L’appuntamento era al Kansas Rose alle cinque e mezzo. — Ah, bene, hai ricevuto il mio messaggio — disse Billy Ray, venendomi incontro nel parcheggio. Portava jeans neri, camicia da cowboy bianca e nera, Stetson bianco. Aveva i capelli più lunghi dell’ultima volta. Di sicuro i capelli lunghi stavano tornando di moda.
— Più o meno — dissi. — Ma eccomi qui.
— Mi spiace d’avere dovuto combinare così presto, ma c’è un seminario serale su “Irrigazione su Internet” che non voglio perdermi. — Mi prese a braccetto. — Questo è in teoria il locale più alla moda della città.
Aveva ragione. Anche con la prenotazione bisognava aspettare una mezz’ora, e ogni donna in coda vestiva rosa postmoderno.
— Hai preso le Targhee? — gli domandai, appoggiandomi a un cartello ASSOLUTAMENTE VIETATO FUMARE.
— Sì, sono magnifiche. Basso mantenimento, alta tolleranza al freddo e quindici libbre di lana a stagione.
— Lana? Credevo che le Targhee fossero mucche.
— Ormai più nessuno alleva mucche — disse lui corrugando la fronte, come se avessi dovuto saperlo. — Per la storia del colesterolo. L’agnello ha una percentuale più bassa di colesterolo e il montone dovrebbe essere il capo più alla moda per l’inverno.
— Bobby Jay — chiamò la cameriera, che aveva un grembiule di percalle rosso e treccioline colorate.
— Siamo noi — dissi.
— Non vogliamo sederci nemmeno nelle vicinanze della vecchia sezione fumatori — disse Billy Ray, e seguimmo la cameriera al tavolino.
La moda del girasole, a quanto pareva, era venuta lì a morire. C’erano girasoli intrecciati nella palizzata bianca che circondava il nostro tavolino, incorniciati alle pareti, dipinti sulla porta del bagno, ricamati sui tovaglioli. C’era un grosso mazzo di quelli artificiali nel vaso Mason al centro della tovaglia a girasoli.
— Freddo, eh? — disse Billy Ray, aprendo il menu a forma di girasole. — Tutti dicono che la prateria sarà la prossima grande moda.
— Credevo che fosse il montone — borbottai, prendendo il menu. La cucina della prateria era non tanto alla moda quanto sostanziosa: bistecca di pollo fritto, intingolo alla panna, pannocchia abbrustolita, il tutto servito stile famiglia.
— Da bere? — disse un cameriere in calzoni di pelle scamosciata e bandana girasole.
Guardai il menu. Avevano espresso, cappuccino e caffellatte… Anche quelli andavano forte, ai tempi della prateria. Niente tè freddo.
— Il tè freddo è la bevanda del Kansas — dissi al cameriere. — Come mai non l’avete?
Evidentemente andava a scuola da Flip. Roteò gli occhi, sospirò con aria esperta e disse: — Il tè freddo è outré.
Parola mai pronunciata nella prateria, pensai; ma Billy Ray stava già ordinando polpettone, purea di patate e cappuccino per tutt’e due.
— Allora, parlami di questa ricerca che ti fa lavorare anche nei weekend.
Gliene parlai. — Il guaio è che ho tante di quelle possibili cause che ormai mi escono dalle orecchie — dissi, dopo avergli spiegato che cosa facevo. — Uguaglianza femminile, bicicletta, uno stilista francese di nome Poiret, la Prima guerra mondiale e Coco Chanel che si strinò i capelli per lo scoppio di una stufetta. Purtroppo nessuna di esse pare essere la causa principale.
Il pranzo arrivò, su piatti di terracotta marrone decorati a girasoli. La coleslaw, un’insalata di cavolo tritato, carote, cipolle e maionese, era guarnita con foglioline di basilico fresco (che, come la coleslaw, non mi pareva fosse in gran voga nella prateria), il polpettone con fettine di limone.
Mentre mangiavamo, Billy Ray mi parlò dei pregi dell’allevamento di ovini. Le pecore godevano di buona salute, procuravano guadagni, non erano difficili da imbrancare e potevano pascolare dappertutto, cose che sarei stata più incline a credere se sei mesi prima non mi avesse detto la stessa cosa sull’allevamento dei bovini Longhorn.
— Dessert? — chiese il cameriere, passandoci il menu dei dolci.
Immaginai che il dessert della prateria sarebbe stato crostata di uva spina o forse pesche sciroppate, invece si trattava dei soliti noti: crème brûlé, tiramisù e “il nostro nuovissimo dessert, budino di pane”.
Be’, pareva un dessert del Kansas, d’accordo, il genere di cosa che sei ridotta a mangiare dopo che ti è morta la vacca e le cavallette hanno divorato il raccolto.
— Prendo il tiramisù — dissi.
— Anch’io — disse Billy Ray. — Ho sempre odiato il budino di pan secco. Sembra di mangiare gli avanzi.
— Tutti impazziscono per il nostro budino di pane — disse il cameriere, in tono di rimprovero. — È il nostro dessert più popolare.
Il brutto di studiare le mode è che non puoi mai togliere la spina. Te ne stai lì seduta davanti al tuo cavaliere che mangia il tiramisù, e invece di pensare che è proprio un bravo ragazzo ti ritrovi a meditare sulle mode nei dessert e su come sembra sempre che abbiano un contenuto di zuccheri e di calorie direttamente proporzionale all’ossessione per la dieta.
Il tiramisù, per esempio, che contiene cioccolato e panna montata e due tipi di formaggio. E lo zucchero caramellato, che andava forte negli anni Quaranta malgrado i razionamenti del tempo di guerra.
Negli anni Venti era di moda la torta capovolta all’ananas, un dessert che mi auguro non faccia ritorno tanto presto; negli anni Cinquanta il pan di Spagna; nei Sessanta la fonduta di cioccolato.
Mi domandai se Bennett fosse immune anche alle mode alimentari e cosa ne pensasse del budino di pane e del cheesecake al cioccolato.
— Pensi di nuovo al taglio alla maschietta? — disse Billy Ray. — Forse guardi troppe cose. Nel seminario a cui sono iscritto dicono che devi RIPF.
— Rif?
— RIPF. Restringere il punto focale. Eliminare tutti gli aspetti secondari e focalizzarsi sulle variabili essenziali. Questa faccenda del taglio alla maschietta può avere una sola causa, giusto? Devi restringere il punto focale alle possibilità più probabili e concentrarti su quelle. Funziona, anche. L’ho provato in un caso di scabbia ovina. Sei sicura di non voler venire con me al seminario?
— Devo andare in biblioteca.
— C’è un libro che dovresti prendere: Cinque passi per focalizzarsi sul successo.
Terminato di pranzare, Billy Ray se ne andò a RIPF e io andai in biblioteca a cercare le opere complete di Browning. Lorraine non c’era. C’era invece una ragazza che aveva nastro adesivo, treccine avvolte in filo colorato e un’espressione arcigna. — Ha tre settimane di ritardo — disse.
— Impossibile. L’ho preso la scorsa settimana. E l’ho restituito lunedì. — Dopo avere provato Pippa su Flip e deciso che Browning non sapeva di che cosa parlava. Avevo restituito Browning e preso Otello, quell’altra storia sulle influenze indebite.
La ragazza sospirò. — Il computer dice che è ancora in prestito. Ha guardato a casa?
— Non c’è Lorraine?
Roteò gli occhi. — No-o-o-o.
Decisi che era meglio aspettare che ci fosse Lorraine e andai agli scaffali a cercare da me il Browning.
Le opere complete non c’erano, e non riuscivo a ricordare il titolo del libro suggeritomi da Billy Ray. Presi due libri di Willa Cather, che sapeva bene com’era la cucina della prateria, e Via dalla pazza folla, dove, a quanto ricordavo, comparivano delle pecore; poi gironzolai, cercando di farmi venire in mente il titolo e augurandomi che mi venisse un’ispirazione.