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— In effetti — replicò secco Scobie, — comincerò io perché la costola mi fa soffrire terribilmente e questo sta consumando le poche energie rimastemi. Se ci troveremo nei guai, tu potrai aiutarmi meglio di quanto io potrei fare con te.

— Oh! — La Broberg chinò il capo. — Mi dispiace. Devo essere io stessa in ben brutte condizioni se ho permesso che un falso senso d’orgoglio interferisse con le mie azioni. — Il suo sguardo si spostò in direzione di Saturno, intorno al quale orbitava la Chronos, che trasportava suo marito ed i suoi figli.

— Sei perdonata. — Scobie raccolse le gambe sotto di sé e superò con un salto i cinque metri fino al costone più basso. Il successivo si trovava un po’ troppo in alto per poter essere raggiunto con un altro salto, dato che non c’era spazio per prendere la rincorsa.

Chinatosi, Scobie attaccò il fondo del pendio che si stendeva brillante di fronte a lui, con il proprio attrezzo e cominciò a scavare. Una marea di granelli si riversò dall’alto, bilioni di particelle, a coprire il suo scavo, ma Scobie prese a lavorare come un automa posseduto da qualche forza. Ogni palata era virtualmente priva di peso, ma il numero delle palate era quasi infinito. Scobie non si attirò addosso l’intero fianco della conca, come aveva in parte temuto ed in parte sperato (se non lo avesse ucciso, la frana gli avrebbe risparmiato un mucchio di fatica). Un torrente secco prese a scorrere a destra ed a sinistra intorno alle sue caviglie, eppure alla fine cominciò ad apparire una superficie un po’ più ampia della roccia sottostante.

Da sotto, la Broberg ascoltava il suo respiro, che era rauco, spesso inframmezzato da sussulti o da imprecazioni. Nella tuta spaziale, sotto la cruda e tenue luce solare, sembrava un cavaliere che, nonostante le sue ferite, stesse combattendo contro un mostro.

— D’accordo — chiamò finalmente Scobie. — Credo di sapere cosa ci dobbiamo aspettare e come dobbiamo agire. Ci reggerà tutti e due.

— Sì… oh, sì, mio Kendrick.

Le ore trascorsero. Sempre con lentezza, il sole salì nel cielo, le stelle ruotarono e Saturno si affievolì alla vista.

Per lo più, i due umani faticavano fianco a fianco. Non avevano bisogno di un sentiero strettissimo, ma se non cominciavano a scavare in maniera ampia, le sponde a destra ed a sinistra dello scavo scivolavano rapidamente giù, seppellendo tutto. Qualche volta, la formazione sottostante permetteva il lavoro di una sola persona, ed allora l’altro poteva riposare, e ben presto fu Scobie a dover approfittare più spesso di quel vantaggio. Di tanto in tanto, entrambi si arrestavano per mangiare e bere qualcosa e per riposare addossati agli zaini.

La roccia cedette il posto al ghiaccio d’acqua, e, dove questo si levava con una notevole pendenza, la sabbia di ghiaccio scavata via dalla coppia crollava in massa. Dopo il primo incidente di quel genere, nel corso del quale per poco non furono spazzati via entrambi, Scobie prese l’abitudine di conficcare sempre il suo martello da geologo in ogni nuovo strato che incontravano: al minimo segno di pericolo, lui ne afferrava l’impugnatura e la Broberg gli circondava la vita con un braccio, mentre con la mano libera tenevano entrambi stretti gli attrezzi da scavo. Ancorati saldamente, ma costretti a sforzare ogni muscolo, rimanevano saldi mentre la sostanza simile a sabbia si riversava loro intorno, fino alle ginocchia e, una volta, fino al petto, tentando di seppellirli senza speranza nella propria massa semifluida. Successivamente, si trovarono a dover affrontare un tratto spoglio, troppo ripido per poter essere scalato senza appigli, per cui furono costretti a scavarseli.

La stanchezza era un altro tipo di marea cui non osavano cedere. Nel migliore dei casi, i loro progressi erano lenti in maniera scoraggiante. Avevano bisogno di ben poca immissione di calore per mantenere caldo il corpo, salvo quando si riposavano, ma la richiesta dei polmoni all’apparecchio di riciclaggio dell’aria era tremenda. La cellula d’energia di Garcilaso, che avevano portato con loro, avrebbe potuto dare qualche ora in più di vita ad una sola persona, ma era talmente impoverita a causa dell’ipotermia del pilota che aveva dovuto combattere, che avrebbe fornito un tempo di sopravvivenza insufficiente a garantire l’arrivo dei soccorsi dalla Chronos. Presente, ma non espressa, era l’idea di utilizzare la cellula a turno: questo li avrebbe lasciati in misere condizioni, infreddoliti e semisoffocati, ma almeno avrebbe permesso loro di abbandonare l’universo insieme.

Così, ci fu ben poco da meravigliarsi se le loro menti rifuggirono dalla sofferenza, dall’indolenzimento, dallo sfinimento, dalla disperazione, dalla puzza del loro stesso sudore: senza questo sfogo, non avrebbero potuto resistere così a lungo.

Godendo pochi minuti di riposo, la schiena appoggiata ad un parapetto di blu brillante che avrebbero dovuto scalare fra poco, spinsero lo sguardo sull’altra parte della conca, dove il corpo di Garcilaso, avvolto nella tuta, brillava come su una remota pira, e poi più in alto, lungo la curva di parete opposta a Saturno. Il pianeta brillava di una languida luce ambrata, dolcemente striato, con gli anelli che creavano una corona resa più brillante da una fascia d’ombra che l’attraversava. Quella luminosità aveva la meglio sulla luce della maggior parte delle stelle vicine, ma altrove esse si riunivano in moltitudini, in splendore, intorno alla strada argentea che la galassia si apriva fra loro.

— Che tomba adeguata per Alvarlan — dice Ricia, in un mormorio sognante.

— Allora è morto? — chiede Kendrick.

— Non lo sai?

— Ero troppo occupato. Dopo che ci siamo liberati dalle rovine e ti ho lasciata a riposare un po’, mi sono imbattuto in un gruppo di guerrieri. Sono sfuggito loro, ma sono per forza dovuto tornare da te seguendo percorsi tortuosi e nascosti. — Kendrick accarezza i capelli color del sole di Ricia. — Inoltre, mia amatissima, sei sempre stata tu, e non io, a possedere il dono di sentire gli spiriti.

— Mio coraggioso amore… Sì, è una gloria per me essere stata capace di richiamare la sua anima dall’Inferno. Essa ha cercato di rientrare nel corpo, ma questo era vecchio e fragile e non è potuto sopravvivere al sapere che aveva acquisito. Tuttavia, Alvarlan è trapassato pacificamente, e, prima di morire, come ultimo atto di magia si è costruito una tomba il cui soffitto stellato brillerà in eterno.

— Possa egli riposare bene. Ma non c’è riposo per noi, non ancora: abbiamo molta strada da percorrere.

— Sì, ma ci siamo già lasciati le rovine alle spalle. Guarda! Dovunque intorno a noi su questo prato ci sono anemoni che sbucano fra l’erba. Un’allodola canta in alto.

— Queste terre non sono sempre tranquille, e potrebbero esserci altre avventure che ci attendono più avanti, ma noi le affronteremo con cuori coraggiosi.

Kendrick e Ricia si alzano per riprendere il loro viaggio.

Raggomitolati su una misera sporgenza, Scobie e la Broberg scavarono per un’ora senza riuscire ad allargare molto il sostegno. La sabbia di ghiaccio scivolava dall’alto con la stessa rapidità con cui essi la toglievano.

— Sarebbe bene lasciar perdere: è fatica sprecata — decise infine l’uomo. — Il meglio che siamo riusciti a fare è stato di appiattire un po’ il pendio che abbiamo dinnanzi. Non si può dire quanto vada in profondità questo scaffale prima di essere sormontato da uno strato solido. Magari non ce n’è affatto.

— Che facciamo, allora? — chiese la Broberg, con lo stesso tono stanco.

— Torniamo al livello sottostante — Scobie indicò con un pollice, — e tentiamo in una diversa direzione. Ma prima abbiamo assolutamente bisogno di una sosta.