— Vi trovate alla Casa della Corona, consunta dal tempo. Dinnanzi a voi c’è la Strada dei Fabbricanti di Scudi…
Scobie si accigliò.
— È mezzogiorno, quando gli elfi non vanno in giro — dice Kendrick, in tono di comando e di ammonizione. — Non desidero incontrare nessuno di loro: niente lotte né complicazioni. Ti prenderemo e fuggiremo senza ulteriori guai.
La Broberg e Garcilaso si mostrarono delusi, ma compresero: il gioco finiva quando uno dei personaggi rifiutava d’accettare qualche nuovo particolare inserito da un compagno di gioco, ed in quei casi spesso i fili della narrazione non venivano ripresi e riallacciati per parecchi giorni. La Broberg sospirò.
— Segui la strada fino alla fine, dove c’è un foro e sgorga una fontana di neve — spiega Ricia. — Attraversa il foro e continua lungo il Viale Aleph Zain: lo riconoscerai a causa di un cancello a forma di teschio con le mandibole aperte. Se vedi da qualche parte un bagliore d’arcobaleno nell’aria, rimani immobile fino a che sarà svanito, perché si tratterà di un lupo aurorale…
Ad un trotto favorito dalla bassa gravità, furono sufficienti appena una trentina di minuti per coprire la distanza. Nell’ultimo tratto, i tre furono costretti ad effettuare grandi deviazioni a causa di blocchi di ghiaccio dalla composizione tanto sottile che scivolava sotto gli stivali e minacciava d’inghiottirli. Parecchi di quei blocchi erano disseminati a regolari intervalli intorno alla loro meta.
Una volta giunti, i tre viaggiatori si arrestarono nuovamente, persi nella morsa della meraviglia.
Il bacino ai loro piedi doveva giungere fin quasi al fondo roccioso, era profondo un centinaio di metri ed ampio quasi il doppio. Sul suo ciglio si ergeva il muro che avevano visto dall’altura, un arco lungo ed alto una cinquantina di metri, in nessun punto più spesso di cinque metri, traforato da intricate spire ornamentali che splendevano di un bagliore verde quando non erano trasparenti. Quello era il limitare superiore di uno strato che formava una serie di dentellature giù per il cratere. E c’erano altre sporgenze e altri burroni dall’aspetto ancora più fantastico… era forse quella una testa d’unicorno, quell’altra un colonnato di cariatidi, era quello un inginocchiatoio di ghiaccio?… Il profondo abisso era come un lago di fredde ombre azzurre.
— Sei giunto, Kendrick, adorato! — grida Ricia, gettandosi fra le sue braccia.
— Quieta! — avverte la mente di Alvarlan il saggio. — Non destare i nostri immortali nemici.
— Sì, dobbiamo tornare indietro. — Scobie sbatté le palpebre. — Per tutti i preti giudei, cosa ci ha preso? Il divertimento è divertimento, ma noi ci siamo certo spinti più lontano e più in fretta di quanto fosse sicuro fare, non vi pare?
— Rimaniamo ancora un poco — supplicò la Broberg. — Questo è un tale miracolo… la Sala da Ballo del Re Elfo, che il Signore della Danza ha costruito per lui…
— Ricordate che se rimaniamo saremo catturati, e la nostra prigionia potrebbe durare per sempre. — Scobie azionò l’interruttore radio principale della sua tuta. — Pronto, Mark? Mi ricevi?
Né la Broberg né Garcilaso fecero altrettanto, e non udirono la voce di Danzig.
— Oh, sì! Sono rimasto raggomitolato sulla trasmittente mordendomi le nocche. Come state?
— Benone. Siamo vicino a quel grosso buco e torneremo indietro non appena avremo scattato qualche fotografia.
— Non sono state inventate ancora le parole per esprimere il sollievo che provo. Valeva la pena di correre quel rischio, da un punto di vista scientifico?
Scobie sussultò e si guardò intorno.
— Colin? — chiamò Danzig. — Ci sei?
— Sì. Sì.
— Ti ho chiesto quali osservazioni importanti avete fatto.
— Non lo so — mormorò Scobie. — Non riesco a ricordare: dopo che abbiamo iniziato ad arrampicarci, nulla è più parso reale.
— Farete meglio a tornare subito indietro — disse cupo Danzig, — ed a scordarvi di quelle fotografie.
— Giusto. — Scobie si rivolse ai suoi compagni. — Avanti, march!
— Non posso — risponde Alvarlan. — Un incantesimo vagante ha catturato il mio spirito fra volute di fumo.
— So dove è custodita una daga di fuoco — dice Ricia. — Tenterò di rubarla.
La Broberg si mosse in avanti, come per scendere nel cratere: minuscole particelle di ghiaccio si staccarono dall’orlo sotto i suoi stivali. La donna avrebbe potuto facilmente perdere l’equilibrio e scivolare giù.
— No, aspetta! — le grida Kendrick. — Non è necessario. La punta della mia lancia è di lega lunare, e può tagliare…
Il ghiacciaio tremò, il costone si spezzò in due e cadde a brandelli, mentre l’area su cui si trovavano i tre umani si staccava dal resto e precipitava nella conca, seguita da una valanga. Cristalli gettati in aria riflessero la luce del sole, brillando come prismi quasi a sfidare le stelle per poi discendere quietamente e giacere immoti.
Fatta eccezione per le onde d’urto attraverso i solidi, tutto era accaduto nell’assoluto silenzio che regna nello spazio.
Un battito di cuore dopo l’altro, Scobie recuperò faticosamente i sensi, e si trovò bloccato, immobilizzato nell’oscurità e nella sofferenza. La tuta gli aveva salvato e gli stava tuttora salvando la vita, e, per quanto stordito, non aveva subito una commozione vera e propria. Tuttavia, ogni respiro portava un dolore terribile, e sembrava che un paio di costole sul fianco sinistro si fossero fratturate: l’impatto tremendo doveva aver intaccato il metallo. Ed era sepolto sotto un peso tale che non era certo in grado di smuovere.
— Pronto! — tossì al microfono. — Non mi sente nessuno?
L’unica risposta fu il pulsare del suo sangue. Se la radio funzionava ancora… ed avrebbe dovuto, essendo costruita all’interno della tuta… la massa che lo circondava faceva da schermo.
E risucchiava anche il calore con una velocità stupefacente e senza precedenti. Scobie non sentiva freddo perché il sistema elettrico traeva energia dalla cellula di alimentazione con tutta la velocità necessaria a mantenere caldo il suo corpo ed a riciclare chimicamente l’aria. In genere, quando perdeva calore per via della radiazione… ed un poco anche attraverso gli stivali dalla suola di kerosoam… la domanda di calore alla cellula era preponderante. Adesso, un fenomeno di conduzione si stava verificando su ogni centimetro quadrato, e, per quanto possedesse un’unità di scorta nell’equipaggiamento assicurato alla schiena, Scobie non aveva modo di raggiungerla.
A meno che… con una risatina che sembrava un guaito, fece sforzo e sentì la sostanza che lo imprigionava cedere di pochissimo, sotto la pressione delle gambe e delle braccia, mentre un leggero rumore gli risuonava nell’elmetto, un fruscio, un gorgoglio. Quello che lo circondava non era ghiaccio d’acqua, ma una sostanza il cui punto di congelamento era molto inferiore, ed adesso Scobie la stava fondendo e sublimando, creandosi un po’ di spazio.
Se fosse rimasto immobile, sarebbe sprofondato, mentre le masse gelate sovrastanti scivolavano giù per mantenerlo all’interno della sua tomba. Questo avrebbe anche potuto creare nuove e superbe formazioni, ma lui non ci sarebbe stato per vederle. Invece, doveva usare le sue poche capacità per farsi strada verso l’alto, arrampicarsi, aggrapparsi a pezzi di sostanza che ancora non galleggiassero, aprirsi un varco fino alle stelle.
Iniziò a scavare.
Un senso di agonia lo prese ben presto: il respiro attraversava gracchiando i polmoni infiammati, le forze gli si assottigliavano ed un tremito s’impossessò di lui, tanto che non avrebbe saputo dire se stava salendo o scivolando all’indietro. Accecato, semi-soffocato, Scobie trasformò le proprie mani in artigli e scavò.