tremendo. La porta esplose con tale forza che gli unici pezzi rimasti, ancora riconoscibili, furono i cardini e la serratura, ancora saldamente attaccati al telaio. L’impeto aveva fatto volare Caramon fuori nel corridoio. Evviva soffocati si levarono dalle celle vicine, dove altri prigionieri avevano schiacciato i volti alle sbarre.

«Pagherai per questo!» squittì il carceriere, rivolto all’uomo con la pelle d’orso.

«Vale ogni singolo centesimo,» dichiarò l’uomo, aiutando Caramon a rialzarsi, spolverandolo e squadrandolo criticamente allo stesso tempo. «Hai mangiato un po’ troppo bene, ultimamente, eh? E ti sei goduto anche parecchie bevute, scommetto! Probabilmente è quello che ti ha fatto finire qua dentro. Be’, non ha importanza. Faremo presto a rimediare. Nome... Caramon?»

L’omone annuì imbronciato.

«Io sono Tasslehoff Burrfoot,» esclamò il kender, sbucando fuori dalla porta fracassata e porgendo di nuovo la mano. «Vado dappertutto con lui. Sì, proprio dappertutto. Ho promesso a Tika che l’avrei fatto e...»

L’uomo con la pelle d’orso stava scrivendo qualcosa sulla sua lavagnetta, e si limitò a guardare il kender con aria assente. «Mm, capisco.»

«Bene, adesso,» continuò il kender” mettendosi la mano in tasca con un sospiro, «se toglierai queste catene dai nostri piedi, sarebbe certo più facile camminare.»

«Proprio così,» mormorò l’uomo con la pelle d’orso, buttando giù alcune cifre sulla lavagnetta.

Sommandole sorrise. «Vai avanti,» ordinò al carceriere. «Tira fuori tutti gli altri che hai per me quest’oggi.»

Il vecchio si allontanò con passo strascicato, ma prima lanciò un’occhiata inviperita a Tas e a Caramon.

«Voi due, sedetevi accanto al muro fino a quando non saremo pronti a partire,» ordinò l’uomo con la pelle d’orso.

Caramon si rannicchiò sul pavimento, sfregandosi la spalla. Tas si sedette accanto a lui con un sospiro felice. Il mondo all’esterno della cella gli appariva già più luminoso. Proprio come aveva detto a Caramon: «Una volta fuori, avremo una possibilità di cavarcela! Stipati qua dentro, non ne abbiamo proprio nessuna.»

«Oh, a proposito,» gridò Tas alla figura del carceriere che si allontanava. «Per favore, vedi che mi venga restituito il grimaldello! Ha un valore sentimentale, sai.»

«Una possibilità, uh!?» ringhiò Caramon a Tas, mentre il fabbro si preparava a imbullonargli il collare di ferro. Aveva perso un po’ di tempo prima di trovarne uno abbastanza largo, e Caramon fu l’ultimo degli schiavi ad avere stretto intorno al collo quel segno di servitù. L’omone sussultò per il dolore quando il fabbro saldò il bullone con il ferro rovente. Si levò un odore di carne bruciata.

Tas tirò con aria infelice il proprio collare, e sussultò per simpatia con le sofferenze di Caramon.

«Mi spiace,» disse, tirando su col naso. «Non avevo capito che intendesse dire proprio questo, quando ha detto che eravamo destinati al blocco. Credevo che intendesse portarci da qualche altra parte... Parlano un po’ strano quaggiù, davvero, Caramon...»

«E va bene,» sospirò Caramon. «Non è colpa tua.»

«Ma, comunque, è colpa di qualcuno,» dichiarò Tas, riflettendo, guardando con interesse il fabbro che spalmava del grasso sulla bruciatura di Caramon, per poi ispezionare la propria opera con occhio critico. Più di un fabbro a Istar aveva perso il proprio lavoro quando un proprietario di schiavi si faceva vivo per chiedere un risarcimento, a causa di qualche schiavo che era riuscito a scappare sfilandosi il collare.

«Cosa vuoi dire?» borbottò Caramon scoraggiato, con la sua solita espressione rassegnata e vacua.

«Insomma,» bisbigliò Tas, con un’occhiata al fabbro, «pensaci un momento. Guarda com’eri vestito quando siamo arrivati qui. Parevi proprio un furfante. Poi sono saltati fuori quel chierico e quelle guardie, come se ci stessero aspettando. E com’era ridotta Dama Crysania.»

«Hai ragione,» disse Caramon, una favilla di luce tremolò nei suoi occhi opachi. La favilla divenne un lampo, accendendo un fuoco che covava da tempo. «Raistlin,» mormorò. «Sa che cercherò di fermarlo. E stato lui a farlo!»

«Non ne sono così sicuro,» disse Tas dopo averci riflettuto un po’. «Voglio dire, non sarebbe più probabile che ti facesse ardere, riducendoti a un croccantino, oppure trasformandoti in un arazzo o in qualcosa del genere?»

«No!» esclamò Caramon, e Tas vide l’eccitazione nei suoi occhi. «Non capisci? Mi vuole qui, indietro... perché faccia qualcosa. Non ci assassinerà. Quel... quell’elfo scuro che lavora per lui ce l’ha detto, non ricordi?»

Tas apparve dubbioso e fece per dire qualcosa, ma proprio allora il fabbro spinse il guerriero per farlo alzare in piedi. L’uomo con la pelle d’orso che li aveva sbirciati con impazienza dalla soglia del negozio del fabbro fece un cenno a due dei suoi schiavi personali. Affrettandosi a entrare, afferrarono brutalmente Caramon e Tas, spingendoli nella fila insieme agli altri schiavi. Altri due schiavi si avvicinarono e cominciarono a collegare tutte le catene che imprigionavano gli schiavi alle gambe fino a quando non furono tutti disposti in una singola fila. Poi, a un gesto dell’uomo con la pelle d’orso, quella sventurata catena vivente di esseri umani, di mezzelfi più due goblin, cominciò ad avanzare con passo strascicato.

Avevano fatto appena tre passi quando si ritrovarono tutti aggrovigliati a causa di Tasslehoff, il quale aveva preso la direzione sbagliata.

Dopo molte imprecazioni e qualche sferzata con bacchette di salice (prima guardandosi intorno per essere certi che non ci fossero chierici in giro) l’uomo con la pelle d’orso riuscì a far muovere la fila.

Tas saltellava cercando di tenersi al passo. Fu soltanto dopo che il kender era stato trascinato due volte sui ginocchi, mettendo di nuovo in pericolo l’intera fila, che Caramon si decise ad avvolgere il suo grande braccio intorno alla vita di Tas, sollevandolo da terra con la catena e tutto, e a trasportarlo di peso.

«È stato proprio divertente,» disse Tas col fiato mozzo. «Specialmente là dove sono caduto in avanti. Hai visto la faccia di quell’uomo? Io...»