Quel mattino l’uomo dalla pelle d’orso stava parlando proprio con il nano che era a capo di uno di questi istituti, indicando Caramon che se ne stava insieme agli altri prigionieri nel recinto sporco e puzzolente dietro al blocco, mimando il drammatico movimento di abbattere una porta con la spalla.
Il capo dell’istituto non parve per nulla entusiasta. Comunque, la cosa non era insolita. Aveva imparato già da molto tempo che mostrare entusiasmo per un prigioniero era come chiedere l’immediato raddoppio del suo prezzo. Perciò il nano fissò Caramon corrugando la fronte, sputò per terra, incrociò le braccia e, piantando con fermezza i piedi al suolo, sollevò lo sguardo inferocito sull’uomo dalla pelle d’orso.
«È fuori forma, troppo grasso. Inoltre è un ubriacone, basta guardargli il naso.» Il nano scosse la testa. «E non sembra affatto cattivo. Cos’hai detto che ha fatto? Ha aggredito un chierico? Umpf !».
Il nano sbuffò. «A guardarlo si direbbe che l’unica cosa che sappia aggredire è una caraffa di vino!»
Naturalmente, l’uomo dalla pelle d’orso era abituato a questo.
«Ti perderesti l’occasione di una vita, Rockbreaker,» disse con voce insinuante. «Avresti dovuto vederlo mentre abbatteva quella porta. Non ho mai visto una simile forza in nessun uomo. Forse pesa un po’ troppo, ma questo si può curare facilmente. Rimettilo in sesto e diventerà un rubacuori. Le signore lo adoreranno. Guarda quegli occhi castani così vellutati e quei capelli ondulati...».
L’uomo dalla pelle d’orso abbassò la voce. «Sarebbe davvero un peccato farlo finire nelle miniere... Ho cercato di fare in modo che non si spargesse la voce su ciò che ha fatto, ma temo che Haarold ne abbia avuto sentore.»
Sia l’uomo dalla pelle d’orso sia il nano lanciarono un’occhiata ad un umano che si trovava a una certa distanza da loro, intento a parlare e a ridere con parecchie delle sue guardie corpulente. Il nano sì accarezzò la barba, mantenendo un’espressione impassibile.
L’uomo con la pelle d’orso continuò: «Haarold ha giurato di averlo a tutti i costi. Dice che farà il lavoro di due umani normali. Ora, poiché tu sei un cliente preferenziale, cercherò di fare in modo che la bilancia penda a tuo favore...»
«Lascia pure che se lo prenda Haarold,» ringhiò il nano. «Sudicio grassone.»
Ma l’uomo dalla pelle d’orso vide il nano squadrare Caramon con occhio calcolatore. Sapendo per lunga esperienza quando parlare e quando stare zitto, l’uomo dalla pelle d’orso rivolse un inchino al nano e si allontanò fregandosi le mani.
Avendo ascoltato quella conversazione, e vedendo che il nano lo stava guardando come si guarda un maiale che ha vinto il primo premio, Caramon provò l’immediato, selvaggio desiderio di spezzare le sue catene, abbattere il recinto in cui era rinchiuso, e strangolare sia l’uomo dalla pelle d’orso sia il nano. Il sangue gli martellava nel cervello: fece forza contro le catene che lo imprigionavano, i muscoli delle sue braccia si contrassero. Lo spettacolo indusse il nano a spalancare gli occhi e le guardie disposte intorno al recinto a sfoderare le spade. Ma d’un tratto Tasslehoff gli diede una gomitata nelle costole.
«Caramon, guarda!» esclamò il kender in preda all’eccitazione.
Per un attimo Caramon non riuscì a sentire a causa del tumultuoso pulsare del sangue nelle orecchie. Tas gli diede un’altra gomitata.
«Guarda, Caramon. Laggiù, ai margini della folla, tutto solo. Hai visto?»
Caramon emise un sospiro tremante e si costrinse a calmarsi. Guardò nella direzione indicatagli dal kender, e d’un tratto il sangue bollente delle sue vene si raggelò. Ai margini della folla c’era una figura impaludata di nero. Era solo. In effetti, c’era perfino un ampio cerchio vuoto intorno a lui.
Nessuno della folla gli si avvicinava. Molti deviavano, facendosi in quattro per evitare di andargli vicino. Nessuno gli parlava, ma tutti erano consapevoli della sua presenza. Quelli accanto a lui, che fino a un attimo prima stavano parlando animatamente, erano piombati in un silenzio inquieto e gli lanciavano occhiate nervose.
Le vesti dell’uomo erano d’un nero cupo, senza ornamenti. Nessun filo d’argento luccicava sulle sue maniche, nessun bordo cingeva il cappuccio nero che indossava, calato sul volto. Non stringeva in mano nessun bastone, nessun famiglio camminava al suo fianco. Che gli altri maghi portassero pure rune di difesa e protezione, che gli altri maghi impugnassero pure bastoni del potere o avessero animali pronti a obbedire ai loro ordini. Quell’uomo non aveva bisogno di niente. Il suo potere veniva da dentro, così grande da estendersi nell’arco di secoli, da estendersi perfino su diversi piani di esistenza. Era avvertibile, irradiandosi intorno a lui come il calore che emanava dalla fornace di un fabbro.
Era alto, di bella prestanza fisica. Le vesti nere gli ricadevano dalle spalle che erano snelle ma muscolose. Le sue mani bianche, le uniche parti visibili del suo corpo, erano forti, delicate e agili.
Anche se era così vecchio che pochi su Krynn potevano anche soltanto azzardarsi d’indovinare la sua età, aveva un corpo giovanile e robusto. Voci tenebrose andavano raccontando come avesse utilizzato le sue arti magiche per vincere le debilitazioni dell’età.
E così, se ne stava solo, come se un sole nero fosse precipitato giù, nella piazza del mercato.
Neppure il luccichio dei suoi occhi era visibile dentro le oscure profondità del suo cappuccio.
«Quello chi è?» chiese Tas, in tono discorsivo, a un altro prigioniero indicando con un cenno del capo la figura impaludata d. nero.
«non lo sai?» rispose nervosamente il prigioniero, come se fosse riluttante a rispondere.
«Vengo da fuori città,» si scusò Tas. .
«Diamine, è l’Oscuro, Fistandantilus. Avrai sentito parlare di lui, senza dubbio!» «si» “annuì Tas, lanciando nel contempo un’occhiata a Caramon, come per sottolineare un te l’avevo detto! «Abbiamo sentito parlare di lui.»
Capitolo quarto
Quando Crysania si risvegliò la prima volta dall’incantesimo che Paladine aveva lanciato su di lei, si trovò in un tale stato di sconcerto e confusione che i chierici ne furono enormemente preoccupati, temendo che il suo calvario le avesse squilibrato la mente.
Parlava di Palanthas, perciò supposero che venisse da quella città. Ma faceva continuamente appello al Capo del suo Ordine, qualcuno chiamato Elistan. I chierici conoscevano i capi di tutti gli Ordini su Krynn e questo Elistan era a tutti sconosciuto. Ma Crysania era così insistente che ci fu, a tutta prima, il timore che qualcosa potesse essere successo all’attuale Capo di Palanthas. Vennero mandati subito dei messaggeri.
Inoltre Crysania parlava di un Tempio di Palanthas ma in quel luogo non esisteva alcun Tempio.
Alla fine si era messa a parlare in maniera alquanto inconsulta di draghi e del «ritorno degli dei», il che aveva indotto i presenti nella stanza, Quarath ed Elsa, Capo delle Reverende Figlie, a guardarsi l’un l’altra in preda all’orrore e a tracciare il segno della protezione contro le bestemmie. A Crysania venne data una pozione d’erbe, che l’aveva calmata, e alla fine si era addormentata. I due erano rimasti con lei per lunghi momenti, dopo che si era addormentata, discutendo del suo caso a bassa voce. Poi il Gran Sacerdote era entrato nella stanza. Era venuto a placare i loro timori.
«Ho lanciato un augurio,» disse con la sua voce musicale, «e mi è stato detto che Paladine l’ha chiamata a sé per proteggerla da un incantesimo di magia malvagia che è stato usato su di lei. Non credo che nessuno di noi abbia difficoltà a crederlo.»
Quarath ed Elsa scossero la testa, scambiandosi occhiate d’intesa. L’odio del Gran Sacerdote per i fruitori di magia era ben noto.
«E stata con Paladine, perciò è stata in quel meraviglioso regno che stiamo cercando di ricreare su questa terra. Senza alcun dubbio, mentre si trovava là, le sono state date conoscenze del futuro. Parla di un meraviglioso Tempio che viene costruito a Palanthas. Noi non abbiamo forse in progetto di costruire un simile Tempio? E parla di questo Elistan, che è probabilmente un chierico destinato a governare colà.»