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Stesero i loro cuscini di kerofoam e sedettero. Dopo un intervallo nel quale rimasero semplicemente immoti, intontiti dalla stanchezza, la Broberg cominciò a parlare.

— Vado alla sorgente — riferisce Ricia. — Essa canta sotto arcate di verdi tronchi, fra i quali la luce trapela per brillare sull’acqua. M’inginocchio a bere. L’acqua è fredda, pura, dolce. Quando sollevo gli occhi, vedo la figura di una giovane donna, nuda, le trecce del colore delle fronde: è una ninfa silvana, e sorride.

— Sì, la vedo anch’io — concorda Kendrick. — Mi avvicino con cautela per non spaventarla. Lei chiede quali siano i nostri nomi e dove andiamo. Le rispondiamo che ci siamo perduti, e lei ci spiega dove trovare un oracolo che ci potrebbe dare consiglio.

Partono per trovarlo.

La carne non era più in grado di tenere lontano il sonno.

— Chiamaci fra un’ora, ti spiace, Mark? — chiese Scobie.

— Certo — rispose Danzig. — Ma, sarà sufficiente?

È il massimo che ci possiamo permettere, dopo i ritardi che abbiamo avuto. Abbiamo percorso meno di un terzo di strada.

— Se non ho parlato con voi — disse lentamente Danzig, — non è stato perché lavoravo duro, anche se mi sono dato da fare. È stato perché immaginavo che voi due steste già passando dei brutti momenti senza che io vi infastidissi. Tuttavia… pensate che sia saggio fantasticare come avete fatto finora?

Un velo di rossore salì alle guance della Broberg e le scese lungo il collo.

— Hai ascoltato, Mark?

— Ecco, sì, naturalmente. Potevate avere qualcosa d’urgente da comunicare in qualsiasi momento…

— Perché? Cosa avresti potuto fare? Un gioco è una cosa personale…

— Uh, sì, sì…

Ricia e Kendrick avevano fatto all’amore tutte le volte che era possibile. I resoconti non erano mai espliciti, ma le parole erano spesso appassionate.

— Ci terremo in contatto con te quando ne avremo bisogno, per esempio quando servi da sveglia — scandì la Broberg, — ma per il resto chiuderemo il circuito.

— Ma… sentite, non intendevo…

— Lo so — sospirò Scobie. — Sei un brav’uomo, ed oserei dire che la nostra reazione è un po’ eccessiva. Comunque, è così che deve essere. Chiamaci come ti ho detto.

Nella profondità della grotta, la Pitonessa ondeggia sul trono, nel flusso e riflusso del suo sogno oracolare. Stando a quanto Ricia e Kendrick riescono a comprendere del suo canto, la Pitonessa dice loro di viaggiare verso ovest lungo il Sentiero del Cervo fino a quando incontreranno un uomo dalla barba grigia e con un occhio solo che potrà dare loro ulteriori indicazioni; ma essi dovranno stare attenti alla sua presenza, perché quell’uomo è facile all’ira. I due fanno un inchino e se ne vanno. Nell’uscire dalla grotta, oltrepassano l’offerta che hanno portato: dal momento che avevano ben poco, a parte gli abiti e le armi, la Principessa ha offerto all’altare le sue chiome d’oro. Il cavaliere ripete che, anche con i capelli così corti, lei rimane bellissima.

— Ehi, evviva, abbiamo superato venti metri con facilità — disse Scobie, ma con un tono di voce appiattito dallo sfinimento. All’inizio, il viaggio attraverso la terra di Nacre è una delizia. La successiva imprecazione non era molto più animata.

— Sembra che siamo in un altro vicolo cieco.

Il vecchio con il mantello azzurro ed il cappello a larga tesa si era veramente infuriato quando Ricia gli aveva negato i propri favori e la lancia di Kendrick aveva deviato il colpo della sua. Astutamente, il vecchio aveva preteso di essersi rappacificato con loro ed aveva indicato la strada che dovevano imboccare, ma, alla fine di quella strada ci sono alcuni giganti. I viaggiatori li evitano e tornano indietro.

— Il cervello mi brancola nella nebbia — gemette Scobie. — E la costola rotta non mi è sicuramente d’aiuto. Se non faccio un altro sonnellino, continuerò a sbagliare strada fino a che non avremo più tempo.

— Ma certo, Colin. Rimarrò io di guardia e ti sveglierò fra un’ora.

— Cosa? — fece Scobie, con una tenue sorpresa. — Perché non riposi anche tu e ci facciamo chiamare da Mark, come prima?

— Non c’è bisogno di disturbarlo — replicò lei con una smorfia. — Sono stanca, ma non ho sonno.

— Bene — disse Scobie, non avendo né la forza né la mente per discutere e, distesosi sul materassino isolante, crollò di schianto nel sonno.

La Broberg si sedette accanto a lui. Si trovavano a metà strada dalla cima, ma erano più di venti ore che lottavano, salvo occasionali pause, e l’avanzata si faceva più dura e difficile man mano che loro stessi diventavano più deboli ed intontiti. Se mai fossero riusciti ad arrivare in cima ed avessero avvistato il segnale di Danzig, avrebbero avuto dinnanzi ancora qualcosa come un paio d’ore di duro cammino.

Saturno, il sole, le stelle, brillavano attraverso il vetro dell’elmetto; la Broberg abbassò con un sorriso lo sguardo sul volto di Scobie: non era certo un dio Greco, ed aveva su di sé sudore e sporcizia, la barba lunga, i numerosi segni dell’esaurimento fisico… ma del resto, anche lei non era esattamente l’immagine della bellezza.

La Principessa Ricia siede accanto al suo cavaliere, là dove questi riposa nella capanna del nano, e suona l’arpa che il nano le ha prestato prima di andare al lavoro nella miniera, accompagnando una serenata che addolcisca i sogni di Kendrick. Quando ha finito, posa le labbra su quelle di lui e scivola nello stesso sonno gentile.

Scobie si destò gradatamente.

— Ricia, adorata — sussurra Kendrick, e la cerca con le mani. La desterà con i suoi baci…

— Per tutti i preti ebrei! — esclamò Scobie, balzando in piedi. La donna giaceva inerte, ma Scobie ne sentì il respiro nell’auricolare prima che il pulsare del suo cuore lo soffocasse. Il sole era salito ancora più in alto, tanto che se ne poteva notare il movimento, e la sagoma di Saturno si era affievolita ulteriormente, formando una mezzaluna appuntita alle estremità. Scobie si costrinse ad osservare l’orologio al polso sinistro.

— Dieci ore! — gemette. Poi s’inginocchiò e scosse la sua compagna. — Sveglia, per l’amor di Cristo!

Le sue ciglia si agitarono, e, quando vide l’orrore dipinto sul suo volto, la donna perse ogni sonnolenza.

— Oh, no — supplicò. — Per favore, no!

Scobie si sollevò rigidamente in piedi ed azionò l’interruttore di comunicazione principale.

— Mark, mi ricevi?

— Colin, grazie a Dio! — esclamò Danzig. — Stavo per perdere la testa dalla preoccupazione!

— E le preoccupazioni non sono finite, vecchio mio. Abbiamo appena finito un sonnellino di dieci ore.

— Cosa? Fin dove siete arrivati, prima?

— Ad un’elevazione di circa quaranta metri, ed il cammino avanti sembra ancora peggiore. Temo che non ce la faremo.

— Non lo dire! — supplicò Danzig.

— È colpa mia — dichiarò la Broberg. Era ritta in piedi, i pugni serrati, il volto una maschera rigida, la voce d’acciaio. — Era distrutto e doveva dormire un po’. Mi sono offerta di svegliarlo ma mi sono addormentata a mia volta.

— Non è colta tua, Jean — cominciò Scobie.

— Sì, mia — lo interruppe lei. — Forse posso rimediare. Prendi la mia cellula d’energia. Naturalmente, ti avrò comunque privato del mio aiuto, ma potrai raggiungere la scialuppa e sopravvivere.

Scobie le afferrò le mani, ma i pugni non si disserrarono.

— Se immagini che lo potrei fare…

— Se non lo farai, siamo finiti entrambi — replicò lei, inflessibile, — Preferisco morire con la coscienza pulita.