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Finalmente l’auto si fermò, con il muso puntato nella direzione verso cui erano diretti; il SUV nero era appena poco più avanti e si stava allontanando, avendo apparentemente deciso di rinunciare allo scontro. Michelle aprì il fuoco, e i pneumatici posteriori del SUV scoppiarono e si disintegrarono sotto la forza lacerante dei proiettili. Il veicolo iniziò a sbandare pericolosamente, entrò in un testacoda e poi fece quello che la Lexus si era risolutamente rifiutata di fare: si ribaltò rotolando su se stesso in corsa. Tre vibranti giravolte e alla fine si fermò di schianto in posizione capovolta sul ciglio sinistro della strada, un centinaio di metri più avanti, con una turbolenta scia di pezzi e frammenti di metallo, vetro e copertoni dietro di sé.

King diede un’accelerata in avanti per portarsi più vicino, per quel che gli concesse la sua coupé ormai in rottami, mentre Michelle scivolava sul sedile accanto a lui. «Sean?»

«Cosa?»

«Ora puoi lasciarmi la gamba.»

«Come? Ah, sì, giusto.» King mollò la presa ferrea.

«Lo so. Anch’io ero terrorizzata.» Michelle gli riservò un’affettuosa stretta alla mano libera mentre si guardavano negli occhi sospirando di sollievo.

«Caspita, lei sì che sa guidare, agente King» disse Michelle con riconoscenza.

«Sinceramente, spero che sia l’ultima volta che sono costretto a farlo.»

Arrivarono vicini ai rottami del fuoristrada ribaltato e scesero. Avanzarono adagio verso la vettura immobile; Michelle aveva la pistola puntata e pronta. King riuscì a scardinare la portiera tutta ammaccata del conducente.

L’uomo cadde quasi loro addosso.

Michelle era pronta a sparare, ma poi rilassò il dito teso sul grilletto.

Il conducente era a testa in giù, parzialmente trattenuto dalla cintura di sicurezza. Quando King aveva aperto la portiera, l’uomo era caduto a corpo morto fuori dall’apertura.

La testa era talmente maciullata e sanguinante che King non si diede la pena di controllare il polso.

«Chi è?» domandò Michelle.

«Non saprei dire. È così buio qui. Aspetta un attimo.» Tornò alla Lexus, salì a bordo e la manovrò in modo che i fari puntassero direttamente sul morto.

Guardarono il corpo stagliato nella luce quasi accecante.

Era Roger Canney.

77

Alle dieci di mattina la grande roulotte dei Deaver era deserta. I bambini erano tornati a scuola, e Lulu era al lavoro. Priscilla Oxley era andata in macchina a un emporio in cerca di sigarette e di qualche altra bottiglia di acqua tonica per allungare la sua amata vodka. Nel frattempo, un camioncino era parcheggiato dietro un filare di alberi lungo la strada asfaltata che portava allo sterrato dove era situata la roulotte. L’uomo al volante aveva osservato Priscilla allontanarsi a tutta birra a bordo della sua Ford LTD, con una sigaretta in una mano e un cellulare nell’altra, tenendo il volante tra le grasse ginocchia con le fossette.

L’uomo scese immediatamente e si fece strada attraverso il boschetto finché non arrivò ai margini della radura in prossimità della roulotte. Luther, il vecchio cane, uscì dalla sua cuccia per stiracchiarsi, allungò il collo in direzione dello sconosciuto non appena ne avvertì l’odore, gli concesse un’unica abbaiata stanca e tornò a ritirarsi nella sua cuccia. Un minuto dopo l’uomo era dentro la roulotte, dopo aver forzato la semplice serratura della porta d’ingresso, e trovò rapidamente la piccola camera da letto-ufficio situata a un’estremità.

Junior Deaver non era mai stato un grande imprenditore, e come archivista era stato anche peggio; fortunatamente però sua moglie eccelleva in entrambi i campi. Lo schedario della piccola impresa di costruzioni di Junior era in buon ordine e facilmente accessibile. Con un orecchio teso nell’eventualità che arrivasse qualcuno, l’uomo esaminò uno dopo l’altro i raccoglitori, che erano opportunamente sistemati in ordine cronologico. Quando ebbe terminato, notò che aveva compilato un elenco abbastanza lungo. Doveva per forza essere una di quelle persone.

Piegò l’elenco e lo rispose in tasca, dopo di che rimise a posto tutti i raccoglitori, risistemandoli in bell’ordine. Poi se ne andò da dove era venuto. Mentre risaliva a bordo del suo camioncino, Priscilla Oxley sfrecciò sulla strada di ritorno dall’emporio con la sua scorta di sigarette e di acqua tonica. Donna fortunata, pensò. Cinque minuti prima e sarebbe morta.

L’uomo ripartì, con il prezioso elenco in tasca. Ripensò al furto di cui Junior Deaver era stato accusato ingiustamente. Cercò di ricordare ogni dettaglio. Decisamente gli sfuggiva qualche cosa. Con la stessa disposizione d’animo rimuginò a fondo sulle circostanze della morte di Bobby Battle. Di chi non si era tenuto conto tra coloro che potevano aver voluto morto quel bastardo? C’erano diversi sospettati, nessuno dei quali era davvero convinto potesse aver ucciso il vecchio. Ci volevano nervi saldi e conoscenza, attributi che lui possedeva in abbondanza e che rispettava negli altri. Si augurò che venisse il giorno in cui avrebbe potuto esprimere la propria ammirazione all’impostore, un istante prima di tagliargli la gola.

Forse avrebbe dovuto costringere Sally a parlare prima di ucciderla. Però tutto sommato cosa poteva sapere, in effetti? Aveva rivelato di essere stata con Junior. I due avevano scopato a tutto spiano. Sally era una cretina che preferiva trascorrere le sue giornate con delle bestie a quattro zampe e le sue notti con altri bestioni a due zampe. Si era meritata la morte rapida che aveva ricevuto. Che cosa cambia con una Sally Wainwright in meno al mondo? si domandò.

Finora aveva ucciso sei persone, di cui una per errore: uno sbaglio per il quale aveva fatto ammenda, almeno a modo suo. Non poteva di certo tirar fuori il rosario e cospargersi il capo di cenere solo per questo: nessun confessionale avrebbe potuto contenere i suoi peccati. Aveva fallito nel tentativo di eliminare Sean King e Michelle Maxwell, uno smacco che gli bruciava enormemente. Senza dubbio quei due ormai formulavano nuove ipotesi a ruota libera su come stavano realmente andando i fatti, e da un giorno all’altro si sarebbero potuti imbattere nella soluzione dell’enigma. Per quanto potesse sembrare complicato, quella coppia poteva benissimo immaginare la verità e rovinare tutto. Sarebbe stato un grosso rischio, ma avrebbe per forza dovuto tentare di nuovo di ucciderli, stavolta in modo da non fallire. Ci sarebbe voluto del tempo per trovare l’occasione giusta; nel frattempo avrebbe prestato la massima attenzione alle informazioni che carpiva grazie alle microspie installate nelle loro abitazioni, cercando di precederli sempre di un soffio. Sarebbe stato arduo, ma se non avesse perso la testa e si fosse attenuto rigorosamente al suo piano, tutto si sarebbe risolto per il meglio.

Confidava nella propria vittoria. Aveva il vantaggio che gli derivava dal maggior potere al mondo: pur di ottenere la vittoria finale non aveva paura di morire. Dubitava che per i suoi avversari fosse lo stesso.

Eppure ora doveva mettere in atto un’altra parte essenziale del suo piano.

Una sicura via di scampo.