Gettò nell’erba il mozzicone della sigaretta e lo pestò per spegnerlo. — Se insegnate alla guida a premere un pulsante, lo farà anche il resto del gregge.
— Dove possiamo procurarcene una? — disse Ben, ansioso.
— Dove avete preso quelle pecore? Probabilmente il gregge ne aveva già una, ma non è stata messa nel mucchio. Quelle pecore non sono tutto il gregge, giusto?
— No — confermai. — Billy Ray ha duecento capi.
Shirl annuì. — Un gregge così numeroso ha quasi sempre una guida.
Guardai Ben. — Telefono a Billy Ray.
— Buona idea — disse lui, ma pareva avere perduto l’entusiasmo.
— Cosa c’è? Non pensa che una guida sia una buona idea? Teme che interferisca con l’esperimento?
— Quale esperimento? No, no, è una buona idea. La struttura d’attenzione e i suoi effetti sul rapporto di apprendimento sono una delle variabili che volevo studiare. Telefoni pure a Billy Ray.
— D’accordo. — Entrai nel laboratorio. Mentre aprivo la porta, quella del corridoio si chiuse con un tonfo. Attraversai l’habitat e guardai nel corridoio.
Flip, in tuta e oxford da sella blu Cerenkhov e bianco, scomparve su per le scale. Forse ci aveva portato la posta. Chissà perché non era venuta nel paddock a chiederci se la trovavamo seducente.
Tornai nel laboratorio. Flip aveva lasciato la posta sulla scrivania di Ben. Due pacchetti per il dottor Ravenwood di Fisica e una lettera da Gina ai Bell Laboratories.
MATRIMONI DEI FIGLI DEI FIORI (1968 – 75)
Moda di ribellione, resa popolare da gente che non voleva ribellarsi del tutto alla tradizione e non sposarsi affatto. Allestita in un prato o sulla cima di una montagna, la cerimonia comprendeva Feelings suonata sul sitar e solenni promesse scritte dai partecipanti con l’aiuto di Kahlil Gibran. In genere la sposa portava fiori nei capelli ed era scalza. Lo sposo portava un simbolo della pace e i basettoni. Soppiantata negli anni Settanta dalla convivenza senza alcun impegno.
Billy Ray portò di persona la guida. — L’ho messa nel paddock — disse, entrando nel laboratorio di statistica. — La ragazza di sotto ha detto che bastava metterla con il resto del gregge.
Probabilmente si riferiva ad Alicia, che aveva trascorso tutto il pomeriggio appiccicata a Ben a discutere il profilo Niebnitz, motivo per cui ero risalita al laboratorio di statistica per inserire nel computer i dati relativi agli anni Venti. Chissà come mai Ben non era nel suo laboratorio.
— Graziosa? — domandai. — Tipo dirigente d’azienda? Con tanto rosa addosso?
— La guida?
— Quella con cui hai parlato. Bruna, con un fermacapelli?
— No. Tatuaggio sulla fronte.
— Marchio — lo corressi distrattamente. — Sarà meglio scendere a controllare la guida.
— Starà benissimo — disse Billy Ray. — L’ho portata io stesso, così posso offrirti quel pranzo che abbiamo saltato la settimana scorsa.
— Oh, bene. — Avrei avuto l’occasione di farmi un’idea delle cose con bassa soglia di abilità da insegnare alle pecore. — Prendo il soprabito.
— Grande! — s’illuminò Billy Ray. — C’è un nuovo ristorante favoloso e dobbiamo proprio andarci.
— Prateria?
— No, ristorante siberiano. Pare che la cucina siberiana sia l’ultimo grido.
Mi augurai che fosse anche calda, visto il freddo siberiano e il vento gelido nel parcheggio. Fui felice che Shirl non dovesse stare lì fuori per fumare una sigaretta.
Billy Ray mi guidò al suo camion e mi aiutò a salire. Mentre usciva dal parcheggio, lo presi per il braccio e lo fermai. — Aspetta — dissi, ricordando la fine che Flip aveva fatto fare ai miei ritagli. — Prima di andare via è meglio controllare che la guida stia bene. Cos’ha detto esattamente? La ragazza nel laboratorio. Non era nel paddock, vero?
— No. Cercavo qualcuno a cui affidare la guida, e quella ragazza è entrata con delle lettere e ha detto che erano nel laboratorio della dottoressa Turnbull e di lasciare la guida nel paddock, e così ho fatto. Sta bene. È subito scesa dal camion e ha cominciato a brucare.
Significava che era proprio una guida. Le cose cominciavano ad andare meglio.
— Quando te ne sei andato, non era ancora lì, vero? La ragazza, non la guida.
— No. Mi ha chiesto se pensavo che avesse un buon senso dell’umorismo, le ho risposto che non lo sapevo, non l’avevo sentita dire niente di spiritoso, allora ha fatto un sospiro, ha roteato gli occhi e se n’è andata.
— Bene — dissi. Erano già le cinque e mezzo. Flip non si sarebbe fermata nemmeno un minuto dopo le cinque, anzi in genere usciva un po’ prima, per cui le probabilità che fosse tornata nel laboratorio a combinare qualche guaio erano in pratica inesistenti. E poi c’era Ben; prima di andare a casa, sarebbe tornato dal laboratorio di Alicia per dare un’occhiata di controllo. A meno che non fosse troppo innamorato di Alicia e del Niebnitz Grant per ricordarsi del gregge.
— Quel posto è fantastico — disse Billy Ray. — Ci toccherà un’ora di coda per entrare.
— Pare proprio fantastico. Andiamo.
In realtà la coda durò un’ora e venti minuti, e nell’ultima mezz’ora il vento aumentò e iniziò a nevicare. Billy Ray mi diede il suo giaccone foderato di pelliccia di pecora da mettere sulle spalle. Indossava camicia alla coreana e calzoni da cavallerizzo. Si era fatto crescere i capelli e portava guanti da automobilista di pelle gialla. Il look alla Brad Pitt. Visto che continuavo a rabbrividire, mi diede anche i guanti.
— Questo posto ti piacerà — disse. — Pare che il cibo siberiano sia fantastico. Sono felice che ci siamo venuti insieme. C’è una cosa di cui volevo parlarti.
— Anch’io volevo parlarti — dissi, con le labbra irrigidite dal freddo. — Che tipo di trucchi puoi insegnare alle pecore?
— Trucchi? — ripeté con aria assente. — In che senso?
— Be’, imparare ad associare un colore a una leccornia o a percorrere un labirinto. Preferibilmente qualcosa con una bassa soglia di abilità e un certo numero di livelli di destrezza.
— Insegnare alle pecore? — Rifletté a lungo, mentre il vento ululava intorno a noi. — Sono bravissime a uscire dai recinti dove dovrebbero stare.
Ciò che avevo in mente era un po’ diverso.
— Possiamo fare così — continuò Billy Ray. — Vado su Internet e cerco se qualcuno ha insegnato un trucco a una pecora. — Si tolse il cappello, nonostante la neve, e lo rigirò fra le dita. — Ti ho detto che c’era una cosa di cui volevo parlarti. Ultimamente ho avuto un mucchio di tempo per riflettere, durante il viaggio a Durango e tutto il resto, e ho pensato parecchio alla vita nel ranch. È una vita solitaria, là fuori nei pascoli per tutto il tempo, senza mai vedere nessuno, senza mai andare in nessun posto.
A parte Lodge Grass e Lander e Durango, pensai.
— Ultimamente mi sono chiesto se ne vale la pena e per che cosa lo faccio. E continuavo a pensare a te.
— Barbara Rose — chiamò la cameriera siberiana.
— Siamo noi — dissi. Restituii a Billy Ray il giaccone e i guanti, lui si rimise il cappello e seguimmo al nostro tavolo la cameriera. Al centro c’era un samovar, e ne approfittai per scaldarmi le mani.
— T’ho detto l’altro giorno che mi sentivo insoddisfatto senza niente da fare, — continuò Billy Ray, dopo che arrivarono i menu.
— Prurito — dissi.
— È una buona parola. Sentivo come un prurito, infatti, e mentre tornavo in macchina da Lodgepole, ho scoperto il motivo di quel prurito. — Mi prese la mano.
— E cioè? — domandai.
— Te.
Ritrassi involontariamente la mano e lui disse: — Ah, lo so che per te è un po’ una sorpresa. È stata una sorpresa anche per me. Guidavo fra le Rockies sentendomi depresso, come se niente mi importasse più, poi ho pensato: chiamo Sandy; e dopo la telefonata ho pensato: forse dovremmo sposarci.
— Sposarci? — squittii.
— Voglio dirti prima di tutto che, quale che sia la tua risposta, puoi tenere le pecore per tutto il tempo che vuoi. Senza condizioni. E so che hai una carriera davanti a te e che non vuoi rinunciarci. Ci ho pensato. Potremmo sposarci appena avrai concluso quella faccenda del taglio alla maschietta, e poi potremmo stabilirci nel ranch, con fax e modem ed e-mail. Non ti accorgerai neppure di non essere più alla HiTek.
A parte il fatto, pensai con poca coerenza, che non ci saranno Flip e Alicia. E che non dovrò andare ai meeting e fare esercizi di sensitività. Ma… sposata!
— Ora, non devi darmi la risposta proprio subito — proseguì Billy Ray. — Prenditi tutto il tempo che vuoi. Io ho avuto un paio di centinaia di miglia per rifletterci. Puoi farmelo sapere dopo il dessert. Fino a quel momento ti lascio in pace.
Prese un menu, tutto rosso e illustrato con un orso russo, e cominciò a leggere; io rimasi a fissare lui, cercando di capire. Matrimonio. Billy Ray voleva che lo sposassi.
Be’, perché no? Era un ragazzo simpatico, disposto a farsi in macchina centinaia di miglia per vedermi; io, come avevo detto ad Alicia, avevo trentun anni, e dove ne avrei trovato un altro così? Negli annunci personali, con gli atletici e premurosi NF che non erano neanche disposti ad attraversare la strada per un appuntamento?
Billy Ray si era sciroppato tutta quella strada, venendo da chissà dove, nella remota speranza di portarmi a cena. Mi aveva prestato un gregge e anche una guida. E i suoi guanti. Dove ne avrei trovato un altro così bravo? Alla HiTek nessuno avrebbe chiesto la mia mano, di sicuro.
— Cosa prendi? — mi chiese Billy Ray. — Io proverò gli gnocchi di patate.
Presi borscht insaporito al basilico (che non ricordavo fosse previsto nella cucina siberiana) e gnocchi di patate. Cercai di riflettere. Che cosa volevo veramente?
Scoprire da dove derivava il taglio alla maschietta, pensai, e capii che le probabilità di riuscire nell’impresa erano quasi uguali a quelle di vincere il Niebnitz. Nonostante la teoria di Feynman che il lavoro in un campo totalmente diverso stimola le scoperte scientifiche, non ero più vicina di prima a individuare l’origine delle mode. Forse mi occorreva andare via dalla HiTek, all’aria fresca, in un isolato ranch del Wyoming.
— Via dalla pazza folla — mormorai.
— Prego? — disse Billy Ray.
— Niente, niente — dissi, e lui tornò alla sua cena.
Lo guardai mangiare gli gnocchi. Assomigliava davvero a Brad Pitt. Era terribilmente alla moda… ma forse sarebbe stato un vantaggio per il mio progetto. E poi non ci saremmo dovuti sposare subito. Aveva detto che potevo aspettare fino alla conclusione del mio progetto. E, a differenza del dentista di Flip, non avrebbe badato al fatto che, mentre ero impegnata nel lavoro, sarei stata geograficamente incompatibile.
Flip e il suo dentista, pensai. Mi domandai a disagio se non fosse solo un’altra moda. Quell’articolo diceva che il matrimonio era “in” e che tutte le bambine andavano pazze per Barbie Sposa Romantica. La madre di Lindsay pensava di risposarsi malgrado l’esperienza con quello stupido di Matt, Sarah cercava di convincere Ted a farle la proposta di matrimonio e Bennett lasciava che Alicia scegliesse per lui le cravatte. E se avessero fatto tutti quanti parte di una moda di coinvolgimento? Ero ingiusta verso Billy Ray. Amava ciò che era alla moda, poteva perfino fare la coda in una tempesta di neve per un’ora e mezzo, ma non avrebbe mai sposato una donna solo perché il matrimonio era “in”. E se fosse stata una mania passeggera? Le mode non sono poi tutte cattive. Basta pensare al riciclaggio dei rifiuti e al movimento per i diritti civili. E al valzer. E poi cosa c’è di male a seguire la moda, una volta tanto?
— È il momento del dessert — disse Billy Ray, guardandomi da sotto la tesa del cappello.
Chiamò la cameriera, che ci elencò le solite cose: crème brûlée, tiramisù, budino di pane.
— Niente cheesecake al cioccolato? — chiesi.
Lei roteò gli occhi.
— Cosa prendi? — mi domandò Billy Ray.
— Dammi un minuto — risposi. — Fai tu, intanto.
Billy Ray sorrise alla cameriera. — Prendo il budino di pane.
— Budino di pane? — ripetei, stupita.
La cameriera venne in aiuto: — È il nostro dessert più popolare.
— Pensavo che non ti piacesse — dissi a Billy Ray.
Mi guardò con aria assente. — Quand’è che l’ho detto?
— In quel posto dove mi hai portato, quello con cucina della prateria. Il Kansas Rose. Prendesti un tiramisù.
— Più nessuno mangia i tiramisù — disse Billy Ray. — Adoro il budino di pane.