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«Mi piace il tuo gusto per la lingerie» commentò, osservando la sformata felpa grigia sulla quale campeggiava l’acronimo WIFLE — Women in Federal Law Enforcements, cioè l’Associazione degli agenti femminili delle forze dell’ordine federali — indossata dalla sua collega. «Mettitela in viaggio di nozze e il tuo maritino non ti lascerà più alzare dal talamo coniugale.»

Michelle lo fulminò con un’occhiataccia. «È per questo che mi hai svegliata in piena notte? Per criticare il mio pigiama?»

King si sedette sulla sponda del letto. «No, mi occorre che tu faccia una certa cosa mentre sono via.»

«Via? Dove?»

«Devo andare a controllare alcune cose.»

«Vengo con te.»

«No. Mi servi di più qui. Preferisco che tu tenga d’occhio i Battle.»

«I Battle? Chi in particolare?»

«Tutti.»

«E come pensi che lo possa fare?»

«Telefonerò a Remmy e le dirò che ci sono altre domande urgenti da fare. Lei riunirà tutti alla villa e questo ti faciliterà le cose.»

«Che domande dovrei fare?»

«Ti verranno in mente una quantità di cose, non preoccuparti.»

Michelle incrociò le braccia e lo fissò ostinatamente. «Che cosa diavolo ti passa per la testa?»

«Di preciso non so ancora, ma mi serve assolutamente che tu faccia come dico.»

«Mi nascondi ancora qualcosa. Sai che detesto questo tuo atteggiamento.»

«Non so ancora niente di preciso, ti ripeto. Ma sarai la prima a esserne informata, te lo giuro.»

«Vuoi almeno dirmi che cosa andrai a verificare?»

«D’accordo. Farò controllare il referto dell’autopsia di Bobby a un mio amico.»

«Perché?»

«Poi» proseguì King, ignorando la domanda «andrò all’ospedale della University of Virginia per effettuare una ricerca su certi narcotici. Poi andrò in una bottega di antiquariato.»

Michelle inarcò le sopracciglia. «Antiquariato?»

«Quindi andrò a far visita al medico di fiducia di Bobby Battle. Ho da porgli alcune domande che potrebbero chiarire molte cose. Infine, ma ugualmente importante, farò una scappata a Washington per procurarmi un certo aggeggio che potrebbe esserci di enorme aiuto.»

«Tutto qui quello che hai da dirmi?»

«Sì.»

«Ti ringrazio per la fiducia.»

King si alzò dal letto. «Sta’ a sentire, Michelle, se ti dicessi esattamente ciò che ho in mente, e risultasse poi completamente errato, questo potrebbe farti confidare nella persona sbagliata. Finché non saprò se ho ragione o torto, tieni a mente solo questo: finché non cattureremo l’assassino, non fidarti di nessuno. E intendo proprio nessuno.»

Michelle lo fissò negli occhi a lungo. «Stai cercando di spaventarmi?»

«No, cerco solo di proteggere entrambi. Hanno già tentato due volte di ammazzarci. Non vorrei che qualcuno ci prendesse gusto.»

81

Mentre King aveva la sua epifania a notte fonda e teneva una riunione con Michelle, un uomo dalle intenzioni omicide si era intrufolato nella residenza di Jean e Harold Robinson. Con il capo coperto da un cappuccio nero, aveva aperto la porta chiusa dello scantinato ed era entrato in punta di piedi. Era facile quando si aveva la chiave, e lui l’aveva, avendo utilizzato i calchi presi fuori dal centro commerciale per farsene una copia. Prima di entrare in casa aveva tagliato i fili del telefono. Una volta dentro, salì rapidamente le scale, avendo studiato la casa con cura. Era occupata da quattro persone, e lui sapeva dove dormiva ognuna di esse, avendo tenuto l’abitazione sotto osservazione dall’esterno più di una volta. Per precauzione, poi, aveva studiato lo schema della casa che si trovava sul sito web dell’impresa costruttrice.

Come aveva dedotto al centro commerciale in cui aveva osservato per la prima volta la mamma patita di calcio, la signora Jean Robinson, la famiglia aveva un sistema d’allarme antifurto ma non lo utilizzava. I tre figli — il bebè che aveva salutato nel parcheggio e due più grandicelli — dormivano nelle loro camerette al piano superiore. Moglie e marito avevano una camera matrimoniale a pianoterra, solo che il marito non era in casa, il che spiegava il motivo della sua visita notturna.

L’impianto di riscaldamento si accese automaticamente con un tremolio, inondando la casa d’aria calda. Coperto da quel ronzio, percorse rapidamente il corridoio fino alla camera matrimoniale. Restò in ascolto davanti alla porta contando mentalmente fino a tre. L’unica cosa che udì fu il russare sommesso della signora Robinson, in attesa inconsapevole del suo assassino, un individuo che le era del tutto sconosciuto. Aprì la porta, entrò e richiuse adagio alle sue spalle. I suoi occhi si erano già da tempo abituati al buio. Jean Robinson era una piccola montagnola sul lato sinistro del letto matrimoniale. Indossava una semplice camicia da notte bianca. L’aveva spiata dalla finestra mentre si cambiava. Quando si spogliava, la signora aveva la pessima abitudine di non chiudere mai gli scuri e di lasciare la luce accesa. Siccome la finestra si apriva sul giardino posteriore, probabilmente era convinta di mantenere la riservatezza. Naturalmente era un’idea sbagliata, dato che la maggior parte della gente non godeva affatto di alcuna privacy. C’era sempre qualcuno che guardava di nascosto. Sempre.

La signora Robinson era tornata in forma in fretta dopo la terza gravidanza. Il suo ventre era di nuovo piatto, i seni ancora grandi per via dell’allattamento, le gambe snelle, il alletto prominente ma in modo molto attraente. Senza dubbio suo marito l’amava, e la coppia aveva una sana vita sessuale. Però tutto questo che importanza aveva? Non era venuto lì per stuprarla. Soltanto per ucciderla.

Il bavaglio le riempì la bocca in una frazione di secondo, impedendole qualsiasi verso. Dopo un attimo di confusione riguardo a ciò che le stava capitando, tese istintivamente ogni muscolo del corpo. L’uomo la assalì da dietro, schiacciandola sul letto sotto di sé. Eppure la donna era più forte di quel che avrebbe immaginato; cominciò a reagire, lottando per difendersi. Allungò una mano indietro, gli afferrò il cappuccio e glielo strappò dal capo.

L’uomo fu colto dal panico e le sbatté la testa contro il legno della testata, una volta, due volte, tre volte, finché non la sentì afflosciarsi. Un’altra botta contro il legno di rovere e l’uomo ebbe l’impressione di sentire il cranio che si fratturava, ammesso che si possa udire una cosa simile. Tenendola inchiodata a faccia in giù con un avambraccio premuto sopra il collo, cercò freneticamente il cappuccio con la mano libera. Lo trovò nel pugno ancora stretto della sua vittima. Liberatolo con uno strattone, se lo rimise in testa. Infilato un braccio sotto il collo e uno sotto la vita del corpo esanime, sollevò la donna dal letto e le sbatté il capo con violenza contro il legno della testata un’ultima volta.

La rigirò supina e le esaminò gli occhi. Erano sbarrati, vitrei, senza vita. Il sangue colava dalla testa fracassata, macchiandole i seni scoperti. Le alzò completamente la camicia da notte fino al collo, la strappò via dalla testa e la scagliò all’altro capo della stanza. Sollevò il corpo nudo e lo adagiò sul pavimento. Prese il coltello che aveva prelevato nella cucina dei Robinson e procedette a inciderle la pelle con una complicata serie di tagli. Stavolta la polizia non avrebbe avuto problemi a indovinare, pensò mentre era all’opera. Correndo un rischio calcolato, accese l’abat-jour sul comodino e usò la lama del coltello per pulirle le unghie, estraendo minuscole fibre tessili provenienti dal suo cappuccio, che ripose in tasca.

Prese l’orologio da polso della donna dal piano del comodino, lo regolò sulle sei, tirò fuori il perno della corona perché si fermasse e lo allacciò al polso della sua vittima.

Quand’ebbe terminato, controllò il polso al cadavere, tanto per essere sicuro. Nessuna pulsazione. Per sempre. Jean Robinson aveva cessato di essere al mondo. Prossima fermata per lei: il tavolo della macellaia con tanto di licenza: la dottoressa Diaz. Ora Harold Robinson era vedovo con tre figli ancora in tenera età. E la vita sarebbe continuata come sempre, il che dimostrava in pieno la sua teoria secondo la quale nulla contava veramente. Nessuno è insostituibile.