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«Questa gente sono gli Annegati, servitori del dio, esattamente come me. Non ho segreti per loro, né per il nostro dio, a fianco del cui mare sacro io ora mi ergo.»

I cavalieri si scambiarono un’occhiata.

«Diglielo» decise Sparr.

Il ragazzo con il mantello rosso infine si fece coraggio. «Il re è morto» disse. Quattro piccole parole, eppure, quando il ragazzo le pronunciò, il mare sembrò ritrarsi.

C’erano quattro re nelle terre d’Occidente, ma Aeron non ebbe bisogno di chiedergli a quale di loro si riferisse. Balon Greyjoy, dominatore delle Isole di Ferro, nessun altro. "Il re è morto. Com’è possibile?" Aeron aveva visto suo fratello maggiore nemmeno un ciclo di luna prima, al suo ritorno alle Isole di Ferro dopo aver condotto l’assalto alla Costa Pietrosa. Da grigi, i capelli di Balon erano diventati quasi tutti bianchi nel tempo in cui il prete era stato via, e le sue spalle erano più ingobbite di quanto non lo fossero quando le lunghe navi erano salpate. Ma, tutto considerato, il re non sembrava malato.

Aeron Greyjoy aveva fondato la propria vita su due possenti pilastri. Quelle quattro brevi parole ne avevano abbattuto uno. "Adesso mi rimane solo il dio Abissale. Possa egli rendermi forte e instancabile come il mare." «Dimmi com’è morto mio fratello.»

«Sua maestà stava attraversando il ponte sospeso a Pyke quando è caduto sulle rocce sottostanti.»

La fortezza dei Greyjoy sorgeva su un promontorio frastagliato, manieri e torrioni eretti su massicce formazioni di roccia che si elevavano dal mare. Dei ponti collegavano le varie parti del promontorio: ponti arcuati e passerelle sospese di funi di canapa e assi di legno.

«Infuriava una tempesta quando il re è caduto?» chiese Aeron.

«Aye» confermò il ragazzo. «È così.»

«Il dio della Tempesta lo ha colpito» annunciò il prete.

La guerra tra il mare e il cielo andava avanti dalla notte dei tempi. Dal mare erano venuti gli uomini di ferro, e il pesce che li sosteneva perfino nel cuore congelato dell’inverno, ma le tempeste recavano solo lutto e dolore.

«Mio fratello Balon ci ha restituito la nostra grandezza, e questo ha scatenato su di lui l’ira del dio della Tempesta. Ora egli giubila nelle liquide sale del dio Abissale, con le sirene pronte a ogni suo desiderio. Spetta quindi a noi che restiamo in questa arida valle di sofferenza portare a compimento la sua grande opera.» Aeron tappò nuovamente l’otre. «Parlerò con il lord tuo padre. Quanto dista da qui Hammerhorn?»

«Sei leghe. Puoi montare in sella con me.»

«Un uomo solo cavalca più rapidamente di due. Dammi il tuo cavallo, e il dio Abissale ti benedirà.»

«Prendi il mio, Capelli bagnati» offrì Steffarion Sparr.

«No, il suo cavallo è più robusto. Dammelo, ragazzo.»

Il giovane ebbe solo una leggera esitazione, poi smontò e porse le redini a Capelli bagnati.

Aeron infilò nella staffa il piede nudo, annerito, e montò in sella. Non amava i cavalli, erano creature delle Terre Verdi e contribuivano a rendere deboli gli uomini, ma l’urgenza della situazione richiedeva che lui cavalcasse. "Ali oscure, oscure parole." Una tempesta incombeva, la sentiva dalle onde, e le tempeste portavano solo cose cattive. «Ci incontreremo a Pebbleton, sotto la torre di lord Merlyn» disse ai suoi Annegati, prima di far voltare la testa al cavallo.

La via era dura, per boschi, colline e creste rocciose, lungo uno stretto sentiero che a volte pareva svanire sotto gli zoccoli del cavallo. Grande Wyk era la più vasta delle Isole di Ferro, così vasta che le terre di alcuni dei suoi lord neppure si affacciavano sul mare sacro. Gorold Buonfratello era uno di quei lord. Il suo maniero si trovava fra le colline Durapietra, le più remote di tutto l’arcipelago dal regno del dio Abissale. I sudditi di Gorold faticavano nelle sue miniere, nella rocciosa oscurità delle viscere della Terra. Molti di loro vivevano e morivano senza avere mai visto l’acqua salata. "Nessuna meraviglia se quella gente è strana e ostile."

Durante quella cavalcata, la mente di Aeron tornò ai suoi fratelli.

Nove figli erano nati dai lombi di Quellon Greyjoy, signore delle Isole di Ferro. Harlon, Quenton e Donel erano stati generati dalla prima moglie, una donna degli Alberi di pietra. Balon, Euron, Victarion, Urrigon e Aeron erano figli della seconda moglie, una Sunderly di Saltcliffe. Come terza moglie, Quellon aveva preso una ragazza delle Terre Verdi, che gli aveva dato un ragazzino idiota e malaticcio chiamato Robin, fra tutti i fratelli quello che veniva dimenticato più facilmente. Il profeta non si ricordava né di Quenton né di Donel, morti entrambi in tenera età. Di Harlon aveva qualche vago ricordo, seduto in una stanza priva di finestre della torre, immobile e terreo in viso, la voce un sussurro che ogni giorno diventava sempre più flebile mentre il morbo grigio gli tramutava la lingua e le labbra in pietra. "Un giorno banchetteremo assieme con leccornie di pesce nelle liquide sale del dio Abissale, noi quattro e anche Urri."

Nove figli erano nati dai lombi di Quellon Greyjoy, ma solo quattro erano sopravvissuti fino a raggiungere l’età adulta. Così andava in quel mondo gelido, dove gli uomini pescavano nel mare, scavavano la terra e alla fine morivano, dove le donne, nel sangue e nella sofferenza, generavano bambini dalla vita breve. Aeron era stato l’ultimo e il minore degli eredi del kraken, la piovra abissale, Balon il maggiore e il più temerario, un ragazzo fiero e impavido il cui unico scopo nella vita era restituire ai Greyjoy la loro antica gloria. All’età di dieci anni aveva scalato la scogliera Flint fino al torrione stregato del lord Cieco. A tredici sapeva correre sul remo di una nave lunga e danzare il ballo delle dita meglio di chiunque altro nelle Isole di Ferro. A quindici era salpato con Dagmer Mascella spaccata fino a Scala di Pietra, passando l’estate a fare razzie. Aveva ucciso il suo primo uomo e preso la prima delle sue due mogli di sale. A diciassette anni Balon Greyjoy aveva assunto il comando della sua prima nave. Era tutto quello che un fratello maggiore deve essere, ma verso Aeron non aveva mostrato altro che disprezzo. "Ero debole e carico di peccati, e il disprezzo era anche più di quanto mi meritassi. Meglio essere disprezzati da Balon il Coraggioso che amati da Euron Occhio di corvo." L’età e i lutti avevano riempito Balon di amarezza, ma lo avevano anche reso più determinato di qualsiasi altro uomo sulla terra e sul mare. "È nato lord ed è morto re, assassinato da un dio geloso" pensò Aeron "e ora la tempesta incombe, una tempesta come queste isole non hanno mai visto."

Era da tempo calata l’oscurità quando il profeta superò le fortificazioni di Hammerhorn, frastagliati sbarramenti di ferro protesi ad artigliare la luna. Il maniero di Gorold, addossato a una scogliera a strapiombo, era tozzo e massiccio, fatto di grandi pietre tagliate dalla scogliera stessa. Sotto le mura, gli ingressi di caverne e di antiche miniere si aprivano come nere bocche spalancate prive di denti. I portali di ferro di Hammerhorn erano chiusi, sbarrati per la notte. Aeron prese una pietra e picchiò fino a quando il clangore svegliò una delle guardie.

Il giovane che lo fece entrare era la copia di Gormond, il ragazzo cui Aeron aveva preso il cavallo.

«Tu chi sei?» domandò Aeron.

«Gran. Mio padre ti aspetta.»

La sala era umida, piena di correnti d’aria, pervasa dalle ombre. Una delle figlie di Gorold offrì al profeta un corno di birra di malto. Un’altra attizzava un fuoco stentato che faceva più fumo che calore. Gorold Buonfratello stava parlando a bassa voce con un uomo snello vestito con raffinate tuniche grigie, che una catena di molti metalli attorno al collo identificava come un maestro della Cittadella.

«Dov’è Gormond?» chiese Gorold quando vide Aeron.

«Sta tornando a piedi. Manda via le tue donne, mio signore. E anche il maestro.» Aeron non apprezzava i maestri. I loro corvi erano creature del dio della Tempesta, né si fidava delle loro arti di guarigione, non dopo Urri. "Nessun uomo degno di questo nome sceglierebbe una vita servile, né forgerebbe una catena da servo da portare attorno alla gola."