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«Vedrai la morte del Signore, e avrai un nuovo corpo di vergine, giovane e bello, come tutte le altre» disse Wolff. «Ma solo se Podarge farà quanto le domando.»

Armonide si lanciò dalla cima di una collina, agitò le potenti ali, e cominciò a salire. Il cielo verde assorbì dopo qualche tempo il verde delle sue piume. L’aquila sparì.

Wolff e i suoi uomini restarono al riparo di un gruppo di alberi caduti fino a notte, prima di andare avanti. Ormai, attraverso un sottile processo, Wolff era diventato il capo della spedizione. Prima, con l’approvazione di tutti, Kickaha aveva tenuto le redini dell’impresa; ora qualcosa era accaduto, e Wolff aveva ottenuto il potere di prendere le decisioni. Non sapeva cosa fosse accaduto, perché Kickaha era vigoroso e deciso come non mai. E il passaggio di comando non era stato causato da uno sforzo cosciente di Wolff. Era come se Kickaha avesse aspettato che Wolff si fosse impadronito di tutte le nozioni che lui poteva fornirgli. Allora Kickaha gli aveva consegnato il bastone del comando.

Viaggiarono esclusivamente nelle ore notturne, durante le quali essi videro pochissimi corvi. A quanto pareva, non c’era bisogno di loro in quella zona, dato che era sotto l’influenza diretta del Signore. Inoltre, nessuno avrebbe osato penetrarvi, dopo che l’ira del Signore si era manifestata in maniera così tremenda.

Arrivando alla grande massa contorta della torre di Rhadamanthus, essi trovarono rifugio tra le rovine. C’era metallo più che sufficiente per il piano di Wolff. Gli unici due problemi erano il cibo e la segretezza del lavoro. Il primo fu risolto dalla scoperta di un magazzino di cereali e di carne essiccata. Quasi tutte le riserve erano state distrutte prima dal fuoco e poi dall’acqua, ma era rimasto quanto bastava a nutrirli per diverse settimane. Il secondo problema fu risolto lavorando nelle profondità delle camere sotterranee. Il periodo di scavo fu di cinque giorni, un periodo che non preoccupò Wolff, perché sapeva che ci sarebbe voluto del tempo prima che Armonide raggiungesse Podarge… se riusciva, ovviamente, ad arrivare a destinazione. Molte cose le potevano accadere lungo la strada, soprattutto un attacco dei corvi.

«E se non ce la fa?» domandava Chryseis.

«Allora dovremo escogitare qualcos’altro» rispondeva Wolff. Carezzò il corno, e schiacciò i sette tasti. «Kickaha conosce la combinazione usata per lasciare il palazzo. Possiamo tornarvi servendoci di essa. Ma sarebbe pura follia. L’attuale Signore non sarà tanto stupido da non lasciare nel punto d’arrivo una guardia munitissima.»

Passarono tre settimane. La riserva di cibo era diminuita, tanto che dovettero essere mandati in giro dei cacciatori. Questo era pericoloso anche di notte, perché non si poteva mai sapere se un corvo fosse in agguato o in perlustrazione. Inoltre, per quanto ne sapeva Wolff, il Signore poteva avere degli strumenti per vedere di notte bene come di giorno.

Al termine della quarta settimana, Wolff fu costretto a rinunciare alle speranze che aveva riposto su Podarge. O Armonide non era riuscita a raggiungerla, o Podarge aveva rifiutato di ascoltare.

Quella stessa notte, mentre sedeva al riparo di una enorme piastra d’acciaio e fissava la luna, si udì il battito di molte ali. Wolff scrutò nelle tenebre. Improvvisamente, la luce della luna risplendette su qualcosa dalle mille sfumature nere e bianche, e Podarge fu davanti a lui. Dietro di lei c’erano molte forme alate, e la luce splendeva sui becchi gialli e sugli occhi rossi.

Wolff le condusse nelle gallerie, e le portò in una grande sala. Alla luce delle torce, guardò nuovamente il volto tragicamente bello dell’arpia. Ma ora che lei pensava di poter veramente colpire il Signore, la sua espressione era lieta. Le sue compagne avevano portato con loro del cibo, e così, mentre tutti mangiavano, Wolff spiegò all’arpia il suo piano. Mentre discutevano i diversi aspetti del piano, una delle scimmie, lasciata di guardia, portò nella sala un uomo che era stato sorpreso a curiosare tra le rovine. Si trattava di Abiru il Khamshem.

«Questo per te è un peccato, e per me un dispiacere» gli disse Wolff. «Non posso legarti e lasciarti qui. Se tu fuggissi e trovassi un corvo, il Signore sarebbe avvertito. Così, devi morire. A meno che tu non sappia convincermi del contrario.»

Abiru si guardò intorno, e vide soltanto morte.

«Molto bene» disse allora. «Non volevo parlare, né parlerò davanti a qualcuno, se potrò evitarlo. Credimi, devo parlarti da solo. È per la tua vita quanto per la mia.»

«Non c’è nulla che tu debba dire che non possa essere udito da tutti» replicò Wolff. «Parla.»

Kickaha avvicinò le labbra all’orecchio di Wolff, e mormorò:

«Fa’ come ti dice. È meglio.»

Wolff rimase sbalordito. I dubbi sulla vera identità di Kickaha ritornarono. Le due richieste erano così strane e inattese che per un istante provò una strana sensazione di dissociazione. Gli parve di galleggiare, isolato da tutti, solo.

«Grande Signora, ora è il tempo della fiducia. Devi credere in noi, avere fiducia. Vuoi perdere la tua sola possibilità di vendetta e di ottenere il tuo corpo umano? Devi fidarti di noi in tutto. Se interferisci, tutto è perduto» disse Kickaha.

Podarge disse:

«Non so cosa significa tutto questo, e sento di essere tradita, in qualche modo oscuro. Ma farò come tu dici, Kickaha, perché ti conosco e so che tu sei un nemico giurato del Signore. Ma non abusare troppo della mia pazienza.»

Allora Kickaha mormorò nell’orecchio di Wolff una cosa ancora più strana:

«Adesso lo riconosco. Quella barba e la tintura del suo corpo mi avevano ingannato, oltre al fatto di non avere udito la sua voce da più di venti anni.»

Il cuore di Wolff batteva tumultuosamente, pieno di un’ignota apprensione. Prese la sua scimitarra e condusse Abiru, le cui mani erano legate strettamente, in una saletta laterale. E là egli ascoltò.

CAPITOLO XVI

Un’ora più tardi, ritornò dagli altri. Appariva stordito.

«Abiru verrà con noi» disse. Potrà esserci prezioso. Abbiamo bisogno di ogni aiuto possibile, e di ogni uomo capace.

«Non ti chiedo troppo se ti domando una spiegazione?» disse Podarge. Aveva gli occhi stretti, e sul suo volto si formava la maschera della follia.

«No, non voglio e non posso» rispose lui. «Ma sento più che mai che la vittoria è a noi vicina. Dimmi, Podarge, quanto sono forti le tue aquile? Hanno volato tanto, stanotte, che ora sia necessaria una notte di riposo per loro, rimandando così a domani l’impresa?»

Podarge rispose che erano pronte per la loro missione. Non voleva perdere altro tempo.

Woiff impartì gli ordini, che furono portati da Kickaha alle scimmie, dato che esse obbedivano soltanto a lui. Portarono all’esterno le funi e le traverse, e gli altri le seguirono.

Nella vivida luce della luna, sollevarono le traverse, che erano sottili ma solide. Gli esseri umani e le cinquanta scimmie allora si sistemarono nelle nicchie simili a tele di ragno che si trovavano sotto le traverse, e si assicurarono con delle cinghie. Le aquile afferrarono le funi attaccate a ognuno dei quattro angoli delle traverse, e un’altra aquila afferrò la fune legata al centro delle traverse. Wolff diede il segnale. Sebbene non ci fosse stato tempo per impartire le istruzioni, ogni uccello partì allo stesso tempo, agitando le ali, e lentamente innalzandosi nel cielo. Le corde erano lunghe quindici metri, per permettere alle aquile di alzarsi abbastanza, prima che il peso delle traverse e degli uomini si facesse sentire.