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Discende negli strati inferiori, dove polle di olio si annidano tristemente in mezzo a strati di depositi silenziosi, e trova nuclei dorati che sbocciano e fioriscono, e si tuffa in un rivoletto chiaro di zaffiro. Poi si avventura in quella parte del pianeta che è stata patria per l’uomo in una delle generazioni che sono seguite alla sua, e vaga intimorito e rispettoso lungo strade deserte in gallerie pulite e spaziose, mentre macchine servizievoli avanzano e gli offrono volenterosamente di assolvere a ogni sua esigenza. — Siamo gli amici dell’uomo — gli dicono — e accettiamo i nostri antichi obblighi. — Il pianeta rabbrividisce e il flusso del tempo scorre, e per un solo inquietante momento vede questa città ancora abitata; alti mortali dall’aspetto frettoloso affollano i suoi corridoi; volti pallidi, slavati, non molto diversi dagli uomini e dalle donne dei suoi tempi, tranne per il fatto che i loro corpi tendono a essere attenuati ed evanescenti. Non gli dispiace scendere oltre il loro livello nelle rocce autentiche. Ecco il magma ribollente: ecco i fuochi più interni. Non ancora freddo, vecchio pianeta? No, non completamente. Senza luna sono rimasto e i miei mari si sono spostati; eppure nel mio nucleo io risplendo. I suoi amici sono molto vicini a lui. — Io sono Bril — sussurra Serifice. — Io sono Angelon — dice Ti. Sono tutti maschi e hanno estratto i loro membri dalle tasche. Sono venuti a fecondare il nucleo della terra? Nuvole di vapori bollenti azzurri eruttano e gli nascondono i suoi compagni, e lui vaga verso l’alto, nuotando attraverso il porfido e l’alabastro e il sardonice e il diabase e la malachite e l’ossidiana, penetrando attraverso i tessuti del mondo come un ago senziente, fino a quando la superficie è ormai vicina. Emerge. È scesa la notte, e i suoi amici giacciono esausti nell’anfiteatro, e rivoli di sudore denso e dorato incorniciano i corpi stremati, tre maschi e tre femmine. Nella sua esaltazione Clay scopre di essere capace di camminare nell’aria. Si alza fino a circa dieci metri, e, sorridendo, si sposta e volteggia felice. Com’è facile! Deve limitarsi solo a mantenere la distanza tra se stesso e il terreno. Sì! Sì! Sì! Percorre tutta la lunghezza dell’anfiteatro. Si lascia scendere fluttuando fino a quando i suoi piedi toccano quasi il suolo, dopo di che rimbalza ancora verso l’alto. Un passo dopo l’altro, e così via. Vale indubbiamente la pena di essere catapultati di chissà quanti milioni di anni nel tempo, per riuscire a camminare in questo modo nell’aria, non in una qualche forma intangibile e incorporea come prima, ma nel proprio corpo al massimo delle sue potenzialità.

Ridiscende. Vede la gabbia metallica luminosa dello sferoide, che contiene tuttora lo sferoide senza vita, raggrinzito. Ci si avvicina, e appoggia le mani sulle sbarre luminose.

— Nessuno dovrebbe essere morto nella notte dell’Apertura della Terra — dice. — Ritrova di nuovo la tua forza! Vieni! Vieni! — Appoggia le mani sul corpo rugoso dello sferoide. — Riesci a sentirmi? Io ti richiamo alla vita, figlio, figlia, nipote, pronipote. — Dalle profondità della Terra aperta richiama nuova vita e maestà nello sferoide, che riacquista pienezza, riprende la sua levigatezza, torna simmetrico e sodo ancora una volta, purpureo, rosso, e quindi rosa. Vive di nuovo. Ne capta le emanazioni non-verbali di riconoscenza. — Noi umani siamo molto legati — dice allo sferoide. — Io sono Clay. La mia era è un po’ precedente alla tua, prima che la razza cambiasse forma. Tu hai visto, però, come le epoche successive abbiano portato a un ritorno alla disposizione originaria. Quegli addormentati lì… i nostri ospiti…

Hanmer, Bril, Serifice, Angelon, Ti e Ninameen diventano alternativamente nitidi e confusi, oscillano dalla condizione maschile a quella femminile e da quella femminile a quella maschile, diventano nitidi, si affievoliscono. Sono ancora immersi nella cerimonia dell’Apertura della Terra. Si chiede se avrebbe dovuto rimanere con loro, ma decide che se l’avesse fatto, non avrebbe provato il piacere della camminata nell’aria né avrebbe fatto risuscitare lo sferoide. È stato un giorno di meraviglie. Non aveva mai conosciuto una felicità analoga, in precedenza.

Anche quando gli obbrobriosi uomini-capra compaiono in lontananza, il delirio di felicità di Clay rimane immutato. Si inchina loro. — Io sono Clay — spiega. — Tra tutti quelli colti dal flusso del tempo, sembra che io sia il più antico. Lo sferoide appartiene a un’epoca successiva alla mia. Questi, naturalmente, sono gli esemplari umani dominanti attualmente. E voi tre, suppongo, provenite da qualche periodo intermedio, quando…

Mormorando oscenamente, gli uomini-capra avanzano verso di lui.

Si parlano l’un l’altro con un linguaggio gutturale e monotono, e avanzano lentamente come granchi, disponendosi ad angolazioni diverse. Pervadono l’aria con l’odore della putrefazione. Clay combatte il ribrezzo, ripetendosi di evitare i giudizi esteriori; anche quésti sono figli dell’uomo, e in una qualche era ormai scomparsa devono aver rappresentato l’apice dell’evoluzione umana. Sarà comprensivo; sarà caritatevole, sarà amoroso. Adesso gli sono abbastanza vicini, i loro volti sono rivolti a lui, esalano vapori folli, e lo insozzano coi loro nauseanti gorgoglii. Lui annaspa e tossisce. Tengono le corte braccia massicce strette contro i petti bianchi e glabri; le dita, lunghe e nodose, finiscono in cuscinetti di carne viva, e non ci sono unghie. Oscillano ritmicamente sulle loro cosce enormi. Clay vede lampeggiare nei loro occhi un’indiscutibile malevolenza. I semi che gettano ai loro piedi stanno contaminando l’anfiteatro con la loro rapida fioritura. — Possiamo discuterne? — chiede. — Questa è la notte dell’Apertura della Terra. Siamo comprensivi. Siamo ricettivi. Come posso aiutarvi? — Le creature gli si avvicinano sempre più. Da loro emanano onde di genuina minaccia. Preoccupato, tenta di sollevarsi dal suolo, ma le loro braccia si allungano per afferrarlo e tenerlo a terra. Cominciano a scrollarlo avanti e indietro, passandoselo come se fosse un pallone, e da loro proviene un suono sottile di risata gracchiante. Un gioco! Trattato come un giocattolo! — Non avete capito — dice Clay. — Io sono un essere umano, una forma primitiva, ma lo stesso… meritevole… di… rispetto… — Il gioco diventa violento. Sono molto più alti di lui; la sua testa raggiunge a malapena il loro petto. Saltano fieramente sui piedi, facendo tremare il terreno. I loro denti adesso brillano.

Hanmer, Ninameen, Ti, Serifice, Bril e Angelon si siedono e guardano la scena. Non fanno nulla per interferire nella situazione.

Solo lo sferoide mostra risentimento per il modo in cui gli uomini-capra trattano Clay. Parla loro rabbiosamente. Ma gli uomini-capra non sanno comprendere il linguaggio dello sferoide rosa più di quanto faccia Clay. Continuano a sballottare Clay. La sua pelle duole dove loro lo toccano. Mentre lo spingono, mormorano continuamente rivolti a lui. Che cosa stanno dicendo? Immagina che gli stiano dicendo: Tu diventerai come noi. Tu diventerai come noi. Tu diventerai come noi. E quell’urlo sgraziato è la loro risata? Quale corso sinistro di eventi ha potuto trarre questi orrori dal bagaglio genetico umano? Sono gli scheletri nell’armadio di domani. Sono lo scherzo che il futuro giocherà a tutti i sognatori utopistici. Clay cade a terra sotto i loro colpi. Il viluppo di piantine in rapida crescita lo avvolge e lui annaspa per respirare. Lo prendono a calci e lo colpiscono. Lui vomita. Eppure trae forza dal fatto che queste creature sono solo una fase transitoria della storia. L’umanità passerà attraverso quella fase, purgandosi, e proseguirà fino ad arrivare alla condizione divina di Hanmer. È confortante, anche se il dio Hanmer al momento non offre un grande aiuto. Esasperato, Clay si insinua in un’apertura tra i piedi che lo colpiscono e si precipita lungo il pendio dell’anfiteatro verso Hanmer e i suoi amici. — Voi! Hanmer! — chiama. — Allontanateli da me! Non siete capaci di controllare i vostri antenati?