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Chryseis disse:

«Io non capisco.»

Wolff la strinse a sé.

«Capirai presto. Certo se ce la faremo. Ho molte cose da dirti, e tu hai molte cose da perdonarmi.»

Una porta davanti a loro scivolò nella parete, e un uomo rivestito di armatura avanzò fragorosamente su di loro. Stringeva in mano un’ascia immensa.

«Non è un uomo» disse Wolff. «È un talos del Signore.»

«Un robot!» disse Kickaha.

Wolff pensò: Non proprio nel senso in cui Kickaha l’intende. Non era fatto tutto di plastica e d’acciaio e di fili elettrici. Metà del suo corpo era fatto di proteina, fabbricata nei biolaboratori del Signore. Aveva un istinto di sopravvivenza che nessuna macchina con tutte le sue parti inanimate avrebbe mai potuto avere. Questa era una forza, e nello stesso tempo, una debolezza.

Parlò a Kickaha, che ordinò alle scimmie di obbedire a Wolff. Una dozzina di esse avanzarono, fianco a fianco, e lanciarono simultaneamente le asce che portavano. Il talos si gettò di lato, ma non poté evitarle tutte. Fu colpito con una forza e una precisione che l’avrebbero ridotto in mille pezzi, se non fosse stato protetto dalle piastre metalliche. Cadde all’indietro e rotolò su se stesso, poi si alzò subito in piedi. Mentre si trovava a terra, Wolff gli corse incontro. Lo colpì con la scimitarra nella giuntura tra la spalla e il collo. La lama si spezzò senza penetrare il metallo. Comunque, la forza del colpo abbatté di nuovo il talos.

Wolff gettò la sua arma, afferrò il talos alla vita, e lo sollevò. Silenziosamente, perché non era provvisto di corde vocali, l’essere metallico scalciò e si abbassò per afferrare Wolff. Lui lo scagliò contro la parete, e la cosa si abbatté fragorosamente al suolo. Quando fece per rialzarsi in piedi, Wolff calò il suo pugnale e lo affondò in una delle cavità orbitali. Si udì uno schianto, quando la plastica che copriva la pupilla venne fracassata. La punta del pugnale si ruppe, e Wolff fu scaraventato indietro da un pugno metallico. Fu sulla cosa quasi immediatamente, afferrò il pugno teso, lo torse, e lo piegò dietro la schiena. Prima che la cosa potesse alzarsi, si trovò in balia di Wolff. Wolff corse verso la finestra, e gettò l’essere metallico da essa.

Quattro piani più sotto, dopo avere girato su se stesso più volte, il talos si schiantò al suolo. Per un istante rimase immobile, poi cominciò a rialzarsi. Wolff gridò degli ordini a quattro aquile appostate all’esterno. Esse calarono in picchiata, e afferrarono le braccia del talos. Si sollevarono, trovarono la creatura troppo pesante, e tornarono ad abbassarsi. Ma riuscirono a tenere il corpo metallico a qualche centimetro da terra. Volarono verso il bordo del monolito, dal quale avrebbero gettato il talos. Neppure la sua armatura avrebbe resistito a una caduta di oltre diecimila metri.

Dovunque fosse nascosto il Signore, doveva avere visto la sorte del talos che aveva lanciato contro gli invasori. Infatti si aprì un pannello nella parete, e ne uscirono venti talos, ciascuno con un’ascia in mano. Wolff parlò alle scimmie. Queste scagliarono di nuovo le loro asce, abbattendo numerosi esseri metallici. Gli antropoidi giganteschi attaccarono i talos in massa. Sebbene la forza meccanica di ogni androide fosse superiore a quella di una singola scimmia, ì talos vennero sopraffatti dal numero. Mentre una scimmia combatteva con un androide, la compagna afferrava la testa metallica, e torceva. Il metallo s’incrinava, sotto la stretta; bruscamente, i meccanismi del collo si spezzavano con uno schianto. Le teste caddero al suolo, mentre dai tronchi decapitati usciva un liquido denso. Gli altri talos furono abbattuti e passati di mano in mano fino alla finestra, dalla quale venivano gettati, per essere accolti al suolo da due aquile che li andavano a gettare dal monolito.

Eppure sette scimmie morirono, uccise dalle asce, o con la testa spezzata. I rapidi cervelli proteici dei semi-automi imitavano le azioni dei loro assalitori, se queste potevano rivolgersi a loro vantaggio.

Più avanti, nel corridoio, grosse piastre di metallo scesero dal soffitto, dietro e davanti a loro, per bloccare sia l’avanzata che la ritirata. Wolff se ne era dimenticato fino a un istante prima che accadesse. Esse scesero velocemente, ma non troppo, e lui riuscì ad abbattere una colonna di marmo. La colonna caduta impedì alle piastre di scendere completamente. Le forze che spingevano le piastre erano così potenti, però, che il metallo cominciò a scavare la pietra. Gli attaccanti strisciarono ventre a terra sotto il passaggio che diveniva sempre più esiguo. Nello stesso tempo, la zona semi-isolata veniva invasa dall’acqua. Se non fossero riusciti a ritardare la chiusura delle piastre, sarebbero rimasti annegati.

Percorsero il corridoio, immersi nell’acqua fino al ginocchio, e salirono per un’altra rampa di scale. Wolff allora si fermò davanti a una finestra, dalla quale lanciò un’ascia. Vedendo che non succedeva niente, si affacciò e chiamò dentro Podarge e le sue aquile che erano state bloccate dalle piastre.

«Siamo vicini al cuore del palazzo, alla stanza nella quale deve trovarsi il Signore» disse lui. «Ogni corridoio, a partire da questo punto, ha nelle sue pareti dozzine di proiettori laser. I raggi possono formare una rete, attraverso la quale nessuno può passare vivo.»

Fece una pausa, poi disse:

«Il Signore può restare là dentro all’infinito. Il combustibile per i proiettori non si esaurirà, e lui ha cibo e acqua sufficienti a sostenere qualsiasi assedio, Ma c’è un antico assioma militare che dice come nessuna difesa, per quanto sia formidabile, può resistere allo scatenarsi dell’attacco giusto.»

Disse a Kickaha:

«Quando hai preso il passaggio per ii piano di Atlantide, hai lasciato la mezzaluna. Ti ricordi dove?»

Kickaha sorrise e disse:

«Sì! L’ho messa dietro una statua, in una stanza vicina alla piscina. Ma se i gworl l’avessero trovata?»

«Allora dovrò studiare un altro attacco. Andiamo a vedere se troviamo la mezzaluna.»

«Qual è il tuo piano?» domandò a bassa voce Kickaha.

Wolff gli spiegò che Arwoor doveva avere una via di fuga dalla sala di comando. Se Wolff ricordava bene, c’era una mezzaluna incastonata nel pavimento, e molte altre sciolte. Ciascuna di esse, se messa in contatto con la mezzaluna fissa, apriva un passaggio nell’universo col quale quella sciolta era sintonizzata. Nessuna di esse dava accesso agli altri piani del pianeta che si trovava in quell’universo. Solo il corno poteva aprire dei passaggi tra i piani.

«Certo» disse Kickaha. «Ma a cosa ci servirà la mezzaluna, se la troviamo? Deve essere unita a un’altra, e dov’è l’altra? E poi, chiunque la usi sarà trasportato sulla Terra, e basta.»

Wolff indicò la borsa di cuoio legata alla cintura, nella quale teneva il corno.

«Io ho il corno.»

Imboccarono un corridoio. Podarge venne dietro di loro.

«Cosa volete fare?» domandò.

Wolff le rispose che stavano cercando un mezzo per entrare nella sala di comando. Podarge doveva restare indietro, per occuparsi di qualsiasi caso di emergenza. Lei rifiutò, dicendo che voleva tenerli d’occhio, adesso che erano così vicino al Signore. Inoltre, se riuscivano a raggiungere il Signore, avrebbero dovuto portarla con loro. Ricordò a Wolff la sua promessa di lasciarle il Signore, per farne quanto voleva. Lui si strinse nelle spalle, e proseguì.

Localizzarono la stanza in cui si trovava la statua dietro la quale Kickaha aveva nascosto la mezzaluna. Ma la statua era stata rovesciata nel corso della battaglia tra scimmie e gworl. I cadaveri giacevano sparpagliati ovunque. Wolff si fermò, sorpreso. Non aveva visto gworl, dal momento in cui era entrato nel palazzo, e aveva dato per scontato il fatto che tutti erano morti nel corso della lotta con i selvaggi. Il Signore non li aveva mandati tutti all’inseguimento di Kickaha.

Kickaha gridò: