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Non l’aveva vista come il Guerriero Oscuro che Conduceva le sue legioni alla morte e alla distruzione. No, gli era comparsa come la Tentatrice Oscura, la più bella di tutte le donne, la più seducente, e così aveva passato la notte con lui, allettandolo con la debolezza e la gloria della carne.

Con gli occhi chiusi, rabbrividendo nella stanza che era più fredda di qualche grado del calore esterno, Raistlin aveva richiamato l’immagine di quei IMI grandi capelli scuri, sospesi davanti a lui; aveva sentito il suo tocco, il suo calore. Alzando le mani, lasciandosi affondare sotto la sua malia, aveva scostato quei capelli aggrovigliati e aveva visto il volto di Crysania!

Il sogno era terminato, infranto quando la mente aveva ripreso il controllo. E adesso giaceva sveglio, esultante nella sua vittoria, conoscenti! però il prezzo che aveva pagato. Uno squassante accesso di tosse si presentò a ribadirlo.

«Non mi arrenderò,» farfugliò, non appena potè respirare. «Non riuscirai a conquistarmi così facilmente, mia Regina.» Scendendo dal letto con passo barcollante, talmente debole che dovette fermarsi più volte a recuperare il fiato, si infilò le vesti nere e andò verso la scrivania Maledicendo il dolore che aveva nel petto, aprì un antico testo sugli attrezzi magici e cominciò la sua laboriosa ricerca.

Anche Crysania aveva dormito male. Come Raistlin, sentiva la vicinanza di tutti gli dei, ma del suo dio, Paladine, più di ogni altro. Sentiva la sua collera, ma era venata di un dolore così profondo e devastante che Crysania non riusciva a sopportarlo. Sopraffatta da un senso di colpa, voltò le spalle a quel volto gentile e cominciò a correre. Continuò a correre, piangendo, incapace di vedere dove stava andando. Incespicò cadde nel nulla, l’anima lacerata dalla paura. Poi delle braccia robuste l’afferrarono. Venne avvolta da morbide vesti nere, tenuta accanto ad un corpo muscoloso. Dita sottili le accarezzarono i capelli, calmandola, Sollevò lo sguardo su un viso...

Campane... delle campane ruppero l’immobilità. Sorpresa, Crysania si rizzò a sedere sul letto, guardandosi intorno con occhi spiritati. Poi, ricordando il volto che aveva visto, ricordando il calore del suo corpo e il conforto che vi aveva trovato, si prese la testa dolorante fra le mani e pianse.

La prima cosa che Tasslehoff provò nello svegliarsi fu una sensazione di disappunto. Ricordò che oggi iniziava la Festa dei Reciproci Doni, ma anche il giorno in cui, stando a quanto Raistlin aveva detto, sarebbero cominciate ad accadere Cose Spaventose. Guardandosi intorno alla grigia luce che filtrava attraverso la finestra, l’unica cosa spaventosa che Tas vide fu Caramon, sul pavimento, intento alla ginnastica mattutina, chi sbuffava come un mantice.

Nonostante le giornate di Caramon fossero piene di esercizi con le armi eseguiti con i membri della sua squadra per sviluppare nuovi aspetti della loro routine, l’omone combatteva ancora una interminabile battaglia con il suo peso. Non era più a dieta e poteva mangiare lo stesso cibo degli altri. Ma il nano, con il suo occhio acuto, si era subito accorto che

Caramon mangiava cinque volte più di chiunque altro!

Un tempo l’omone aveva mangiato per il puro piacere. Adesso, depresso, infelice e ossessionato dal pensiero di suo fratello, Caramon cercava consolazione nel cibo allo stesso modo in cui qualcun altro poteva cercare consolazione nel bere. (Infatti, una volta Caramon ci aveva provato, chiedendo a Tas di portargli di nascosto una bottiglia di spirito dei nani. disabituato a quel forte alcolico, era stato colto da un violento malessere con grande e segreto sollievo del kender.) di conseguenza, Arack aveva decretato che Caramon avrebbe potuto mangiare soltanto se avesse eseguito tutta una serie di strenui esercizi tutti i giorni. Caramon si chiedeva spesso come il nano potesse sapere se lui saltava un giorno, poiché faceva gli esercizi la mattina presto, prima che gli altri si svegliassero. Ma in qualche modo Arack lo sapeva.

L’unica mattina in cui Caramon aveva saltato gli esercizi, gli era stato proibito l’accesso alla mensa da un Raag sogghignante col randello in mano!

Annoiato di dover ascoltare i grugniti, i gemiti e le imprecazioni di Caramon, Tas si arrampicò su una sedia e sbirciò fuori dalla finestra per vedere se all’esterno stesse accadendo qualcosa di spaventoso. Si sentì molto rallegrato.

Capitolo quattordicesimo.

«Sono le forze del male che operano per sconfiggermi!» gridò il Gran Sacerdote, la sua voce musicale trasmise un fremito di coraggio alle anime di coloro che ascoltavano. «Ma non mi arrenderò! Né dovete farlo voi! Dobbiamo esser forti davanti a questa minaccia...»

«No,» mormorò Crysania fra sé, in preda alla disperazione. «No, hai capito male! Come puoi essere così cieco?»

Assisteva alle Preghiere del Mattino, dodici giorni dopo che il Primo dei Tredici Ammonimenti era stato dato, senza però che alcuno gli avesse prestato ascolto. Da allora erano arrivati rapporti da ogni parte del continente che riferivano di altri strani avvenimenti, ogni giorno uno nuovo.

«Re Lorac riferisce che a Silvanesti gli alberi hanno pianto sangue per tutta la giornata,» riferì il Gran Sacerdote, con un’accresciuta intensità nella voce per lo sgomento e l’orrore causati dagli eventi che raccontava. «La città di Palanthas è coperta da una densa nebbia bianca, talmente fitta che gli abitanti si smarriscono se escono di strada.

«A Solamnia nessun fuoco vuole ardere. I loro focolari sono freddi e spogli. Le forge sono chiuse, il carbone potrebbe benissimo essere ghiaccio, visto il calore che sprigiona. Eppure, sulle pianure di Abanasinia, l’erba della prateria ha preso fuoco. Le fiamme infuriano senza nessun controllo, riempiendo il cielo di fumo nero e scacciando gli uomini delle pianure dalle loro capanne tribali.

«Proprio questa mattina i grifoni hanno portato la notizia che la città elfa di Qualinost è stata invasa dagli animali della foresta, diventati d’un tratto strani, e selvaggi...»

Crysania non ce la fece più. Malgrado le donne la guardassero sbigottite quando si alzò, ignorò le loro occhiate furiose e abbandonò i Riti, fuggendo per i corridoi del Tempio.

Un lampo frastagliato l’accecò, l’aspro e feroce rimbombare del tuono che seguì subito dopo la indusse a coprirsi il volto con le mani.

«Tutto questo deve cessare, altrimenti impazzirò,» mormorò con voce rotta, rifugiandosi spaventata in un angolo.

Da dodici giorni, da quando si era scatenato il ciclone, una tempesta infuriava su Istar, inondando la città di pioggia e di grandine. Il bagliore dei lampi e il rombo dei tuoni erano quasi continui, facendo tremare il Tempio, rendendo impossibile il sonno, martellando la mente. Tesa, intontita dalla fatica, esausta e terrorizzata, Crysania si accasciò su una sedia.

Un tocco delicato sul braccio la fece sussultare, inducendola a balzare in piedi allarmata. Si trovò davanti un giovane aitante avvolto in un mantello inzuppato d’acqua. Potè intravedere i contorni di un paio di spalle forti e muscolose.

«Scusami, Reverenda Figlia, non intendevo spaventarti,» disse il giovane con una voce che le era vagamente familiare come il suo volto.

«Caramon!» esclamò Crysania con un singulto di sollievo, aggrappandosi a lui come a qualcosa di vero e solido. Vi fu un altro lampo accecante e un frastuono assordante. Crysania strinse gli occhi, serrando i denti, mentre sentiva che perfino il corpo forte e muscoloso di Caramon diventava teso per il nervosismo. Lui la sorresse, impedendole di cadere.

«Do... dovevo presenziare alle Preghiere del Mattino,» balbettò Crysania quando la sua voce fu di nuovo udibile. «Dev’essere orribile là fuori. Sei inzuppato fino al midollo!»

«Sono giorni che cerco d’incontrarti...» cominciò a dire Caramon.

«Lo... Lo so,» ansimò Crysania. «Mi spiace. È soltanto che ho... ho avuto da fare...»