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— Ah, io… noi… — balbettai. — Dobbiamo fare delle ricerche di base sul comportamento delle pecore. E ci sono le disposizioni sull’uso di animali viventi, che bisogna…

Fece un gesto affettato. — Questo sarà problema nostro. Voglio che lei e il dottor O’Reilly vi concentriate su quel pensiero divergente e sulla sensibilità scientifica. Mi aspetto grandi cose. — Mi strinse la mano con entusiasmo. — La HiTek farà tutto il possibile per eliminare la burocrazia e mettere immediatamente on line questo progetto.

E così fu.

Il tempo per battere autorizzazioni, accantonare moduli e inoltrare la domanda di permesso per l’uso di animali viventi fu quasi inferiore a quello che impiegai per scendere a Biologia e riferire a Bennett che avevano approvato il progetto.

— Cosa significa “immediatamente on line”? — chiese lui, con aria preoccupata. — Non abbiamo fatto nessuna ricerca di base sulle pecore, come si comportano, come interagiscono, cosa sono capaci di apprendere, cosa mangiano…

— Avremo tempo a volontà — dissi. — Non dimentichi che c’è di mezzo Grancapo.

Sbagliavo di nuovo. Venerdì Grancapo mi richiamò sul tappeto bianco e mi disse che tutti i permessi erano stati ottenuti e che l’approvazione per l’uso di animali viventi era stata concessa. — Potete avere qui le pecore per lunedì?

— Vedrò se il proprietario può combinare — dissi, augurandomi che Billy Ray non potesse.

Poteva… e combinò. Ma non le portò lui stesso: era impegnato a Lander, a un meeting sulla conduzione virtuale dei ranch. Mandò al suo posto Miguel, che aveva anellino alla narice, cappello all’australiana, auricolari e nessuna intenzione di scaricare le pecore.

— Dove le vuole? — chiese, in un tono che mi indusse a scrutare sotto la tesa del cappello all’australiana per vedere se anche lui aveva una i sulla fronte.

Gli mostrammo il cancello del paddock. Miguel sospirò pesantemente, vi accostò in retromarcia il camion e poi rimase appoggiato alla cabina, con l’aria di chi si sente bistrattato.

— Non le scarica? — disse alla fine Ben.

— Billy Ray mi ha detto di consegnarle. Non ha parlato di scarico.

— Dovrebbe conoscere la nostra addetta alla distribuzione della posta — dissi io. — Siete fatti l’uno per l’altra.

Miguel piegò in avanti, con cautela, il cappello all’australiana. — Dove sta?

Bennett era andato sul retro del camion ad alzare la sbarra che teneva chiuso il portello. — Non verranno giù di corsa tutte insieme e ci travolgeranno, vero?

No, le trenta pecore erano sul bordo del pianale, belavano e parevano atterrite.

— Su, su — le blandì Ben. Si rivolse a me. — Pensa che per loro sia un salto troppo alto?

— Saltarono da un dirupo, in Via dalla pazza folla — dissi. — Come potrebbe essere troppo alto?

Comunque Ben andò a prendere una tavola di compensato per fare una rampa di fortuna e io andai a vedere se il dottor Riez, che aveva lavorato sugli equini prima di passare ai platelminti, aveva ancora una cavezza da prestarci.

A Riez occorse un’eternità per trovare una cavezza, e quando tornai al laboratorio ero convinta che ormai non sarebbe più stata necessaria; ma le pecore erano ancora ammassate sul pianale.

Ben aveva l’aria frustrata e Miguel, davanti alla cabina, si dondolava al ritmo della musica proveniente dagli auricolari.

— Non vogliono scendere — disse Ben. — Ho provato a chiamarle, a blandirle, a fischiare.

Gli diedi la cavezza.

— Forse, se riusciamo a farne scendere una dalla rampa, tutte le altre la seguiranno — disse lui.

Prese la cavezza e risalì la rampa. — Stia da parte, nel caso si mettano a correre all’impazzata.

Allungò la mano per far scivolare la cavezza sulla testa della pecora più vicina, e tutte si misero a correre all’impazzata, certo. Verso il fondo del camion.

— Forse, se ne prende una e la porta giù di peso… — suggerii, ricordando la copertina di uno dei libri sugli angeli, raffigurante un angelo scalzo che teneva fra le braccia una pecorella smarrita. — Una piccola.

Ben annuì. Mi diede la cavezza e salì la rampa, lentamente, per non spaventare le pecore. — Shh, shh — disse piano a una pecorella. — Non ti farò niente. Shh, shh.

La pecora non si mosse. Ben piegò il ginocchio, le passò le braccia sotto la pancia e la alzò; poi si diresse alla rampa.

L’angelo, era chiaro, aveva cloroformizzato la pecorella prima di prenderla in braccio. Quella di Ben scalciò con i quattro zoccoli in quattro direzioni diverse, agitandosi come impazzita, e col muso diede a Ben un forte colpo sul mento. Ben barcollò, la pecora si contorse e gli diede un calcio allo stomaco. Ben la lasciò cadere con un tonfo e quella tornò in mezzo alle altre, belando istericamente.

Subito tutte la imitarono.

— Sta bene? — domandai a Ben.

— No — rispose, palpandosi la mascella. — Dov’è finito “l’agnellino così mite e mansueto”?

— Evidentemente Blake non aveva mai incontrato una pecora — commentai. Aiutai Ben a scendere la rampa e lo accompagnai all’abbeveratoio. — E ora?

Ben si appoggiò all’abbeveratoio, respirando pesantemente. — Prima o poi avranno sete — disse, tastandosi il mento con cautela. — Propongo di aspettare.

Miguel si avvicinò a noi, a tempo di musica. — Non ho tutto il giorno da perdere, sapete! — gridò per superare il frastuono degli auricolari, poi tornò davanti alla cabina.

— Vado a chiamare Billy Ray — dissi.

Il suo cellulare era fuori portata.

— Forse se ci accostiamo di soppiatto con la cavezza… — propose Ben quando tornai.

Provammo. Provammo pure ad aggirare le pecore e a spingerle da dietro, provammo a minacciare Miguel e facemmo varie lunghe pause, appoggiati all’abbeveratoio per riprendere fiato.

— Be’, di sicuro è in atto una diffusione di informazioni — disse Ben, massaggiandosi il braccio. — Hanno deciso tutte di non scendere dal camion.

Spuntò Alicia. — Ho un profilo del candidato ottimale per il Niebnitz Grant — disse a Ben, fingendo di non vedermi. — E ho trovato un altro Niebnitz. Un industriale che ha fatto fortuna con raffinerie di minerali e ha fondato varie istituzioni benefiche. Sto esaminando i criteri di selezione dei loro comitati. — Poi soggiunse, sempre rivolta a Ben: — Venga a vedere il profilo.

— Vada pure — dissi a Ben. — Tanto qui non si perderà niente. Io provo ancora a chiamare Billy Ray.

Riuscii a mettermi in contatto. Billy Ray disse: — Ecco cosa devi fare… — e fu di nuovo fuori portata.

Tornai fuori nel paddock. Le pecore erano scese dal camion e brucavano l’erba secca.

— Cos’ha fatto? — disse Ben, giungendomi alle spalle.

— Io, niente — risposi. — Miguel si sarà stancato di aspettare.

Ma lui era ancora davanti alla cabina del camion a godersi la musica dei Groupthink o di chissà quale altra band.

Guardai le pecore. Brucavano in santa pace, girando allegramente per il paddock come se fossero sempre state lì. Anche quando Miguel, sempre con gli auricolari, mise in moto il camion e se ne andò, le pecore non si spaventarono. Una di esse, vicino allo steccato, alzò il muso verso di me e mi diede un’occhiata pensierosa e intelligente. Funzionerà, mi dissi.

La pecora mi fissò ancora un momento, abbassò la testa per brucare e rimase incastrata nello steccato.

QIAO PAI (1977 – 95)

Gioco cinese ispirato al bridge americano (a sua volta di moda negli anni Trenta). Reso popolare da Deng Xiaoping, che lo imparò in Francia, il qiao pai attrasse rapidamente più di un milione di entusiasti, che lo giocavano soprattutto sul lavoro. A differenza del bridge americano, la licitazione avviene in silenzio, i giocatori non dispongono in ordine le smazzate e la partita è estremamente cerimoniosa. La moda del qiao pai soppiantò quella del ping-pong.