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«Non mi stancherò mai di ripetere alla mamma che se ha intenzione di restare qui, avrà bisogno di un ascensore.»

«Salir le scale è un ottimo esercizio» fece notare Michelle.

«Non darle retta» disse King. «Fatevi mettere l’ascensore.»

Savannah aprì la porta della camera da letto di sua madre e restò come paralizzata. «Oh» esclamò. «Cosa ci fai qui?»

King le passò davanti e squadrò Mason con sospetto.

Il maggiordomo sostenne i loro sguardi imperturbabilmente. «Stavo solo dando una ripulita alla camera di sua madre, Savannah. Di rado le domestiche fanno un buon lavoro.» Poi fu il suo turno di fissare con sospetto King e Michelle. «Posso esservi utile in qualcosa?»

«Ehm» esordì Savannah, mordendosi il labbro inferiore con gli incisivi superiori.

«State sgocciolando sul tappeto» fece notare Mason.

«Stavamo facendo il bagno nel lago» spiegò Michelle.

«Magnifica giornata per nuotare.» L’uomo continuò a fissarli con espressione interrogativa.

«Siamo venuti a dare un’altra occhiata al guardaroba di Remmy, Mason» disse King. «Fa parte dell’inchiesta.»

«Ma pensavo che, siccome il signor Deaver è morto, il caso fosse chiuso.»

«Si sarebbe portati a crederlo, vero?» ribatté King cortesemente. «Ma in realtà non è così.»

Mason si rivolse a Savannah. «Ha chiesto il permesso a sua madre?»

King si affrettò a rispondere: «Remmy ci aveva accompagnato qui già una volta, Mason. Non voglio credere che abbia problemi a permettercelo una seconda volta».

«Preferisco sempre essere assolutamente sicuro in queste cose, Sean.»

«Vede, siccome sappiamo che non è stato Junior a commettere il furto e che Remmy ormai è amica della vedova Deaver, tocca a noi scoprire chi ha rubato quelle cose. Naturalmente è interesse di Remmy assicurarsi che ciò accada. Ma se vuole telefonarle e disturbarla mentre è in riunione con i suoi avvocati per discutere delle tasse di successione… benissimo. Aspetteremo qui.»

Mason ponderò a lungo la questione. Alla fine si strinse nelle spalle. «Non penso che ci siano problemi. State solo attenti a non sporcare niente. Mrs Battle è molto pignola.»

«Sì, lo so» ribatté King.

Mason li lasciò soli, e i tre andarono immediatamente nel guardaroba di Remmy. Aprirono lo scomparto segreto, estrassero il cassetto, lo esaminarono minuziosamente, ma non trovarono nulla.

«Forse avrete più fortuna nella stanza di papà» disse Savannah.

Uscendo dal guardaroba, King si fermò a osservare alcune fotografie in cornice sulla mensola oltre il letto di Remmy. Savannah si fermò al suo fianco.

«Quella sono io a dodici anni, brutta e grassottella. Dio, mi sento ancora sui denti quell’orribile apparecchio.»

King esaminò un’altra fotografia, più vecchia, con due bambini.

Savannah spiegò chi erano: «Eddie e Bobby Jr. Non l’ho mai conosciuto, naturalmente. È morto prima che io nascessi. No, scusa, quello a sinistra è Eddie e questo a destra è Bobby Jr». Sembrava ancora incerta. «Oh be’, è imbarazzante non riconoscere un tuo consanguineo.»

«Be’, erano gemelli» disse King, rimettendo a posto la fotografia.

Si trasferirono in camera di Bobby ma neppure lì ebbero successo, almeno non subito. Ma mentre esaminava centimetro per centimetro il cassetto dello scomparto segreto, a un tratto King si irrigidì. «Non avresti una torcia elettrica?» domandò a Savannah.

«Mamma ne tiene una nel comodino nel caso che salti la corrente.» Savannah andò a prenderla di corsa e tornò subito.

King la accese e la puntò nel cassetto. «Guardate qui.» Tre paia di occhi sbirciarono dentro il cassetto.

«Sembrano delle lettere» osservò Michelle.

«Questa è decisamente una k, e quest’altra una c oppure una o

Michelle osservò più da vicino. «Poi c’è un po’ di spazio, e c’è una p seguita da quella che sembra una a oppure una o

King si raddrizzò, pensieroso. «Pare che qualcosa giacesse sul fondo del cassetto e quelle lettere in qualche modo abbiano macchiato il legno, restando impresse.»

«Il legno potrebbe essersi bagnato con qualcosa» suggerì Savannah.

King abbassò la testa nel cassetto e annusò a lungo il legno. Poi guardò Savannah. «Tuo padre beveva alcolici in camera?»

«Se papà beveva? In quel mobile a credenza oltre il letto aveva tutto un bar. Perché?»

«Perché il cassetto puzza di scotch.»

«Questo potrebbe spiegare l’umidità» disse Michelle, che annusò a sua volta dentro il cassetto. «Stava guardando qualcosa, ha rovesciato accidentalmente nel cassetto il bicchiere che aveva in mano e le lettere si sono trasferite dalla carta al fondo di legno.»

King andò nella camera da letto e tornò con penna e carta prese dallo scrittoio di Bobby Battle. Copiò sul foglio le lettere, con gli spazi approssimativi in mezzo.

Kc____________________ pa, Ko____________________ pa, Ko____________________ po

«Kc-pa, Ko-pa, o Ko-po» lesse lentamente. «Ti dice niente?» Savannah scosse il capo.

«Ovviamente, mancano delle lettere» disse Michelle. «Se stessimo giocando a La ruota della fortuna a questo punto chiederei un paio di vocali. Tu cosa ne pensi, Sean?»

King prese tempo prima di rispondere. «In un modo o nell’altro potrebbe essere la chiave del mistero, se solo riuscissi a scoprirne il significato.»

Michelle ebbe un’improvvisa ispirazione. Mentre Savannah esaminava le lettere trascritte da King, Michelle bisbigliò all’orecchio del suo collega: «Si tratta forse del testamento olografo di cui sospetta l’esistenza Harry?».

Nessuno di loro udì la porta della camera da letto chiudersi adagio alle spalle della persona che aveva origliato fino a quel momento. Né udirono i passi felpati che risalivano il corridoio verso le scale.

80

Sean King si sedette di scatto sul letto, come se qualcuno lo avesse svegliato di soprassalto con un pungolo da bestiame.

Sette ore! Mio Dio, sette ore! Ma in effetti non erano sette ore; era assai probabile che fossero di più. Il riferimento alle sette lo aveva fatto pensare all’assassinio di Sally. Era morta all’incirca sette ore dopo avergli raccontato di Junior. Era un punto di fondamentale importanza. Tuttavia, l’arco temporale di sette ore in quel preciso istante gli aveva fatto percepire un fatto strabiliante, talmente sorprendente che con quell’unica rivelazione tutti gli altri elementi del rompicapo cominciavano a tornare al loro posto.

Annaspò in cerca dell’orologio sul comodino. Era l’una di notte. Si alzò barcollante dal suo letto, inciampò su qualcosa che Michelle aveva negligentemente abbandonato sul pavimento della stanza degli ospiti e cadde per terra afferrandosi l’alluce dolorante. Cercò a tastoni intorno a sé e trovò l’oggetto. Era un manubrio da dieci chilogrammi.

«Cristo santo!» imprecò, rivolgendosi a nessuno in particolare. Si rialzò, si massaggiò il piede e percorse zoppicando il corridoio fino alla camera da letto di Michelle. Stava per irrompervi di slancio quando ci ripensò. Sorprendere Michelle Maxwell in quel modo e a quell’ora di notte poteva procurargli un biglietto di sola andata per l’obitorio.

Bussò con discrezione alla porta. «Sei coperta?»

Una voce assonnata filtrò attraverso i due centimetri di legno della porta. «Cosa c’è?»

«Se hai ancora l’abitudine di tenere sotto il cuscino quella mitraglietta da 50 mm vedi di non usarla. Vengo in pace.»

Entrò in camera e accese la luce. Michelle era seduta sul letto e si sfregava gli occhi.