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I lampi dei fotografi si fecero intensissimi, mentre la polizia tratteneva i giornalisti che si spingevano innanzi. Qualcuno urlò per chiamare l’ambulan­za, ma ormai Mondrick era morto.

«Marck!»

Barbee udì l’urlo acutissimo. Vide la moglie cieca di Mondrick staccarsi dal gruppo presso il terminal e correre verso di loro, l’enorme cane al fianco, veloce e dritta come se vedesse. Uno degli agenti cercò di fermarla, ma do­vette ritrarsi davanti alle zanne di Turk. La cieca giunse presso il corpo del marito e gli si inginocchiò accanto, sfiorandogli il volto devastato, le mani stanche con dita disperatamente indagatrici. La luce cadde sugli anelli e i braccialetti d’argento, rifulgendo nelle lacrime che scorrevano dalle vuote occhiaie martoriate dietro le lenti.

«Marck, povero caro! Perché non hai voluto che venissi con Turk a proteg­gerti? Non li hai visti stringersi attorno a te?»

3.

Sam Quain fissava senza vederlo il corpo dell’uomo disteso per terra. In maniche di camicia, sotto la sferza di quel gelido vento, rabbrividiva, anche se non sembrava accorgersene. Non parve nemmeno accorgersi del pesante cappotto che Barbee s’era tolto per gettarglielo sulle spalle.

«Grazie, Will», disse poi, sempre con la mente chi sa dove. «Deve far fred­do.»

Trattenne per un istante il respiro e poi si rivolse ai giornalisti.

«Un grosso titolo per voi, signori», disse calmo, con voce lenta, trasognata. «La morte del professor Lamarck Mondrick, famoso antropologo ed esplora­tore. Vi prego di fare attenzione alla grafia: il professore teneva in modo particolare alla c di Lamarck.»

Barbee gli strinse un braccio.

«Che cosa lo ha ucciso, Sam?»

«Morte dovuta a cause naturali, dirà il magistrato», rispose Quain con la stessa voce quasi indifferente, ma Barbee lo sentì irrigidirsi. «Soffriva d’asma da parecchi anni. Quando ci trovavamo ancora laggiù, in Mongolia, mi disse che sapeva di essere malato di cuore, di averlo sempre saputo. E la nostra spedizione non è stata davvero una passeggiata, soprattutto per un uomo della sua età, e per giunta malato di cuore.»

Barbee guardò il corpo immobile ai loro piedi e la donna vestita a lutto che singhiozzava silenziosamente.

«Dimmelo, Sam... che cosa voleva dire Mondrick quando ha avuto l’attac­co?»

Sam Quain inghiottì con uno sforzo. I suoi freddi occhi azzurri evitarono lo sguardo del giornalista, frugarono le ombre del crepuscolo, tornarono a fis­sare gli occhi dell’antico compagno d’università. Alzò le spalle, quasi cercas­se di scrollarsi di dosso l’orrore che gravava su di lui come una cappa.

«Niente», mormorò con voce rauca, «niente del tutto.»

«Niente?», ripeté la voce dura di un altro giornalista alle spalle di Barbee. «E tutte quelle precisazioni sui pericoli misteriosi? sul Figlio della Notte e il Messia Nero? Scherziamo, Quain?»

La faccia triste di Sam Quain tentò di sorridere.

«Il professor Mondrick amava le espressioni figurate e non trascurava mai di dare un certo tono drammatico alle sue dichiarazioni. Il suo Figlio della Notte è, con ogni probabilità, una figura retorica, una personificazione, for­se, dell’ignoranza umana.» Indicò col mento la cassa. «È là dentro che si trova materia per brillanti servizi giornalistici, signori, ammesso che le teorie sull’evoluzione umana rappresentino ancora notizie sensazionali per i quoti­diani. Il minimo particolare sulle origini del genere umano è del massimo interesse per scienziati come Mondrick, ma non per il profano, a meno che non lo si drammatizzi romanticamente.»

Un’ambulanza venne a prendersi il corpo di Mondrick, mentre la vedova dava al marito l’estremo addio e tutt’intorno s’accendevano i lampi dei foto­grafi.

«Quali sono ora i vostri progetti, signor Quain?», domandò un uomo vestito di nero e dal profilo d’avvoltoio, cronista scientifico di un’agenzia giornalisti­ca. «Quando ci darete il resto delle dichiarazioni interrotte così tragicamen­te?»

«Oh, ci vorrà del tempo», rispose Quain, battendo le palpebre alla luce vivida dei lampi. «Noi tutti suoi collaboratori, vedete, eravamo dell’opinione che le dichiarazioni del professore fossero premature. Gli oggetti che abbia­mo portato dall’Ala-shan dovranno essere studiati lungamente in laborato­rio, insieme con gli appunti e gli scritti di Mondrick, prima di renderli di pubblica ragione. A suo tempo, la Fondazione pubblicherà una monografia in merito. Ci vorrà un anno. Forse due.»

Un mormorio di delusione si levò dal gruppo di giornalisti in ascolto.

«Comunque, non si torna al giornale del tutto a mani vuote», fece un croni­sta. «Mi sembra già di vedere i titoli di domani: Maledizione preistorica uccide violatore di sepolcri.»

«Pubblicate quel che volete», disse Quain, guardandosi intorno con quella che a Barbee non sfuggì essere segreta apprensione. «Ma spero che tutti sarete generosi, scrivendo del professor Mondrick. Era un grande scienziato, anche se talvolta un po’ eccentrico. La sua opera, quando sarà pubblicata, lo porrà sicuramente tra i pochi eletti del pensiero scientifico, insieme con Freud e Darwin.» La mascella gli si indurì in un’espressione di testardaggine. «E questo è tutto quanto io... o i miei colleghi... abbiamo da dire.»

I fotografi accesero un ultimo flash in onore di quell’espressione testarda e cominciarono a riporre i loro aggeggi, il radiocronista fece riavvolgere il na­stro, dopo aver fatto sparire il microfono, e gli inviati dei giornali se ne tor­narono in redazione a scrivere un pezzo su un oscuro fatto inspiegabile.

In lontananza Barbee vide April Bell entrare nella sala d’aspetto. Evidentemente era filata via per telefonare il suo pezzo al Call. Ma Barbee aveva tempo fino a mezzanotte, quando si chiudeva la prima edizione del mattino, per cercar di risolvere il mistero della morte di Mondrick. Impulsivamente fece un passo avanti e afferrò Sam Quain per il braccio. L’esploratore si ritrasse con un sussulto e un grido soffocato da quel tocco improvviso, e poi riuscì con uno sforzo tormentoso ad abbozzare una specie di sorriso. Chi non sarebbe stato nervoso dopo prove così tragiche? Barbee lo trasse da parte, verso la coda dell’enorme aeroplano silenzioso.

«Che cosa c’è sotto questa tragedia, Sam? Agli altri hai potuto darla a bere, non a me. Mondrick parlava sul serio, non per simboli. E anche voi eravate terrorizzati. Di che cosa avete tanta paura?»

Gli occhi azzurri di Sam Quain lo fissarono, scrutandolo, come per scoprire, stanare non si sa che mostruoso nemico. Sam Quain rabbrividì, stringendosi intorno al corpo il cappotto non suo, ma fu con molta calma che la sua voce stanca e paziente rispose:

«Avevamo tutti paura che accadesse proprio quanto è avvenuto. Sapevamo quale fosse lo stato di salute di Mondrick. E poi, in aereo, siamo dovuti salire ad alta quota, date le condizioni meteorologiche infami, e quell’altezza deve avergli affaticato il cuore...».

Barbee scosse il capo.

«No, Sam, queste spiegazioni non reggono. Voi tutti avete paura di qualco­sa che non aveva nulla a che vedere col mal di cuore.» Strinse ancora l’esplo­ratore per il braccio. «Non ti fidi di me, Sam? Siamo sempre amici, no?»

«Che sciocchezze, Will!» Quain cominciava a spazientirsi. «Mondrick, a dire il vero, non sembrava fidarsi molto di te, e non ha mai voluto dirmene il motivo... del resto, erano ben poche le persone di cui si fidasse... Ma natural­mente noi siamo sempre amici, si capisce!»

Alzò ancora le spalle, a disagio, e i suoi occhi si posarono con espressione smarrita sulla cassa, presso la quale Spivak e Chittum continuavano a montar la guardia.

«Ora devo andare, Will. Ho troppe cose da fare, con quello che è succes­so...» Si tolse il cappotto, rabbrividendo. «Grazie, Will. Tu ne hai bisogno e io ho il mio a bordo. Scusami ora.»