— Non so. Ma bisognava consegnarlo lunedì.
Shirl scosse la testa, con aria grave. — Proprio come temevo. Il camion della spazzatura passa il martedì e il giovedì.
Mi dispiaceva averla coinvolta in quella storia. Scesi al bidone riciclaggio. Bennett, gambe penzoloni a mezz’aria, ci era quasi dentro. Riemerse tenendo in mano una manciata di fogli e un torsolo di mela.
Presi metà dei fogli e li esaminammo. Niente modulo.
— E va bene — dissi, cercando di mostrare ottimismo. — Se non è qui, sarà in uno dei laboratori. Da dove cominciamo? Chimica o Fisica?
— Inutile — disse stancamente Bennett. Si appoggiò al bidone. — Non è qui, e neanche io sarò qui ancora per molto.
— Non c’è modo di continuare il progetto anche senza finanziamento? Ha già l’habitat, il computer, le telecamere e tutto il resto. Non può usare topolini o altro?
Scosse la testa. — I topolini sono troppo indipendenti. A me servono animali con forte istinto gregario.
E il Pifferaio magico?, pensai.
— E poi, anche i topolini da laboratorio costano soldi — continuò Bennett.
— E l’ente per gli animali randagi? — suggerii. — Lì probabilmente hanno gatti. No, non gatti. Cani. I cani hanno l’istinto del branco, e il canile municipale è sempre pieno.
Mostrò un’espressione disgustata quasi come quella tipica di Flip. — Credevo che fosse un’esperta di mode. Non ha mai sentito parlare dei diritti degli animali?
— Ma lei non li maltratterà di certo. Si limiterà a osservarli. — Però aveva ragione, pensai. Mi ero dimenticata del movimento per i diritti degli animali. Non gli avrebbero mai permesso di usare ospiti del canile municipale. — E gli altri progetti di Biologia? Potrebbe farsi prestare alcuni loro animali.
— Il dottor Kelly sta lavorando sui nematodi e il dottor Riez sui platelminti.
E la dottoressa Turnbull sul modo per vincere il Niebnitz, pensai.
— Inoltre — proseguì Bennett — anche se avessi gli animali, non potrei nutrirli. Non ho consegnato in tempo il modulo di finanziamento, ricorda? Ma non importa — soggiunse, vedendo la mia espressione sconsolata. — Così avrò la possibilità di tornare alla teoria del caos.
Per la quale non c’era finanziamento, pensai, anche consegnando in tempo il modulo.
— Bene — disse Bennett, rialzandosi. — Sarà meglio che cominci a mettere giù il curriculum vitae.
Mi guardò in faccia, serio. — Grazie ancora per l’aiuto. Sinceramente. — Si avviò per il corridoio.
— Aspetti a darsi per vinto — dissi. — Mi verrà in mente qualcosa. — Bella frase, detta da chi non riusciva a capire nemmeno che cosa aveva provocato la moda degli angeli, altro che il taglio alla maschietta.
Bennett scosse la testa. — Qui ci troviamo a combattere contro Flip. Un’impresa più grande di noi.
CATENA DI SANT’ANTONIO (PRIMAVERA 1935)
Moda per fare soldi, che comportava l’invio di dieci centesimi al primo nome di un elenco, l’aggiunta del proprio nome in fondo allo stesso elenco e l’invio di cinque copie ad amici (auspicabilmente) tanto fessi quanto lo eravate stati voi. Causata dall’avidità e da una mancanza di comprensione della statistica, la moda fiorì a Denver e inondò con centomila lettere al giorno l’ufficio postale. Durò tre settimane a Denver, poi si trasferì a Springfield, dove per due deliranti settimane circolarono catene da un dollaro e da cinque dollari, prima dell’inevitabile crollo. Si trasformò nel Cerchio d’Oro (1978), con trasmissione brevi manu delle lettere, e in vari altri schemi a piramide.
Guardai Bennett allontanarsi e tornai nel mio laboratorio. Flip era seduta al mio computer. — Come si scrive adorabile? — mi domandò.
Solo la forza di volontà mi trattenne dall’afferrarla e scuoterla fino a farle cadere la i dalla fronte. — Che ne hai fatto del modulo del dottor O’Reilly?
Flip scosse la testa. — L’avevo detto a Desiderata che se la prende con me perché le ho rubato l’amichetto. Non è giusto. Ha già quel tale delle mucche.
— Pecore — la corressi automaticamente… e rimasi a bocca aperta. — Pecore!
— Dire a un collegamento comunicazioni interdipartimentali a chi può o non può scrivere lettere è molestia — proseguì Flip, ma non l’ascoltavo più. Composi il numero telefonico di Billy Ray.
— Sono contento di sentire la tua voce, bambina — disse Billy Ray. — Ho pensato molto a te, ultimamente.
— Puoi prestarmi alcune pecore? — Non ascoltavo neanche lui.
— Certo. Per cosa?
— Una ricerca sull’apprendimento.
— Quante te ne servono?
— Quante devono essere per comportarsi come gregge?
— Tre. Quando le vuoi?
Era davvero un bravo ragazzo. — Fra un paio di settimane. Non so con precisione. Prima devo controllare alcune cose. Per esempio, quante ne possiamo tenere nel paddock. — E devo riuscire a convincere Bennett, mi dissi. E Grancapo.
— Un cerchietto intorno a un nome non rende uno proprietà di un’altra — disse Flip.
Corsi giù a Biologia. Bennett non era occupato a battere il curriculum vitae. Era fuori nell’habitat, seduto su una pietra, e pareva depresso.
— Ben, ho da farle una proposta.
Sorrise debolmente. — Grazie, ma…
— Mi ascolti e non dica no finché non avrà sentito tutta la storia. Le propongo di unire i nostri progetti. No, no, mi lasci finire. Ho chiesto il finanziamento per avere un computer con più memoria, ma potrei adoperare il suo computer. Tanto al mio c’è sempre Flip. E poi potremmo usare il mio finanziamento per comprare cibo e provviste.
— Questo non risolve il problema dei macachi. A meno che non abbia chiesto un computer davvero costoso.
— Un mio amico ha un allevamento di pecore nel Wyoming.
— Sì, lo so.
— È disposto a prestarci quante pecore ci servono, niente costi, solo spese di mantenimento. — Pareva deciso a rifiutare, così mi affrettai a spiegare. — Le pecore non hanno l’organizzazione sociale dei macachi, lo so, ma hanno un forte istinto imitativo. Se una pecora fa una cosa, tutte le altre fanno la stessa cosa. Inoltre sopportano il freddo e quindi possono stare all’aperto.
Da dietro le spesse lenti, Ben mi guardava con aria molto seria.
— Non è il progetto che si proponeva, lo so, ma sarebbe già qualcosa. Le eviterebbe di lasciare la HiTek, e quando fra qualche mese Grancapo inventerà un nuovo acronimo e una nuova procedura per la richiesta di finanziamenti, lei potrà di nuovo dedicarsi ai macachi.
— Di pecore non so niente.
— Possiamo documentarci, mentre aspettiamo che le pratiche facciano il loro corso.
— E lei, Sandy, cosa ne otterrà? Le pecore non si scelgono da sole il sistema di tosatura.
Non potevo certo dirgli che secondo me la sua immunità alle mode faceva parte della chiave per scoprire da dove le mode derivassero. — Intanto un computer dove far girare i nuovi diagrammi che ho pensato — dissi. — E una diversa prospettiva. Col mio progetto sul taglio alla maschietta non vado da nessuna parte. Richard Feynman ha detto che se sei impantanato in un problema scientifico, dovresti lavorare ad altro per un poco. Così poi riesci a vedere il problema da un’angolatura differente. Lui si dedicò ai tamburi bongo. E molti scienziati hanno ottenuto le più importanti conquiste scientifiche lavorando fuori del proprio campo. Alfred Wegener, che scoprì la deriva dei continenti, era un meteorologo, non un geologo. E Joseph Black, che scoprì l’anidride carbonica, non era un chimico, ma un medico. Einstein era un funzionario dell’ufficio brevetti. Il lavoro fuori del proprio campo fa intuire agli scienziati collegamenti che di norma non avrebbero mai visto.