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29

Dal cespuglio: — Posso aiutarti?

— Che senso ha?

— Per gentilezza verso un povero vagabondo.

— La tua gentilezza ha un prezzo — dice Clay.

— No. No, sei confuso. Non mi conosci.

— Allora fatti conoscere.

— Ci sono molti modi per aiutarti. Lo farò.

— Che cosa sei?

— Un Errore — dice Errore.

— Un dio?

— Una forza.

— In che rapporto sei con, diciamo, gli Sfioratori?

— Non lo so.

— Non lo sai — Clay ride. Sente una parete di porcellana levigata intorno alla sua testa. — Grazie. Grazie tante. Che cosa vuoi?

— Aiutarti. — Dolce. Tentatore.

— Aiutami, allora. Rimandami a casa.

— Tu sei a casa.

Si guarda intorno. Vede solo un territorio riarso, per nulla familiare, scabro, costellato di piante aliene. Tenta di nuovo, sentendo la nausea crescere in sé. — Dove sono i miei amici? — chiede. — Mi riferisco agli Sfioratori Hanmer, Ninameen, Ti, Bril…

Errore gli fa lampeggiare nella mente una visione molto nitida: i sei Sfioratori seduti solennemente in cerchio, con i volti tesi e concentrati, gli occhi rannuvolati, una nuvola di depressione che aleggia loro intorno.

— Si stanno preparando a morire — dice. — Tutti e sei. Accadrà presto.

— No! No! Perché?

— Morire?

— Morire, sì. Perché?

— Per scoprire — gli dice tranquillamente Errore. — Tu sai che Serifice c’è già stata. Il viaggio verso la prima casa della Morte. Ma per loro non è stato sufficiente. Non è stato soddisfacente, capisci; non era fatto come si doveva. Adesso cercano la vera morte, la morte permanente.

— Per quale motivo? — lui chiede. Ode la sua stessa voce, sgraziata e dissonante. E si sente terribilmente giovane.

— Per fuggire.

— Per fuggire a cosa? Alla noia? A una vita nell’eterna estate?

— Questo è solo un motivo.

— E l’altro?

— Per sfuggire a te — dice Errore, singhiozzando.

30

È allibito. Ai piedi gli crescono radici contorte; i genitali gli si contraggono; lacrime infuocate gli solcano le guance. Questo sogno sta diventando troppo amaro. Il fuoco nel cespuglio è scomparso, lasciando nuvolette amare di fumo bianco. Infine, chiede: — Cosa posso fare per indurii a cambiare idea?

— Ben poco, penso. — La voce proviene dalla zona di cielo che è esattamente sopra la sua testa. Così Errore è ancora con lui, da qualche parte.

Clay si muove, si agita, suda, è nervoso. — Perché vogliono fuggirmi? Sono così terribile? Sono proprio un mostro?

Una lunga pausa.

— Sai che porti dentro di te una nube gelida di crudeltà e disarmonia. Sai che sei capace di essere crudele, vendicativo, infedele, violento, irascibile, geloso, scortese, irrazionalmente ostile, e aspro.

Clay fissa il cielo. Sputa verso l’alto. Poi, con maggior umiltà, chinando la testa risponde: — Sono solo un primitivo! Sono un semplice preistorico. Non ho chiesto io di venire qui. Faccio del mio meglio, ma sono fatto di materiale scadente, pieno di imperfezioni, e impurità. Dovrei scusarmi per questo? Non è colpa mia se sono imperfetto. In ogni modo, questo cos’ha a che fare con gli Sfioratori e con la morte?

— È difficile rimanere a lungo con te — spiega Errore. — Porti molto dolore, dentro di te. Tuo malgrado, condividi questo peso con i tuoi amici. L’hai condiviso con gli Sfioratori. Hai fatto loro del male, sei stato più di quanto potessero sopportare, capisci?

— Non ne sono mai stato consapevole. — Con tono di sfida, non di scusa.

— Esattamente.

Clay tira un calcio al terreno riarso. Strappa una piantina e la sente scoppiettare e sibilare. La butta distrattamente via. — Avrebbero benissimo potuto dirmi personalmente queste cose — dice, ferito. — Avrebbero potuto insegnarmi a innalzarmi sopra me stesso. Sono come dèi, vero? Potevano benissimo affrontare una semplice bestia proveniente dal passato. E tu dici che preferiscono morire, per fuggirmi…

— Non è facile come tu pensi, per loro…

— …Per cercare di evitarmi in ogni modo possibile, compresa la morte…

— …Non è facile cambiarti — gli dice Errore. — Anche loro hanno i loro limiti. Così, se ne vanno.

— Perché?

Errore si materializza per un attimo sotto forma di un ammasso di palpebre che circondano un occhio, e dà in un singhiozzo. — Per disperazione — dice. — Stravolti dallo shock. Si riconoscono in te. Tu sei il loro antenato. Fino a quando non sei arrivato non conoscevano la tua natura, e adesso che la conoscono, ti temono, perché tu sei in loro. Come sei in tutti noi. Così vanno a morire. Ne parlano come di un’allegra avventura. Per loro è proprio così: ma è anche, come capirai, una fuga.

La testa di Clay gira vorticosamente. C’è un nodo di tristezza in fondo alla sua gola. Si sta perdendo nella metafisica.

Cercando di raccogliere tutte le forze di cui dispone grida: — Come posso fare a convincerli a non farlo?

— Continui a chiederlo?

— Devo saperlo.

— Non ho una risposta.

— E chi ce l’ha? — strilla, con una fitta violenta al fegato.

— Chi ce l’ha? Chi ce l’ha? Chi ce l’ha? — Il singhiozzo di Errore diventa convulso. Clay si guarda intorno, ma non riesce più a trovarlo. Comincia a cadere una pioggia calda, e fitta. Cammina. Comincia a correre, ma i suoi piedi sono scomparsi, le caviglie si stanno sciogliendo, deve muoversi camminando sulle ossa delle ginocchia. Inspira coltelli. Suda acido. Vede un miraggio: gli Sfioratori che corrono davanti a lui, sciogliendosi, morendo, cantando, sorridendo. Come posso fare a impedirlo? chiede. Le parole gli ronzano turbinose nella testa, vorticando, sbattendo, scomparendo con un risucchio nel collo. Dietro di lui rimane il residuo polveroso di una risposta: Potresti tentare con gli Intercessori. Vertebre che scricchiolano. Clay annuisce. Gli Intercessori. Gli Intercessori. — Dove posso trovarli? — Ma naturalmente è di nuovo solo.

31

Arriva in una zona in cui non esistono colori. Ogni cosa ha perso la sua pigmentazione; tutto è a lunghezza d’onda zero, e Clay teme quasi una frattura nello spettro. Anche il sole è senza tonalità, e la luce che ne discende è un vero paradosso. Egli cammina con attenzione, pieno di meraviglia. Ha già visto il biancore dell’Antartico che sembra divorare tutto, e ha visto la tenebra aggressiva di Scuro, ma questo posto è diverso, perché, se il nero può essere considerato assenza di colori, qui nulla è nero, e d’altra parte non c’è neppure fusione di colori, cioè bianco. Allora, come si fa a vedere qualcosa? — Non mi ingannate — dice coraggiosamente. — Ne so abbastanza, sulle leggi dell’ottica. Il colore non è nient’altro che l’effetto prodotto sull’occhio dalle radiazioni elettromagnetiche di una certa lunghezza d’onda. Nessuna lunghezza d’onda, niente colore; niente colori, nessuna visione. Così, come faccio a vedere queste cose? — Studia la propria mano incolore. Spinge in fuori la lingua incolore. Tocca i petali incolori di una piantina incolore.

Se può esistere un colore privo di estensione fisica, forse può esistere anche un’estensione fisica priva di colori. Indubbiamente siamo d’accordo sull’esistenza di un concetto quale quello di colore assoluto. È possibile visualizzare il rosso anche senza visualizzare un oggetto rosso, no? Benissimo. Colore astratto, non collegato a una massa. Adesso visualizziamo una massa priva di colori, una semplice forma, meno la distrazione di risonanza nello spettro ottico. Non è facile? Be’, tentate, ragazzi miei, tentate, tentate!