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Lei attende, muta e tremante.

— Qualsiasi cosa facciamo, dobbiamo morire, Ricia. Andiamo via di qui come si conviene alla nostra razza.

— Io… no… non farò… io…

— Vedi dinnanzi a te il mezzo della tua liberazione: è tagliente, ed io sono forte. Non sentirai dolore.

— Allora, presto, Kendrick, prima ch’io sia perduta. — Si denuda il seno.

Lui affonda l’arma.

— Ti amo — le dice, mentre lei gli si affloscia ai piedi. — Ti seguo, mia adorata. — Libera l’acciaio, punta l’asta contro il muro e si precipita sulla lancia, cadendo accanto alla Principessa. — Ora siamo liberi.

— È stato… un incubo. — La voce della Broberg sembrava quella di una sonnambula.

— Necessario, credo, per entrambi. — La voce di Scobie tremava. Teneva lo sguardo fisso dinnanzi a sé, lasciando che Saturno lo riempisse di luce abbagliante. — Altrimenti avremmo continuato ad essere… pazzi? Forse no, come definizione. Ma non saremmo neppure stati nella realtà.

— Sarebbe stato più facile — mormorò la donna. — Non ci saremmo accorti di morire.

— Lo avresti preferito?

La Broberg rabbrividì, ed il rilassamento nei suoi lineamenti cedette il posto alla stessa tensione presente sul volto di lui.

— Oh, no! — rispose, con voce molto bassa ma del tutta cosciente. — No, avevi ragione, naturalmente. Grazie per il tuo coraggio.

— Hai sempre avuto altrettanto coraggio quanto chiunque altro, Jean. Solo che devi avere più immaginazione di me. — La mano di Scobie tranciò lo spazio vuoto in un gesto che accantonava la questione. — Bene, dovremmo chiamare il povero Mark ed informarlo, ma prima… prima… — Le sue parole persero la cadenza che le animava.

— Cosa, Colin? — chiese lei, stringendogli la mano guantata.

— Decidiamo a proposito di quella terza cellula… quella di Luis — disse lui con difficoltà, continuando a fissare il grande pianeta anellato. — In effetti, la decisione spetta a te, anche se possiamo discutere la cosa, se lo desideri. Non voglio usarla solo per guadagnare qualche altra ora, e non intendo dividerla, perché questo renderebbe peggiore il trapasso per entrambi. Suggerisco tuttavia che la usi tu.

— Per sedere accanto al tuo cadavere congelato? No, non ne sentirei neppure il calore, non nelle ossa…

La donna si girò verso di lui talmente di scatto che per poco non cadde giù dal pinnacolo, e Scobie la dovette afferrare.

— Calore! — gridò lei, con voce acuta come il richiamo di un falco in volo. — Colin, riporteremo le ossa a casa!

— In effetti — disse Danzig, — mi sono arrampicato sopra lo scafo, ed ora sono abbastanza in alto da poter vedere sopra quei costoni e spuntoni, e riesco a scorgere l’intero orizzonte.

— Bene — grugnì Scobie. — Preparati ad esplorare rapidamente un cerchio completo. Questo dipende da un mucchio di fattori che non possiamo prevedere. Il segnale non sarà certo grosso come quello che hai preparato tu: può essere sottile e di breve durata, e, naturalmente, può sollevarsi troppo poco nell’aria per essere visibile alla tua distanza. — Scobie si schiarì la gola. — In quel caso, per noi due sarà la fine, ma avremo fatto un tentativo, il che è già grandioso di per sé.

Scobie tirò fuori la cellula d’energia: il dono di Garcilaso. Un massiccio pezzo di cavo, privato dell’isolante, congiungeva le due spine, e, senza un regolatore, l’unità riversava la sua massima energia attraverso quel cortocircuito, tanto che il filo era già incandescente.

— Sei certo di non volere che lo faccia io, Colin? — chiese la Broberg. — La tua costola…

— Sono ugualmente meglio strutturato dalla natura per lanciare le cose — replicò Scobie con un sorriso distorto. — Concedi almeno questo all’arroganza maschile: l’idea brillante è stata tutta tua.

— Avrebbe dovuto essere ovvio fin dall’inizio — replicò lei, — e credo che lo sarebbe stato, se non fossimo stati accecati dal nostro sogno.

— Hmmm. Spesso le risposte più semplici sono quelle più difficili da trovare. Inoltre, dovevamo arrivare fin qui, altrimenti non sarebbe servito a nulla, ed il gioco ci ha aiutati moltissimo… Sei pronto, Mark? Tira…!

Scobie tirò la cellula come fosse stata una palla da baseball, uno strattone lungo ed energico nella scarsa gravità di Iapetus. Roteando, la cellula tracciò dinnanzi allo sguardo una magica ragnatela con il suo cavo incandescente, quindi andò ad atterrare da qualche parte oltre il bordo, sul ghiacciaio.

Gas gelati si vaporizzarono, salirono vorticando e si ricondensarono brevemente prima di disperdersi. Il geyser si levò bianco contro le stelle.

— Vi vedo! — strillò Danzig. — Vedo il vostro segnale, mi sono orientato e mi metterò immediatamente in marcia, con la corda e le unità d’energia di scorta e tutto il resto!

Scobie si accasciò al suolo stringendosi il fianco sinistro, e la Broberg s’inginocchiò e lo abbracciò, come se uno di loro due potesse alleviare la sua sofferenza. Non aveva molta importanza: non avrebbe sofferto ancora per molto.

— Quanto pensi sia salita in alto la nuvoletta? — chiese Danzig, più calmo.

— Circa un centinaio di metri — precisò la Broberg, dopo aver riflettuto.

— Oh, dannazione, questi guanti rendono difficile manovrare il calcolatore… Bene, a giudicare da quello che ho osservato, devo essere dai dieci ai quindici klicks di distanza da voi. Concedetemi un’ora o poco più per arrivare là e trovare la vostra esatta posizione. Va bene?

— Sì, per un pelo — rispose la Broberg, dopo aver controllato i dati. — Abbasseremo i nostri termostati e rimarremo seduti e fermi per ridurre la richiesta di ossigeno. Avremo freddo, ma sopravviveremo.

— Può darsi che ci metta di meno — osservò Danzig. — Quello era il calcolo dell’eventualità peggiore. D’accordo, parto. Niente più conversazione fino a quando c’incontreremo. Non intendo correre rischi sciocchi, ma avrò bisogno di tutto il mio fiato per fare in fretta.

Debolmente, i due che attendevano lo sentirono respirare, poi udirono il passo affrettato dei suoi stivali. Il geyser di ghiaccio si estinse.

Rimasero seduti, circondandosi a vicenda la vita con le braccia, contemplando la gloria che li circondava. Dopo un periodo di silenzio, l’uomo disse:

— Bene, suppongo che questo segni la fine del gioco. Per tutti.

— Deve certamente essere tenuto sotto stretto controllo — rispose la donna. — Mi chiedo, tuttavia, se lo abbandoneremo del tutto… quassù.

— Se devono, possono farlo.

— Sì. Noi ci siamo riusciti, tu ed io, non è vero?

Si volsero faccia a faccia, sotto quel cielo dominato da Saturno e costellato di stelle; nulla mitigava la luce del sole che li rivelava l’uno all’altra, lei una donna sposata di mezza età, lui un uomo comune, salvo che per la sua solitudine. Non avrebbero mai più giocato: non potevano farlo.

— Caro amico… — cominciò la donna, una perplessa compassione nello sguardo.

La mano sollevata di lui le impedì di dire altro.

— Meglio non parlare, se non è essenziale. Ci farà risparmiare un po’ di ossigeno e ci permetterà di scaldarci un po’ di più. Vogliamo provare a dormire?

Gli occhi di lei si allargarono ed incupirono.

— Non oso farlo — confessò. — Non fino a che sarà trascorso abbastanza tempo. In questo momento, potrei sognare.