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È necessario pensarci un momento. — Ero Clay — lui risponde a Hanmer. Il suono del suo nome cade al suolo e rimbalza. Clay. Clay. Io ero Clay. Io ero Clay quando ero Clay. Hanmer sembra soddisfatto. — Vieni, allora, Clay — dice gentilmente. — Prenderò la tua fame. — Esitante Clay dà la mano a Hanmer. Viene tirato più vicino. I loro corpi si toccano. Clay si sente degli spilli negli occhi e un fluido nero che gli scorre impetuoso nelle vene. Diventa nettamente consapevole del viluppo di vasi sanguigni presenti nella sua pancia. Riesce a sentire i deboli rumori prodotti dalle sue ghiandole. Dopo un momento Hanmer lo libera e lui si ritrova completamente affrancato dalla fame; gli riesce incomprensibile aver considerato la possibilità di divorare un pesce solo pochi momenti prima. Hanmer ride: — Va meglio adesso?

— Meglio. Molto.

Con l’alluce Hanmer traccia velocemente una linea sul terreno. Il suolo si apre senza difficoltà, e Hanmer ne estrae un tubero grigio, massiccio e pesante. Lo porta alle labbra e lo succhia per qualche momento. Poi lo porge a Clay, che lo fissa indeciso. Si tratta di una prova?

— Mangia — dice Hanmer. — È permesso. — Anche se la fame è scomparsa, Clay succhia il tubero. Alcune gocce di un sugo appiccicaticcio gli entrano in bocca. Fiamme improvvise gli scuotono il cranio, facendolo sobbalzare fin nelle sue fibre più intime. Hanmer gli si avvicina, afferrandolo appena prima che cada per terra, e lo abbraccia nuovamente; Clay sente gli effetti del succo decrescere istantaneamente. — Perdonami — dice Hanmer. — Non avevo capito. Devi essere terribilmente antico.

— Cosa?

— Uno dei più antichi, suppongo. Preso nel flusso del tempo come tutti gli altri. Noi vi amiamo. Vi consideriamo i benvenuti. Ti sembriamo paurosi, o strani? Ti senti solo? Hai nostalgia? Ci insegnerai qualcosa? Ti offrirai a noi? Ci delizierai?

— Che mondo è questo?

— Il mondo. Il nostro mondo.

— Il mio mondo?

— Lo era. Può esserlo.

— Che periodo è questo?

— Un buon periodo.

— Sono morto?

Hanmer ridacchia. — La morte è morta.

— Come sono arrivato qui?

— Preso nel flusso del tempo come gli altri.

— Trascinato nel mio futuro? Quanto nel futuro?

— Ha importanza? — chiede Hanmer, apparentemente seccato. — Vieni, Clay, dissolviti con me, e cominciamo i nostri viaggi. — Prende ancora una volta la mano di Clay. Clay si ritrae istintivamente.

— Aspetta — mormora. Adesso la mattina è molto luminosa. Il cielo è di nuovo di un blu doloroso; il sole è un disco abbagliante. Rabbrividisce. Avvicina il volto a quello di Hanmer e dice: — Ci sono altri come me, qui?

— No.

— Sei umano?

— Naturalmente.

— Ma modificato dal tempo?

— Oh, no — dice Hanmer. — Tu sei modificato dal tempo. Io vivo qui. Tu sei venuto a visitarci.

— Mi riferisco all’evoluzione.

Hanmer sbuffa. — Possiamo dissolverci, adesso? Abbiamo così tante cose da vedere…

Clay indica un ciuffo delle piantine seminate la notte precedente. — Sono venute tre creature, e hanno seminato queste…

— Sì.

— Che cos’erano? Visitatori di un altro pianeta?

— Umani — sospira Hanmer.

— Anche loro? Forme diverse?

— Più antichi di noi, ma posteriori a te. Presi nel flusso del tempo, tutti.

— Come è possibile che ci siamo evoluti in loro? Neanche in un miliardo di anni l’umanità avrebbe potuto trasformarsi a tal punto. E poi il cambiamento è retrocesso? Tu sei molto più simile a me di loro. Qual è lo schema? Qual è la traccia? Hanmer, non riesco a capire!

— Aspetta di vedere gli altri — dice Hanmer, dopo di che comincia a dissolversi. Una nuvola grigio pallido emana dalla sua pelle e lo avvolge, e in quel bozzolo diventa nebbioso, dissolvendosi tranquillamente nel nulla. Scintille arancioni luminose pervadono la nuvola. Hanmer, ancora visibile, sembra estasiato. Clay riesce a vedere un tubo rigido e carnoso uscire dalla tasca nell’inguine di Hanmer: sì, dopo tutto è maschio, e in questo momento di piacere mostra il sesso. — Hai detto che mi avresti portato! — grida Clay. Hanmer annuisce e sorride. La struttura interna del suo corpo è adesso perfettamente visibile, un fascio di nervi e vene, illuminati da un qualche fuoco interiore, da una luminosità rossa, verde e gialla. La nuvola si espande e improvvisamente anche Clay si trova al suo interno. Si sente un dolce sibilo: anche i suoi tessuti e le sue fibre iniziano a ribollire. Hanmer è scomparso. Clay gira, si estende, si attenua; percepisce i propri organi interni, una squisita miscela di strutture e tonalità, questo verde e oleoso, quello rosso e appiccicoso, qui una massa spugnosa grigia, là una bobina blu scura, tutto così netto, così preciso, negli ultimi momenti che precedono la dissoluzione. Un senso di avventura e di eccitazione si impadronisce di lui. Sta ondeggiando verso l’alto e verso l’esterno, fluttuando sulla superficie del terreno, assumendo dimensioni infinite e circondando tutte le masse; adesso copre interi acri, interi paesi, interi regni. Hanmer è accanto a lui. Si espandono insieme. La luce solare lo colpisce sulla vasta superficie superiore del suo nuovo corpo, innescando danze molecolari e saltellando con gaiezza spontanea, sbattendo e scoppiettando nel rimbalzare tutt’intorno. Clay è pienamente consapevole degli elettroni caricati che risalgono la scala energetica. Pip! Pop! Peep! Risplende. Vibra. Si visualizza come un grosso tappeto grigio che svolazza nell’aria. Invece di un occhio composito ha un centinaio di occhi, e nel centro di ognuno la dura massa punteggiata del cervello riluce e mormora e dirige tutta la situazione.

Vede scene della notte precedente: la valle, il prato, le colline, il ruscello. Poi il campo visuale cambia man mano che salgono più in alto, e visualizza una campagna sparsa e frastagliata piena di fiumi e alture, di guglie erose che scaturiscono dalla terra, di golfi, di laghi, di promontori. Sotto di lui si muovono delle figure. Ed ecco i tre esseri caproidi, che ondeggiano e mormorano sotto un albero enorme e gommoso. Ecco sei creature della specie di Hanmer, che si stanno accoppiando allegramente in cima a una collinetta dorata. E poi vede le creature notturne che sonnecchiano sotto terra, e una creature selvaggia con mostruose tenaglie al posto dei denti. Qui c’è qualcosa di sepolto a una notevole profondità nel sottosuolo, che irradia pensieri solenni e appassionati. Poi arriva un plotone di creature alate, uccelli o pipistrelli o forse anche rettili, che volano in formazione serrata, oscurando il cielo, impegnati in una picchiata, che scrutano il corpo di Clay dalla testa ai piedi attraversandolo come un milione di proiettili per svanire nel cielo privo di nuvole. Ora avverte intelligenze saturnine che si annidano nella melma di polle oscure. Qui ci sono blocchi sparsi di pietra, forse antiche rovine. Clay non vede nessun edificio intero. Non vede strade. Il mondo non reca alcun segno della durata dell’uomo. È ovunque primavera; le cose irradiano vita. Hanmer, ondeggiando come una nuvola temporalesca, ride e grida: — Sì! Tu lo accetti!

Clay lo accetta.

Prova il proprio corpo. Lo rende fluorescente, e vede onde violette danzare sotto di lui. Crea ossa d’acciaio e una spina dorsale d’avorio. Intesse un nuovo sistema nervoso con nuclei di vuoto. Inventa un organo sensibile ai colori che si trovano oltre l’ultravioletto, e allegramente lascia fuori l’estremità inferiore dello spettro. Diventa un enorme organo sessuale e violenta la stratosfera, lasciando strie di seme luminoso dietro di sé. E Hanmer, sempre accanto a lui, richiama: — Sì — e — Sì — e — Sì — ogni volta. Clay copre adesso diversi continenti. Accelera il ritmo, cercando le proprie terminazioni, e dopo qualche sforzo le scopre e le collega a se stesso, cosicché è ormai un serpente nebbioso che circonda il mondo. — Vedi? — grida Hanmer. — È il tuo mondo, vero? Il pianeta familiare? — Ma Clay non ne è sicuro. I continenti si sono spostati. Vede quelle che crede siano le Americhe, ma hanno subito vari cambiamenti, infatti la punta del Sudamerica è scomparsa così come l’istmo di Panama, e a ovest di quello che dovrebbe essere il Cile c’è un’enorme estensione cancerosa, probabilmente un’Antartide spostata. Gli oceani coprono entrambi i poli. Le linee costiere sono completamente diverse. Non riesce a trovare l’Europa. Un tremendo mare interno copre gran parte di quella che sospetta essere l’Asia; un raggio solare lo fa risplendere, trasformandolo in un gigantesco occhio ammiccante. Piangendo, lascia cadere torrenti di lava lungo l’equatore. Uno schermo a cupola avvolge serenamente la zona dove dovrebbe trovarsi l’Africa. Una catena di isole radiose risplende su migliaia di miglia di quell’oceano alterato. Adesso comincia ad avere paura. Pensa ad Atene, al Cairo, a Tangeri, a Melbourne, a Poughskeepsie,, a Istanbul, a Stoccolma. Nel suo rimpianto rabbrividisce, e, rabbrividendo, si trasforma in una miriade di particelle ghiacciate, inseguite istantaneamente da piccoli insetti ronzanti, che escono da stagni e paludi; cominciano a punzecchiarlo, ma Hanmer li scaccia con un urlo, facendoli cadere intontiti al suolo, e poi Clay si sente ripreso e ristorato. — Cos’è successo? — chiede Hanmer, e Clay risponde: — Ho ricordato.