«che Quarath ha proposto di eliminare dal mondo le razze degli orchi?»
«Ma, mia cara, dopo tutto gli orchi sono un branco di scellerati assassini...» azzardò Denubis, protestando debolmente.
«Creati dagli dei, proprio come noi,» ribatté Crysania. «Abbiamo forse diritto, nella nostra imperfetta comprensione del grande schema delle cose, di distruggere qualcosa che è stato creato dagli dei?»
«Perfino i ragni?» chiese Denubis malinconico, senza riflettere. Vedendo l’espressione irritata di lei, sorrise. «Non ha importanza. Sono le farneticazioni di un vecchio.»
«Sono venuta qui convinta che la chiesa fosse tutto ciò che c’è di buono e sincero, e adesso... adesso...». Si prese la testa fra le mani.
A Denubis il cuore faceva male tanto quanto la sua testa. Allungando una mano tremante, accarezzò delicatamente i lisci capelli azzurro-neri di lei, confortandola come avrebbe confortato la figlia che non aveva mai avuto.
«Non vergognarti delle tue domande, bambina,» disse, cercando di dimenticare che aveva provato vergogna per la sua. «Vai a parlare al Gran Sacerdote. Risponderà ai tuoi dubbi. Ha molta più saggezza di me.»
Crysania sollevò lo sguardo, speranzosa.
«Tu pensi...»
«Certo,» sorrise Denubis. «Vallo a trovare stasera, mia cara. Terrà udienza. Non aver timore. Domande del genere non lo incolleriscono.» «Molto bene,» fece Crysania con espressione decisa.
«Hai ragione. È stato sciocco da parte mia lottare con me stessa senza aiuto. Lo chiederò al Gran Sacerdote. Certamente potrà trasformare in luce questa tenebra.»
Denubis sorrise, e si alzò in piedi insieme a Crysania. D’impulso, la donna si sporse in avanti e lo baciò con delicatezza sulla guancia. «Grazie, amico mio,» disse con voce sommessa. «Ti lascerò al tuo lavoro.»
Neil’osservarla mentre usciva dalla stanza silenziosa illuminata dalla luce del sole, Denubis provò un improvviso, inesplicabile dolore e, poi, un’immensa paura. Era come se si trovasse in un luogo invaso da una vivida luce e la vedesse incamminarsi verso un’enorme e terribile oscurità. La luce intorno a lui diventava sempre più viva, mentre l’oscurità intorno a lei diventava più orribile, più densa. Confùso, Denubis si portò la mano agli occhi. La luce era reale! Stava entrando a fiotti in quella stanza inondandolo d’una radiosità così brillante e splendida che non riusciva a guardarla. La luce penetrò il suo cervello, il dolore che avvertiva alla testa era lancinante. Ma, pensò disperato, devo avvertire Crysania, devo fermarla...
La luce lo inghiottì, riempiendo la sua anima d’un bagliore accecante. poi, d’un tratto, quella vivida luce scomparve. Si trovava di nuovo nella biblioteca illuminata dal sole. Ma non era solo. Sbattendo le palpebre, cercò subito di abituare i suoi occhi a quella relativa oscurità, si guardò intorno e vide un elfo nella stanza insieme a lui, che lo stava osservando con comprensione. L’elfo era anziano, quasi calvo, con una barba bianca lunga e meticolosamente curata. Indossava lunghe vesti bianche e il medaglione di Paladine gli pendeva dal collo. L’espressione del viso dell’elfo era triste, d’una tristezza così intensa che a Denubis venne voglia di piangere, anche se non aveva nessuna idea del motivo.
«Mi spiace,» disse Denubis con voce rauca. Portandosi la mano alla testa, si rese conto d’un tratto che non gli faceva più male. «Non... non ti avevo visto entrare. Posso fare qualcosa per te? Stai cercando qualcuno?» ; «No, ho trovato colui che cercavo,» replicò l’elfo con calma, ma sempre con la stessa espressione triste, «se tu sei Denubis.»
«Sono Denubis,» rispose il chierico, perplesso. «Ma perdonami, non riesco a ricordare...» I «Il mio nome è Loralon,» disse l’elfo.
A Denubis mancò il fiato. Il più grande dei chierici elfi, Loralon, anni addietro si era opposto all’ascesa al potere di Quarath. Ma Quarath era troppo forte. Forze potenti lo appoggiavano. Le parole di Loralon di riconciliazione e di pace non erano state apprezzate. In preda al dolore il vecchio chierico era ritornato al suo popolo, nella meravigliosa terra di Silvanesti che amava, giurando di non volgere mai più lo sguardo su Istar.
Cosa faceva qui?
«Certamente tu cerchi il Gran Sacerdote,» balbettò Denubis. «Io...»
«No. C’è soltanto una persona in questo Tempio che sto cercando, e quella sei tu, Denubis,» ribadì Loralon. «Adesso, vieni. Ci aspetta un lungo viaggio.»
«Viaggio!» ripetè Denubis, scioccamente, chiedendosi se non stesse impazzendo. «E impossibile, non ho più lasciato Istar da quando sono arrivato qui, trent’anni fa...»
«Vieni, Denubis,» disse Loralon, con gentilezza.
«Dove? Come? Non capisco...» gridò Denubis. Vide Loralon al centro di quella pacifica stanza illuminata dalla luce del sole, che lo osservava, sempre con quell’espressione di profonda, indicibile tristezza. Sollevando una mano, Loralon si toccò il medaglione che portava al collo.
E poi Denubis seppe. Paladine aveva dato al suo chierico la vista interiore... Aveva visto il futuro.
Scosse la testa, sbiancandosi in volto I inorridito.
«No,» bisbigliò. «È troppo orribile.»
«Tutto non è ancora deciso. I piatti della bilancia si stanno inclinando, ma non hanno ancora traboccato. Questo viaggio potrebbe esser breve oppure durare per un periodo incalcolabile. Vieni, Denubis, qui la tua presenza non è più necessaria.»
Il sommo chierico elfo gli tese la mano. Denubis si sentì gratificato da una sensazione di pace e di comprensione che non aveva mai provato prima, perfino in presenza del Gran Sacerdote. Chinando la testa, allungò il braccio e prese la mano di Loralon. Ma, mentre faceva questo, non riuscì a trattenersi dal piangere...
Crysania sedeva in un angolo della sontuosa Sala delle Udienze del Gran Sacerdote, le mani incrociate tranquillamente in grembo, il volto pallido ma composto. Guardandola, nessuno avrebbe intuito il tumulto della sua anima. Nessuno, salvo forse un uomo, che era entrato nella stanza senza essere notato da nessuno e che adesso si trovava nell’ombra di 1 un’alcova e la stava osservando.
Là seduta, ascoltando la voce musicale del Gran Sacerdote, sentendolo discutere d’importanti questioni di stato con i suoi ministri, udendolo passare dalla politica alla soluzione dei grandi misteri dell’universo insieme ad altri ministri, Crysania arrossì al pensiero di aver anche ] soltanto considerato la possibilità di avvicinarlo con le sue insignificanti domande.
Le parole di Elistan le tornarono alla mente: «Non andare da altri per ottenere le risposte. Guarda nel tuo cuore, cerca la tua fede. Troverai le risposte, oppure arriverai a capire che la risposta l’hanno gli dei stessi, e non gli uomini.»
E così Crysania sedeva là, preoccupata per i propri pensieri, scrutando il proprio cuore.
Sfortunatamente la pace che cercava continuava a eluderla, e D’un tratto decise che forse non c’erano risposte alle sue domande. Poi sentì una mano sul braccio. Trasalendo, Crysania levò lo sguardo.
«Ci sono risposte alle tue domande, Reverenda Figlia,» disse una voce ; che trasmise attraverso i suoi nervi un brivido sconvolgente di riconoscimento, «ci sono risposte, ma tu ti rifiuti di ascoltarle.»
Conosceva la voce ma, scrutando ansiosa in mezzo alle ombre del cappuccio, non riuscì a riconoscere il volto. Lanciò un’occhiata alla mano posata sul suo braccio, credendo di conoscere quella mano. Le vesti nere ricadevano intorno alla persona, e il suo cuore dette in un sussulto. Ma non c’erano rune d’argento sulla veste che lui indossava. Ancora una volta fissò quel viso. Tutto quello che riuscì a vedere fu il luccicare di quegli occhi nascosti, la pelle pallida... Poi la mano lasciò il suo braccio e. sollevandosi, rovesciò all’indietro la parte anteriore del cappuccio.
Dapprima Crysania provò un amaro disappunto. Gli occhi del giovane non erano dorati, né avevano quella forma di clessidra che era diventata il suo simbolo. La pelle non era tinta d’oro, il volto non era fragile e malaticcio. Il volto di quell’uomo era pallido, come avrebbe potuto essere dopo ore di studio, ma era sano, perfino bello, salvo per quell’espressione di amaro e perpetuo cinismo. Gli occhi erano castani, limpidi e caldi come il vetro, riflettendo tutto quello che vedevano, senza rivelare niente di ciò che c’era dietro. Il corpo dell’uomo era snello ma muscoloso. Le vesti nere, disadorne che indossava rivelavano i contorni di un paio di spalle robuste, non la struttura curva e infranta del mago. E poi l’uomo sorrise e le sue labbra sottili si dischiusero.