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Caramon, che già da tempo aveva smesso di ascoltarlo, borbottò qualcosa e continuò ad andare su e giù. Tas corrugò la fronte, a disagio. D’un tratto gli era venuto in mente che adesso anche lui e Caramon rientravano nelle alte sfere dei fruitori di magia malvagia. Questo lo aiutò a decidersi.

«Senti, mi spiace, Caramon,» disse Tas, un attimo dopo. «Ma, malgrado tutto, non credo di poterti aiutare. Talvolta i kender non sono molto scrupolosi nei confronti delle loro cose, o di quelle degli altri, se è per questo, ma non credo che nessun kender nella propria vita abbia mai assassinato qualcuno!». Sospirò, poi continuò con voce tremante: «E ho pensato a Flint e... e a Sturn. Tu sai che Sturm non approverebbe! Lui aveva talmente il senso dell’onore. Non è giusto, Caramon. Questo ci riduce a esser cattivi tanto quanto Fistandantilus. O forse peggio.»

Caramon aprì la bocca e stava giusto per rispondere quando la porta si aprì di colpo e Arack fece irruzione.

«Come stiamo andando, grassone?» esclamò il nano, sollevando lo sguardo su Caramon con un sorriso di scherno. «Un bel cambiamento da quando sei arrivato qui, non è vero?». Batté con ammirazione la mano sui muscoli duri dell’omone poi, stringendo la mano a pugno, sferrò all’improvviso un colpo in pancia a Caramon. «Duro come l’acciaio,» commentò, sogghignando e scuotendo la mano per il dolore.

Caramon lanciò un’occhiata infuriata e carica di disgusto al nano sotto di lui, guardò Tas e poi sospirò. «Dov’è il mio costume?» grugnì. «È quasi l’ora.»

Il nano alzò un sacco verso di lui. «È qui dentro, non preoccuparti. Non impiegherai molto a vestirti.»

Afferrando il sacco con un gesto nervoso, Caramon l’aprì. «Dov’è il resto?» chiese a Pheragas, che era appena entrato nella stanza.

«È tutto qui!» ridacchiò Arack. «Te l’ho detto che non avresti impiegato molto a vestirti!»

Il volto di Caramon divenne d’un rosso cupo. «Non... non posso indossare... soltanto questo...» balbettò, chiudendo frettolosamente il sacco. «Hai detto che ci sarebbero state delle signore...»

«E a loro piace ogni centimetro di pelle abbronzata!» gridò il nano. Poi la risata scomparve dalla sua faccia spezzettata, sostituita da un cipiglio cupo e minaccioso. «Mettitelo addosso, tanghero. Per cosa mai pensi che paghino... per veder cosa? Una scuola di danza? No. Pagano per vedere dei corpi coperti di sudore e di sangue. Più corpo, più sudore e più sangue, e ancora meglio se sangue vero!»

«Sangue vero?» Caramon sollevò lo sguardo, i suoi occhi castani lampeggiarono. «Che vuoi dire? Pensavo che tu avessi detto...»

«Bah! Preparalo, Pheragas. E mentre lo fai, spiega i fatti della vita a questo moccioso viziato. E tempo che tu cresca, Caramon, mio bel piccino.»

Con queste parole e una rauca risata il nano uscì a grandi passi.

Pheragas si fece da parte per lasciar passare il nano, poi si fece avanti nella piccola stanza. Il suo volto, di solito allegro e gioviale, era una maschera priva d’espressione. Né l’avevano i suoi occhi, che evitarono di fissare direttamente Caramon.

«Cosa voleva dire? Crescere? Sangue vero?»

«Ecco qui,» disse Pheragas, ignorando la domanda. «Ti do una mano con queste fìbbie. All’inizio ci vuole un po’ di tempo per abituarsi. Sono rigorosamente ornamentali, fatte per rompersi facilmente. Al pubblico piace se un pezzo del costume si molla o cade giù.»

Estrasse dalla borsa un guardiaspalla decorato e cominciò ad affibbiarlo a Caramon, lavorando dietro di lui e tenendo gli occhi fissi sulle fibbie.

«Questo è d’oro,» disse Caramon, calcando sulle parole.

Pheragas grugnì.

«Il burro fermerebbe un pugnale meglio di questa roba,» continuò Caramon, tastandolo. «E guarda tutta questa chincaglieria! La punta di una spada vi s’impiglierebbe e vi resterebbe incastrata.»

«Già.» Pheragas rise, ma era una risata forzata. «Come puoi vedere, è quasi meglio esser nudi piuttosto che indossare questa roba.»

«Allora non devo preoccuparmi molto,» osservò Caramon in tono truce, tirando fuori il perizoma di cuoio che era l’unico oggetto rimasto nel sacco, oltre all’elmo decorato. Anche il perizoma era decorato in oro, e gli copriva in maniera a malapena decente le pudende. Quando si fu completamente vestito con l’aiuto di Pheragas, perfino il kender arrossì alla vista di un Caramon guardato da dietro.

Pheragas fece per andarsene, ma Caramon lo fermò, con la mano sul braccio. «Farai meglio a dirmelo, amico mio. Se sei sempre mio amico, s’intende.»

Pheragas puntò gli occhi sul viso di Caramon per qualche istante, poi scrollò le spalle. «Pensavo che a quest’ora tu avessi già capito. Useremo armi affilate. Oh, le lame delle spade sono ancora rientranti,» si affrettò ad aggiungere, quando vide gli occhi di Caramon che si stringevano. «Ma !se verrai colpito, sanguinerai sul serio. È per questo che ci siamo esercitati con i nostri affondi.»

«Vuoi dire che la gente resterà davvero ferita? Che io potrei far del male a qualcuno? A qualcuno come Kiiri, Rolf, il Barbaro?». La voce di Caramon si alzò incollerita. «Che altro sta succedendo? Che altro non mi hai detto, amico?»

Pheragas fissò Caramon con freddezza. «Dove pensi che mi sia procurato queste cicatrici? Giocando con la mia bambinaia? Ascolta, un giorno capirai. Adesso non c’è tempo per spiegartelo. Fidati di noi, di Kiiri e me. Segui il nostro esempio. E... tieni d’occhio i minotauri. Combattono per proprio conto, non per qualche padrone o proprietario. Non rispondono a nessuno. Oh, accettano di attenersi alle regole, devono farlo altrimenti il Gran Sacerdote li rispedirebbe a Mithas. Ma... insomma, sono i favoriti della folla. Alla gente piace vedere che spillano sangue. E possono sia prendere sia dare, altrettanto bene.»

«Vai via!» ringhiò Caramon.

Pheragas rimase a fissarlo per un momento, poi si voltò e fece per uscire. Una volta sulla soglia, però, si fermò.

«Ascolta, amico,» disse con severità, «queste cicatrici che mi procuro nell’arena sono distintivi d’onore, buoni quanto gli speroni che qualche cavaliere si guadagna in un torneo! È il solo genere di onore che possiamo ancora procurarci da questo spettacolo pacchiano! L’arena ha un proprio codice, Caramon, e non ha dannatamente niente a che fare con quei cavalieri e nobili che se ne stanno seduti là fuori a guardare noi schiavi che sanguiniamo per il loro divertimento. Loro parlano del proprio onore. Bene, noi abbiamo il nostro. È quello che ci tiene in vita.» Si azzittì, parve che stesse per dire qualcos’altro, ma lo sguardo di Caramon era puntato sul pavimento, l’omone si rifiutava cocciutamente di ammettere le sue parole e la sua presenza.

Alla fine, Pheragas disse: «Hai cinque minuti,» e se ne andò sbattendo la porta alle proprie spalle.

Tas ardeva dalla voglia di dire qualcosa ma, vedendo la faccia di Caramon, perfino il kender seppe che era il momento di stare zitto.

Vai in battaglia con il sangue cattivo e verrà versato entro il calar della notte. Caramon non riusciva a ricordare quale vecchio e burbero comandante gli avesse detto questo, ma l’aveva giudicato sempre un buon assioma. La propria vita dipendeva spesso dalla lealtà di coloro con i quali si combatteva. Era una buona idea appianare qualunque controversia, prima. E neppure gli piaceva portar rancore: di solito serviva soltanto a scombussolargli lo stomaco.

Fu facile a Caramon, perciò, stringere la mano a Pheragas quando il nero fece per voltargli le spalle prima di entrare nell’arena, e fargli le scuse. Pheragas le accettò con calore mentre Kiiri, che ovviamente aveva saputo dell’episodio da Pheragas, mostrò la propria approvazione con un sorriso.