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«So ben io quanto lo irrita!» esclamò Quarath. «Far uccidere il mio schiavo non sarebbe proprio tipico di Onygion, non è così subdolo e spregevole da non affrontarmi a faccia a faccia.»

Quarath rimase seduto, pensieroso. «Allora, perché mai il fallo commesso da quel grosso schiavo?» chiese d’un tratto, scoccando all’accolito un’occhiata d’intesa.

«Il nano ha dichiarato che si è trattato di qualcosa deciso in privato li,tra lui e Fistandantilus. A quanto pare, il primo lavoro di questa natura che si fosse presentato, andava affidato a quello schiavo, Caramon.»

«Questo non sta scritto nel rapporto,» disse Quarath, fissando il giovane con severità.

«No,» ammise l’accolito, arrossendo. «Non... non mi piace affatto mettere per iscritto qualcosa sui... fruitori di magia. Qualunque cosa del genere, dove possa essere letta...»

«No. Immagino di non poterti biasimare,» borbottò Quarath. «Molto bene, puoi andare.»

L’accolito annuì, fece un inchino, e tornò riconoscente al suo letto. Quarath, invece, non si coricò per molte ore ancora, ma rimase seduto nel suo studio, esaminando e riesaminando il rapporto. Poi sospirò. «Sto peggiorando come il Gran Sacerdote, sussultando alla vista di ombre che non ci sono. Se Fistandantilus avesse voluto sbarazzarsi di me, avrebbe potuto farlo nel giro di pochi istanti. Avrei dovuto rendermi conto che questo non è il suo stile.» Alla fine si alzò in piedi. «Comunque, era insieme a lei, stanotte. Mi chiedo cosa questo significhi... Forse niente. Certamente il corpo nel quale è comparso questa volta è assai migliore di quelli che di solito ripesca.»

L’elfo esibì un truce sorriso mentre metteva ordine sul suo tavolo e metteva via con cura il rapporto. «La Festa è alle porte. Tornerò a occuparmi di questa faccenda solo quando sarà finita la stagione delle vacanze. Dopotutto, si sta avvicinando in fretta il momento in cui il Gran Sacerdote si appellerà agli dei perché sradichino tutto il male dalla faccia di Krynn. Ciò spazzerà via questo Fistandantilus e tutti i suoi seguaci, facendoli ripiombare nella tenebra che li ha generati.»

Sbadigliò e si stiracchiò. «Ma prima mi occuperò di Lord Onygion.»

La Notte del Giudizio era quasi finita. Il mattino illuminava il cielo mentre Caramon giaceva nella sua cella, fissando la luce grigia. Domani ci sarebbe stato un altro Gioco, il suo primo dopo l’«incidente».

La vita non era stata piacevole per il grosso guerriero durante quegli ultimi giorni. Esteriormente niente era cambiato. Gli altri gladiatori erano per la maggior parte coriacei veterani, da lungo tempo abituati alla vita dei Giochi.

«Non è un brutto sistema,» aveva detto Pheragas con una scrollata di spalle quando Caramon l’aveva affrontato il giorno del suo ritorno dal

Tempio. «Certo, è assai meglio così che vedere migliaia di uomini che si i ammazzano sui campi di battaglia. Qui, se un nobile si ritiene offeso da un altro, la faida viene regolata segretamente, in privato, con soddisfazione di tutti.»

«Salvo per l’innocente che muore per una causa che non gl’interessa o non capisce!» aveva replicato Caramon con rabbia.

«Non essere così bambino!» aveva sbuffato Kiiri, intenta a lucidare uno dei suoi pugnali retrattili.

«A quanto hai raccontato, tu stesso hai lavorato anche come mercenario. Allora capivi, o t’importava delle cause per le quali combattevi? Non combattevi e uccidevi perché eri pagato bene? Avresti combattuto se non ti avessero pagato? Non vedo la differenza.»

«La differenza è che avevo una scelta!» aveva risposto Caramon, accigliandosi. «E conoscevo la causa per la quale combattevo! Non avrei mai combattuto per qualcuno che, stando alle mie convinzioni, non fosse stato nel giusto! Non importava quanto mi avessero pagato! Mio fratello la pensava allo stesso modo. Lui ed io...». D’un tratto Caramon si era zittito.

Kiiri lo aveva guardato in modo strano, poi aveva scosso la testa con i un sogghigno. «Inoltre,» aveva aggiunto, in tono disinvolto, «aggiunge un 1 sapore piccante... una punta di vera tensione. D’ora in avanti combatterai i meglio, vedrai.»

Ripensando a quella conversazione mentre giaceva lì nel buio, Caramon cercò di ragionare a fondo, nella sua maniera lenta e metodica. | Forse Kiiri e Pheragas avevano ragione. Forse lui si comportava proprio da bambino, mettendosi a piangere perché il giocattolo lucente col quale gli era piaciuto trastullarsi l’aveva d’un tratto tagliato. Ma, riesaminando la cosa da ogni angolo possibile, non riusciva ancora a credere di aver torto. Un uomo meritava una scelta, meritava di poter scegliere il proprio modo di vivere, il proprio modo di morire. Nessun altro aveva il diritto di decidere questo per lui.

E poi, a quella luce antelucana, un peso schiacciante parve abbattersi su Caramon. Si rizzò a sedere, appoggiato a un gomito, fissando, senza I vederla, la cella grigia. Se questo era vero, se ogni uomo meritava una scelta, allora, com’era la questione con suo fratello? Raistlin aveva fatto una scelta, quella di percorrere le strade della tenebra invece che quelle della luce. Caramon aveva il diritto di strappar via suo fratello da quei I sentieri?

La sua mente riandò a quei giorni che senza volerlo aveva richiamato alla memoria parlando con Kiiri e Pheragas, quei giorni immediatamente precedenti la Prova, quei giorni che erano stati i più felici della sua vita, i giorni in cui aveva lavorato come mercenario insieme a suo fratello.

Avevano combattuto bene insieme ed erano stati sempre bene, accolti dai nobili. Malgrado i guerrieri fossero comuni quanto le foglie degli alberi, i fruitori di magia che potevano, ed erano disposti a partecipare a Un combattimento, erano tutt’altra cosa. Nonostante non pochi nobili si fossero mostrati un po’ dubbiosi davanti all’aspetto fragile e malaticcio di Raistlin, ben presto erano rimasti colpiti dal suo coraggio e dalla sua parità. I due fratelli venivano pagati bene e ben presto erano stati molto richiesti. Ma avevano sempre scelto con cura la causa per la quale combattere.

«Quella era opera di Raistlin,» bisbigliò Caramon fra sé con nostalgia, io avrei combattuto per chiunque, la causa m’importava assai poco. Ma Raistlin insisteva a dire che la causa doveva essere giusta. Abbiamo rinunciato a più d’un lavoro perché lui diceva che riguardava un uomo forte che cercava di diventare più forte divorandone altri...»

«Sì, quella era opera di Raistlin!» ripetè Caramon con voce sommessa, fissando il soffitto. «... Oppure non E appunto questo, come dicono i fruitori di magia, che lui sta facendo. Ma posso fidarmi di loro? È stato Par-Salian a coinvolgerlo, lo ha ammesso lui stesso! Raistlin ha liberato Il mondo da quella creatura, Fistandantilus. A detta di tutti è un’ottima cosa. E Raist mi ha detto di non aver avuto nulla a che fare con la morte del Barbaro. Così, in realtà, non ha fatto niente di male. Forse l’abbiamo giudicato male... Forse noi non abbiamo nessun diritto di tentare di costringerlo a cambiare...»

Caramon sospirò. «Cosa posso fare?»

Chiuse gli occhi, in preda a una disperata stanchezza, e infine si addormentò... e ben presto il profumo delle focaccine appena sfornate gli riempi la mente.

Il sole sfolgorò nel cielo. La Notte del Giudizio terminò. Tasslehoff si alzò dal suo letto, salutando con foga il nuovo giorno, e decise che lui, Personalmente, avrebbe fermato il Cataclisma.

Capitolo dodicesimo.

«Alterare il tempo!» esclamò Tasslehoff, in tono deciso, scivolando furtivo oltre il muro del giardino che circondava l’area sacra del tempio e lasciandosi cadere, atterrando infine in un’aiuola.

Alcuni chierici stavano camminando nel giardino, intenti a conversare fra loro dei giorni lieti e vivaci dell’imminente! Festa dei Reciproci Doni. Piuttosto che interrompere la loro conversazione, Tas fece quello che giudicò una cortesia e si appiattì tra i fiori fino a quando non si furono allontanati, anche se ciò significava sporcare i suoi gambali azzurri.

Era piuttosto piacevole giacere in mezzo alle rose rosse della Festa, così chiamate perché crescevano soltanto in quella stagione. Il clima era caldo, troppo caldo, diceva la maggior parte della gente. Tas sogghignò!» Vatti a fidare degli umani... Se il clima fosse stato freddo, il tipico clima della ricorrenza della Festa dei Reciproci Doni, si sarebbero ugualmente lamentati. Tas pensava, da parte sua, che il clima era delizioso. Un pochino difficile respirare con quell’aria pesante, forse, ma, in fin dei conti, non si poteva avere tutto.