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«Ora dobbiamo trovare Quain», disse. «Sento che il circuito si forma.»

Il nero pterosauro volò lento e maestoso verso il Nord-est, oltre il Laurei Canyon.

E a un tratto lo scorsero.

Faticosamente inerpicandosi su per i gradini smussati che gli stessi Indiani dovevano avere scavato nella roccia, Sam Quain, spingendo la pesante cassa avanti a sé, saliva lentamente verso la vetta di una collina. Infine, dopo un’ul­tima spinta alla cassa, vi montò sopra e giunto sulla vetta, ansante, con un altro gigantesco sforzo trascinò la cassa oltre il ciglio roccioso e se la caricò sulle spalle. Si soffermò solo un istante a guardare, in basso, oltre il torrente, lontanissimi, gli uomini dello sceriffo, incerti sulla via da seguire. E poi ripre­se la sua faticosissima marcia.

«Ora!», ingiunse April.

Chiudendo le nere ali, Barbee calò verticalmente come un masso.

Sam Quain parve improvvisamente conscio del pericolo. Cercò di allonta­narsi il più rapidamente possibile dal precipizio da cui era venuto, e barcollò, male in equilibrio sotto il peso della cassa. Alzò la faccia devastata dalla stanchezza e un orrore indicibile vi si dipinse. Doveva avere imparato da Mondrick a liberare le cariche magnetiche della mente, perché la sua bocca si aprì e a Barbee parve di udire il suo nome, gridato in tono d’estrema angoscia:

«Oh, sei dunque tu... Will Barbee!».

Gli artigli dello pterosauro afferrarono la cassa. Ne emanava l’orrendo feto­re e il solo tocco di essa raggelò il gran corpo del rettile. Con le ali quasi paralizzate, il mostro tuttavia non abbandonava la cassa.

Strappata dalle mani di Quain, la cassa rimbalzò sull’orlo roccioso del pre­cipizio. Barbee riuscì a staccarne gli artigli, e la vide precipitare, cozzando contro le sporgenze rocciose, finché non si spaccò su un ripiano pietroso, ove il suo contenuto si sparse.

Barbee poté vedere armi d’argento annerite dai millenni, frammenti d’ossa e un oggetto a forma di disco, che splendeva d’una terribile luce violetta, agli occhi del sauriano, radiazione ancor più mortale di quella solare.

Era forse uranio radioattivo quel metallo più mortale dell’argento? Infine, rotolando lento sul pendio roccioso, il contenuto della cassa precipitò di nuovo nell’abisso sottostante e Barbee vide il tremendo disco violetto sparire nelle acque profonde del torrente.

Sam Quain frattanto era scomparso.

«Ora che l’arma micidiale è distrutta», disse Barbee, «Sam Quain non rappresenta più un pericolo mortale. E del resto, che può fare, braccato com’è dalla polizia?»

April Bell era scesa dalla groppa del rettile alato. Per un attimo parve di malumore. Poi Barbee la vide scuotere la fiammante capigliatura e restrin­gersi, abbassarsi, tramutarsi, finché non fu di nuovo la snella ed elegante lupa bianca. Mettendo in mostra le zanne in un sogghigno malizioso, prese a correre verso le pendici fittamente boscose, dove le immense ali nere non avrebbero potuto inseguirla.

«Aspettami, April!»

La metamorfosi gli era facile ormai, e il rettile alato si tramutò rapidamente nel robusto lupo grigio.

Fiutando nell’aria l’odore inebriante della lupa, la seguì rapido e silenzioso, là dove le tenebre erano più dense, dove lo avrebbero trattenuto per sempre.

FINE