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— Non posso… — L’ira si era impadronita di lui. — No, dannazione! — ruggì.

— Allora addio, Colin — concluse Delia, ed uscì, lasciandolo a fissare per parecchi minuti la porta che si era richiusa alle spalle.

Al contrario dei grossi velivoli per l’esplorazione delle vicinanze di Titano e Saturno, i moduli per l’atterraggio su lune prive di atmosfera erano semplici moduli di trasporto Luna-spazio modificati, affidabili, ma con capacità limitate. Quando la forma massiccia fu scomparsa oltre l’orizzonte, Garcilaso annunciò alla radio:

— Abbiamo perso di vista il modulo, Mark, e devo dire che questo migliora il panorama. — Uno dei microsatelliti di comunicazione che erano stati lanciati in orbita trasmise le sue parole.

— Allora farete meglio a cominciare a segnare la strada — rammentò Danzig.

— Via, via, sei proprio uno che si preoccupa, vero! — Comunque, Garcilaso si tolse dalla cintura la pistola a schizzo e tracciò sul terreno un vivido cerchio di vernice fluorescente, cosa che avrebbe fatto nuovamente ad intervalli fino a che il gruppo avesse raggiunto il ghiacciaio. Salvo i punti in cui la polvere era fitta sul suolo, le impronte lasciate dai tre erano leggiere a causa della scarsa gravità, ed addirittura assenti quando c’era da camminare su un tratto di roccia.

Camminare? No, balzare. I tre si avviarono a grandi balzi, ben poco ostacolati dalle tute spaziali, dalle unità di supporto vitale, dagli attrezzi e dalle razioni. Il terreno nudo fuggì dinnanzi alla loro fretta, ed il ghiaccio si fece sempre più alto, chiaro, glorioso a vedersi, incombente.

Non c’era davvero modo per descriverlo. Si poteva parlare di pendii più bassi e di cime più elevate fino ad un’altitudine di un centinaio di metri, con vette che torreggiavano ancora più su. Si poteva parlare di forme graziosamente incurvate che collegavano quelle vette, di parapetti di merletto e crepacci, ed aperture arcuate di grotte piene di meraviglie, di misteriosi azzurri nel profondo e di verdi là dove la luce scorreva attraverso sostanze traslucenti, di un bagliore di gemme sul candore dove luce ed ombre intrecciavano danze… e nulla di tutto questo avrebbe trasmesso una descrizione più efficace del precedente paragone, sia pure inadeguato, fatto da Scobie con il Gran Canyon.

— Fermi — disse per la dodicesima volta. — Voglio scattare qualche fotografia.

— Riuscirà a comprenderle chi non è stato qui? — sussurrò la Broberg.

— Probabilmente no — replicò Garcilaso con la stessa voce sommessa, — forse non comprenderà mai nessun altro eccetto noi tre.

— Cosa vuoi dire con questo? — chiese Danzig.

— Non importa — scattò Scobie.

— Credo di saperlo — replicò il chimico. — Sì, è uno scenario grandioso, ma voi vi state lasciando ipnotizzare.

— Se non la smetti con queste ciance — lo ammonì Scobie, — ti taglierò fuori dal circuito. Dannazione, abbiamo del lavoro da fare, smettila di starci addosso.

— Scusa — sospirò Danzig. — Uh, avete trovato qualche indizio sulla natura di quella… quella cosa?

— Ecco — fece Scobie, un po’ ammorbidito, mettendo a fuoco la sua telecamera, — la differenza di sfumature e composizione, e l’indubbia differenza di forme sembrano confermare quello che gli spettri riflessi delle sonde avevano suggerito. La composizione è un misto, una mescolanza casuale o tutte e due le cose insieme di svariati materiali, e varia da un punto all’altro. La presenza del ghiaccio d’acqua è ovvia, ma sono sicuro anche del diossido di carbonio e scommetterei che ci sono pure ammoniaca, metano e forse quantità minori di altre sostanze.

— Metano? Ma può rimanere solido, a temperatura ambiente, nel vuoto?

— Dovremo verificarlo. Comunque, scommetterei che per la maggior parte del tempo la temperatura è sufficientemente bassa, almeno per gli strati di metano che si trovano giù nell’interno e sottoposti a pressione.

Dentro l’elmetto trasparente, i lineamenti della Broberg si atteggiarono ad entusiasmo.

— Aspetta! — esclamò. — Ho un’idea… su cosa può essere accaduto alla sonda che è atterrata. — Trasse il fiato. — Ricorderai che è scesa quasi ai piedi del ghiacciaio. La nostra visuale del luogo dallo spazio sembrava indicare che fosse stata sepolta da una valanga, ma non siamo riusciti a capire cosa potesse averla provocata. Ebbene, supponiamo che uno strato di metano collocato proprio nel punto sbagliato, si sia furo: il calore delle radiazioni dei motori può averlo riscaldato, e più tardi il raggio radar impiegato per ottenere i contorni della mappa deve aver aggiunto i pochi gradi necessari. Lo strato si è fuso e tutto quello che c’era sopra è precipitato giù.

— È plausibile — ammise Scobie. — Congratulazioni, Jean.

— Nessuno aveva pensato in anticipo a questa possibilità? — derise Garcilaso. — Che razza di scienziati abbiamo con noi?

— Scienziati che si sono trovati stracarichi di lavoro dopo che abbiamo raggiunto Saturno, ed ancora di più per l’afflusso dei dati — rispose Scobie. — L’universo è più grande di quanto vi rendiate conto tu o chiunque altro, testa calda.

— Oh, certo, senza offesa.! Lo sguardo di Garcilaso tornò a posarsi sul ghiaccio. — Sì, non esauriremo mai i misteri, vero?

— Mai. — Gli occhi ardenti della Broberg si erano fatti enormi. — Al cuore di tutte le cose ci sarà sempre la magia. Il Re Elfo regna…

— Smettetela di cianciare e muoviamoci — ordinò secco Scobie, riponendo in tasca la telecamera.

Il suo sguardo incontrò per un momento quello della Broberg: nella strana luce incerta era possibile vedere che la donna era impallidita e poi arrossita, prima di balzare accanto a lui.

Ricia era andata da sola nel Bosco Lunare nella Sera di Mezz’Estate. Il Re l’aveva trovata là e l’aveva presa per sé come lei sperava. L’estasi si era tramutata in terrore quando poi lui l’aveva portata via; eppure, la sua prigionia nella Città di Ghiaccio le aveva arrecato molte altre ore come quelle, e bellezze e meraviglie ignote ai mortali. Alvarlan, il suo mentore, aveva inviato il proprio spirito a cercarla, ed era lui stesso perplesso di fronte a ciò che aveva scoperto. Gli era costato uno sforzo di volontà rivelare a Sir Kendrick delle Isole dove lei si trovasse, quantunque questi si fosse impegnato ad aiutare a liberarla.

N’Kuma l’Uccisore di Leoni, Béla del Confine Orientale, Karina del Lontano Ovest, Lady Aurelia, Olav Maestro d’Arpa: nessuno di costoro era stato presente quando ciò era accaduto.

Il ghiacciaio (un nome errato per qualcosa che poteva non aver paragone in tutto il Sistema Solare) sorgeva dalla pianura, improvviso come un muro. Stando fermi là, i tre non potevano più scorgere le sue vette, ma potevano vedere che il pendio, che si curvava ripido in alto fino ad una cima filigranata, non era liscio. Le ombre giacevano azzurre in innumerevoli piccoli crateri, ed il sole era salito abbastanza in alto da crearle. Un giorno su Iapetus equivaleva a settantanove giorni terrestri. La domanda di Danzig gracchiò nei loro microfoni.

— Adesso siete soddisfatti? Volete tornare prima che un’altra valanga vi investa?

— Non succederà — rispose Scobie. — Noi non siamo un veicolo, e la configurazione locale è evidentemente stabile da secoli. Inoltre, che senso ha una spedizione umana se nessuno svolge indagini?

— Vedo se riesco ad arrampicarmi — si offrì Garcilaso.

— No, aspetta — ordinò Scobie. — Io ho una certa esperienza in fatto di montagne e di banchi di neve, per quel che può valere qui. Lascia a me il compito di trovare prima una strada adeguata.

— Volete andare su quella roba, tutti quanti? — esplose Danzig. — Avete perso completamente la testa?

— Mark, ti avverto di nuovo. — Le labbra e le sopracciglia di Scobie si serrarono. — Se non tieni le tue emozioni sotto controllo ti taglieremo fuori. Procederemo per un tratto, se io decido che la via è sicura.