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— Non farlo — dice Hanmer. Ripartono nel loro volo. Girano e volano e irrompono nel regno dell’oscurità circondando il mondo, cosicché lo stesso pianeta non è più altro che una piccola impurità sferica nel soffice mantello fluttuante del suo corpo. Lo guarda girare. Così lento! Si sono allungati i giorni? Dopo tutto, è davvero il mio mondo? Hanmer lo nutre e i due si trasformano in fiumi di energia lunghi milioni di chilometri e si spostano ribollendo nello spazio. Si ritrova infiammato di tenerezza, amore, desiderio di fusione con il cosmo. — I nostri mondi vicini — dice Hanmer. — I nostri amici. Capisci? — Clay capisce. Adesso sa che non è stato trasportato su un pianeta di qualche altra stella. È chiaramente Venere, questa sfera nuvolosa quaggiù. E questa cosa rossastra è Marte, anche se è trasformato curiosamente dal grande mare verdastro che lambisce le pianure sabbiose. Non riesce a trovare Mercurio. Continua più volte a roteare in quell’orbita interna, alla ricerca del piccolo globo ruotante, ma non c’è. È forse caduto nel sole? Non ha il coraggio di chiederlo, per paura che Hanmer confermi i suoi timori. Clay non potrebbe sopportare l’idea di aver perso perfino un pianeta. — Vieni — dice Hanmer. — Fuori.

Gli asteroidi sono scomparsi. Una decisione saggia: a chi potevano servire tutti quei detriti? Ma Giove è ancora lì, meravigliosamente immutato, e immutata è la Grande Macchia Rossa. Clay esulta. Sono rimaste anche le strisce colorate, bande luminose di giallo, marrone e arancione vividi, separate da bande più scure. — Sì? — chiede Clay, e Hanmer risponde che è possibile farlo, così si tuffano verso il pianeta, fluttuando e vorticando nell’atmosfera di Giove. Cristalli nebbiosi li avvolgono da ogni parte. I loro corpi evanescenti si legano con molecole di ammoniaca e metano. Continuano a scendere, sempre più giù, verso guglie di ghiaccio che si innalzano su enormi e cupi mari oleosi, verso geyser turbolenti e laghi ribollenti. Clay si lascia appiattire contro un continente innevato e si riposa ansimando, godendo dell’impatto sensuale delle svariate tonnellate di pressione atmosferica sulla sua schiena. Poi diventa una sonda e scandaglia il grosso nucleo incandescente del pianeta, colpendolo allegramente, continuando a rimbalzare e vibrare e rimbalzare e vibrare, e ondate di suono si innalzano con una sinuosità lenta e pastosa. Dedica tutto se stesso all’estasi. Ma poi, subito dopo, avviene una perdita compensatrice: il luminoso Saturno è privo di anelli. — Un incidente — confessa Hanmer. — Un errore. È successo tanto tempo fa. — Clay non ne è certo consolato. Desidera frantumarsi di nuovo e giocare sulla superficie ghiacciata di Saturno in una nuvola di fiocchi di neve. Hanmer, comprensivo, rimane in orbita e continua a girare allegramente intorno al pianeta, attraversando tutte le tonalità dello spettro, lampeggiando ritmicamente e poi freneticamente, capovolgendosi a testa in giù, per poi assumere un’angolazione impossibile. — No — dice Clay. — Ti sono molto riconoscente, ma non funziona; non è la stessa cosa — dopo di che si dirigono verso Urano, verso Nettuno, verso il gelido Plutone. — Non è stato per colpa nostra — insiste Hanmer. — Ma non avremmo mai pensato che a qualcuno potesse importare tanto. — Plutone è una noia. Torreggiando, Clay osserva cinque cugini di Hanmer scivolare giocando su un’enorme distesa ghiacciata, provenienti dal nulla e diretti verso il nulla. Il suo sguardo si spinge interrogativo verso l’esterno. Procione? Rigel? Betelgeuse?

— Un’altra volta — mormora Hanmer.

Fanno ritorno alla Terra.

Come gioielli gemelli si tuffano nell’atmosfera sfavillando. Atterrano. Si ritrova di nuovo nel suo corpo mortale. Giace su un campo di piantine piccole e carnose verdazzurre, molto curate; su di lui torreggia un gigantesco monolito triangolare, biforcato alla sommità, e dalla biforcazione scende un fiume ribollente che si infrange centinaia o forse migliaia di metri più in basso sulla larga piattaforma d’onice che fa da base al monolito, circondandolo completamente. Sta tremando. Il viaggio l’ha lasciato privo di forze. Quando ci riesce, si mette a sedere, si preme i palmi delle mani sulle guance, respira molto profondamente, ammicca. I mondi roteano in cerchi frenetici nella sua testa. La sua felicità su Giove combatte con il rimpianto per gli anelli di Saturno. E Mercurio. E gli amati vecchi continenti, la geografia amica. Trasformata dal lavoro del tempo. L’aria è mite e trasparente, e riesce a sentire una musica lontana. Hanmer è in piedi ai bordi della piattaforma, e sta contemplando la cascata.

Ma si tratta di Hanmer? Quando si volta, Clay nota alcune differenze. Sul petto cereo e levigato sono spuntati due seni. Sono piccoli, come quelli di una ragazza alla fine dell’adolescenza, ma sono femminili al di là di ogni dubbio. Sono incoronati da minuscoli capezzoli rosei. Il bacino di Hanmer si è allargato. La tasca verticale alla base della pancia si è ristretta a una fessura, di cui è visibile solo l’estremità superiore. L’emisfero scrotale sottostante è scomparso. Non è Hanmer. È una donna della specie di Hanmer.

— Io sono Hanmer — dice a Clay.

— Hanmer era un maschio.

— Hanmer è un maschio. Io sono Hanmer. — Si dirige verso Clay. I suoi movimenti non sono quelli di Hanmer: al posto della sua andatura libera e dinoccolata c’è un movimento più controllato, altrettanto fluido, ma indubbiamente meno flessibile. Gli dice: — Il mio corpo è cambiato, ma sono Hanmer. Io ti amo. Possiamo celebrare il nostro viaggio insieme? È l’usanza.

— L’altro Hanmer è scomparso per sempre?

— Niente scompare per sempre. Tutto ritorna.

Mercurio. Gli anelli di Saturno. Istanbul. Roma.

Clay si irrigidisce. Rimane silenzioso per un milione di anni.

— Celebrerai con me?

— Come?

— Unendo i nostri corpi.

— Sesso — dice Clay. — Non è superato, allora?

Hanmer ride graziosamente. Si sdraia con un movimento rapido per terra. Le piante carnose sospirano, si piegano e si spostano. Nei loro fiori si aprono delle palpebre che liberano nell’aria chiazze di un fluido splendente. Si diffonde una fragranza balsamica. Un afrodisiaco: Clay è improvvisamente consapevole della rigidità del suo membro. Hanmer flette le ginocchia. Allarga le cosce, e lui studia l’apertura che lo attende, in mezzo a esse. — Sì — sussurra lei. Le mani di lui scivolano fino a stringere la schiena fredda, piatta e serica di lei. Hanmer si lascia andare; le sue palpebre trasparenti sono diventate lattee, cosicché il bagliore scarlatto dei suoi occhi resta attenuato; quando lui alza una mano e comincia ad accarezzarle il seno, sente i capezzoli indurirsi, e rimane stupefatto e meravigliato di fronte all’immutabilità di certe cose. L’umanità è in grado di attraversare il sistema solare in un attimo, gli uccelli parlano, le piante corroborano il piacere umano, i continenti sono completamente trasformati, l’universo è una tempesta di colori meravigliosi e di aromi inebrianti; eppure in mezzo a tutto il miracolo d’oro e cremisi e porpora di questo mondo alterato i cazzi continuano a cercare le fighe e le fighe a cercare i cazzi. Non sembra coerente. Pure, con un gridolino soffocato entra dentro di lei e comincia a mupversi, pistone rigido nella camera umida, e non gli sembra nemmeno troppo insolito il fatto che il senso di perdita che l’ha accompagnato fin dal suo risveglio adesso lo abbandoni. Gode con tale intensità da rimanerne sconcertato, ma lei si limita a cantare una serie esile di semitoni e lui riprende altrettanto rapidamente il controllo di se stesso, supera ogni forma di imbarazzo, e quindi possono continuare. Lei gli offre un orgasmo di controllata intensità. Le sue gambe dalle ginocchia lisce si stringono intorno a lui. Il suo bacino vibra ritmicamente. Ansima. Sussurra. Canta. Lui sceglie questo momento e libera l’orgasmo per la seconda volta, raggiungendo tutta una serie di intense sensazioni in lei, e allora la struttura della pelle di lei subisce una serie di cambiamenti e trasformazioni, diventando ruvida e rugosa poi subito dopo liscia e quasi liquida, poi ancora mossa, come attraversata da onde, per tornare infine alla condizione originale. Nel momento che segue all’estasi finale lui si ricorda della luna! La luna! Dov’era quando lui e Hanmer se n’erano andati in giro per il cosmo? Non c’è nessuna luna. La luna non c’è più. Come può aver dimenticato di cercare proprio la luna?