E mostrò anche la sua approvazione per il costume che Caramon indossava, fissandolo con una tale, palese ammirazione dai suoi lampeggianti occhi verdi che Caramon arrossì per l’imbarazzo.
I tre stavano parlando nei corridoi che correvano sotto l’arena, aspettando di entrare. Insieme a loro c’erano gli altri gladiatori che oggi avrebbero combattuto: Rolf, il Barbaro, e il Minotauro Rosso.
Sopra le loro teste potevano udire di tanto in tanto i ruggiti della folla, ovattati dalla distanza.
Allungando il collo, Caramon potè vedere la porta d’ingresso. Desiderò che giungesse subito il momento di cominciare. Poche volte si era sentito tanto nervoso. Si rese conto che era ancora più nervoso che se avesse dovuto andare in battaglia.
Anche gli altri avvertivano la tensione. Ciò appariva ovvio dalle risate di Kiiri, troppo forti e stridule, e dal sudore che colava lungo il viso di Pheragas. Ma era una buona tensione, mista com’era all’eccitazione. D’un tratto Caramon si rese conto di non veder l’ora di entrare nell’arena.
«Arack ha chiamato i nostri nomi,» annunciò Kiiri. Lei, Pheragas e Caramon vennero avanti: il nano aveva deciso, visto che lavoravano bene insieme, che avrebbero combattuto come una squadra (sperava anche che i due professionisti nascondessero gli eventuali errori di Caramon!).
La prima cosa che Caramon notò quando uscì fuori nell’arena fu il rumore. Si abbatté su di lui in onde tonanti, l’una dopo l’altra, provenendo in apparenza dal cielo intriso di luce solare sopra di lui.
Per un attimo si sentì smarrito nella confusione. L’arena ormai familiare, dove avevano lavorato e si erano esercitati tanto duramente durante quegli ultimi mesi, era divenuta d’un tratto un luogo estraneo. Il suo sguardo andò alle grandi file circolari di tribune che circondavano l’arena, e si sentì sopraffare alla vista delle migliaia di persone, tutte, a quanto pareva, in piedi che urlavano, pestavano sulle gradinate e applaudivano.
Il caleidoscopio dei colori gli travolse gli occhi: gli stendardi che gioiosi sbattevano al vento annunciando un Giorno di Giochi, i vessilli di seta di tutte le famiglie nobili di Istar, e le più umili bandiere di coloro che vendevano di tutto, dalla fratta ghiacciata al tè tarbeano, a seconda della stagione dell’anno. E tutto pareva in movimento creandogli una sensazione di stordimento e una nausea improvvisa. Sentì la mano fresca di Kiiri sul suo braccio. Voltandosi, vide che gli rivolgeva un sorriso rassicurante. Vide la familiare arena dietro di lei, vide Pheragas e gli altri suoi amici.
Sentendosi meglio, riportò la sua attenzione all’imminente azione. Avrebbe fatto bene a tenere la sua mente concentrata sul lavoro, si disse con severità. Se avesse mancato anche una singola mossa di quelle che aveva ripassato durante le prove, non soltanto avrebbe fatto la figura dello sciocco, ma avrebbe potuto accidentalmente far del male a qualcuno. Ricordava quanto Kiiri fosse stata meticolosa nel raccomandargli di sincronizzare con la massima precisione i suoi fendenti. Adesso, pensò trucemente, ne capiva il perché.
Tenendo gli occhi puntati sui suoi compagni e sull’arena, ignorando il rumore e la folla, prese il suo posto, in attesa di cominciare. Per qualche motivo l’arena gli parve diversa, e per un attimo non riuscì a spiegarsene la ragione. Poi si rese conto che, proprio come loro erano in costume, il nano aveva decorato anche l’arena. Qui c’erano le stesse piattaforme coperte di segatura dove aveva combattuto ogni giorno, ma adesso erano adorne dei simboli che rappresentavano i quattro angoli del mondo.
Intorno a queste quattro piattaforme, ardevano carboni roventi, il fuoco ruggiva, l’olio ribolliva e gorgogliava. Ponti di legno attraversavano i Pozzi della Morte, come venivano chiamati, collegando le quattro piattaforme. Questi pozzi avevano a tutta prima allarmato Caramon. Ma aveva appreso, ancora agli inizi, che erano messi lì soltanto per fare effetto. Al pubblico piaceva follemente quando un guerriero veniva spinto fuori dall’arena sui ponti. Farfugliavano entusiasti quando il Barbaro teneva Rolf sospeso per i calcagni sopra l’olio bollente. Avendo visto tutto durante le prove, Caramon poteva ridere insieme a Kiiri contemplando l’espressione terrorizzata sulla faccia di Rolf e gli sforzi frenetici che faceva per salvarsi, i quali, tutte le volte, vedevano il Barbaro colpito sulla testa da una delle poderose braccia di Rolf.
Il sole raggiunse lo zenit e un bagliore dorato indusse Caramon a volgere lo sguardo verso il centro dell’arena. Là si ergeva la Guglia della Libertà: un’alta struttura fatta d’oro, così delicata e decorata che pareva fuori posto in quell’ambiente così rozzo. In cima era appesa una chiave, la chiave che avrebbe aperto la serratura di qualsiasi collare di ferro. Caramon aveva visto quella guglia più e più volte durante gli allenamenti, ma non aveva mai visto la chiave, che veniva accuratamente custodita nell’ufficio di Arack. Al solo guardarla ebbe l’impressione che il collare di ferro intorno al suo collo fosse insolitamente pesante. Gli occhi gli si riempirono improvvisamente di lacrime. La libertà...
Svegliarsi al mattino e poter uscire dalla porta e andare dovunque lui avesse voluto in quell’ampio mondo. Era una cosa così semplice. E quanto ne sentiva la mancanza adesso!
Poi sentì Arack chiamare il suo nome, e vide che indicava il suo gruppo. Stringendo la propria arma Caramon si voltò per fronteggiare Kiiri, con l’immagine della chiave dorata ancora nella sua mente. Alla fine dell’anno, qualunque schiavo che si fosse comportato bene durante i Giochi, poteva combattere per il diritto di arrampicarsi su per quella guglia e prendere la chiave. Era tutta una finta, naturalmente. Arack sceglieva sempre quelli che davano la garanzia di attrarre il pubblico più numeroso. Caramon non ci aveva mai pensato prima, poiché le sue uniche preoccupazioni erano state suo fratello e Fistandantilus. Ma adesso si rese conto di avere un nuovo obbiettivo. Con un urlo selvaggio, levò in alto a mo’ di saluto la sua spada truccata.
Ben presto Caramon cominciò a rilassarsi e a divertirsi. Scoprì che gli piacevano i ruggiti e gli applausi della folla. Immedesimato nella loro eccitazione, scoprì che stava recitando per loro, proprio come Kiiri gli aveva detto che avrebbe fatto. Le poche ferite che aveva ricevuto durante gli scontri iniziali, giusto per scaldarsi, non erano nulla, soltanto graffi. Non sentiva neppure il dolore. Rise fra sé delle sue preoccupazioni. Pheragas aveva avuto ragione a non far parola di una cosa tanto sciocca. Gli dispiacque di aver fatto tante storie.
«Gli piaci,» disse Kiiri, sorridendogli durante uno dei loro momenti di riposo. Ancora una volta il suo sguardo percorse con ammirazione il corpo muscoloso e praticamente nudo di Caramon. «Non li biasimo. Non vedo l’ora di lottare con te.»
Kiiri rise, quando lui arrossì, ma Caramon vide nei suoi occhi che non stava scherzando, e fu d’un tratto acutamente consapevole della sua femminilità, qualcosa che non gli era mai capitato durante gli allenamenti. Forse era dovuto al suo costume succinto, che pareva concepito apposta per rivelare tutto nascondendo allo stesso tempo ciò che era più desiderabile. Caramon si sentì bruciare il sangue, sia per la passione sia per il piacere che provava in battaglia. Confusi ricordi di Tika gli vennero alla mente, e si affrettò a distogliere lo sguardo da Kiiri, rendendosi conto di aver detto con i propri occhi più di quanto intendeva.
La manovra gli riuscì solo in parte poiché si trovò a fissare le tribune, e gli occhi di molte bellissime donne che lo guardavano con ammirazione e che, risultava ovvio, stavano cercando di catturare la sua attenzione. «Tocca di nuovo a noi.» Kiiri gli dette di gomito e, riconoscente, Caramon ritornò nell’arena.
Sorrise al Barbaro, e l’uomo alto di statura venne avanti. Questo era il loro grande numero, e lui e Caramon vi si erano esercitati molte volte. Il Barbaro strizzò l’occhio a Caramon, mentre si fronteggiavano con le facce contorte in un’espressione di odio feroce. Ringhiando e grugnendo come animali entrambi gli uomini si rannicchiarono guatandosi e girando tutt’intorno nell’arena per un adeguato periodo di tempo, per far crescere la tensione. Caramon si sorprese sul punto di sorridere, e fu costretto a ricordarsi che avrebbe dovuto apparire cattivo. Gli piaceva il Barbaro, era un uomo delle pianure e per molti aspetti gli ricordava Riverwind: alto, con i capelli scuri, anche se il suo aspetto non era altrettanto severo. Anche il Barbaro era uno schiavo, ma il collare intorno al suo collo era vecchio e graffiato da innumerevoli combattimenti. Sarebbe stato lui il prescelto di quell’anno che si sarebbe impadronito della chiave d’oro, questo era certo.