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Raccolse dal pavimento la camicia da notte, sulla quale potevano essere rimaste alcune sue tracce, e se la ficcò a fatica in una tasca. Stavolta non poteva concedersi il lusso di passarsi sui vestiti un aspirapolvere portatile, a causa degli altri tre occupanti della casa. Era già stato abbastanza fortunato che i due figli più grandicelli non si fossero svegliati per i colpi inferti alla testa della loro mamma fino a ucciderla.

Si voltò un’ultima volta a esaminare la sua opera. Sì, era tutto a posto… Un lavoro d’alta classe, in effetti.

Here’s to you, Mrs Robinson.

Andò in cucina, trovò la borsetta della donna, vi pescò il cellulare, premette il tasto della rubrica, selezionò il numero che cercava e telefonò al bravo maritino che era per strada, non molto lontano da Wrightsburg. Pronunciò quattro semplici parole. «Sua moglie è morta.» Poi interruppe la comunicazione e spense il cellulare. Allungò una mano sopra una fila di armadietti pensili della cucina e recuperò la microspia che vi aveva installato durante una visita precedente. Non gli serviva più.

Ora gli restava solo un’ultima cosa da fare, dopo di che avrebbe concluso l’opera, almeno per quella notte. Si avviò verso le scale che conducevano in cantina.

«Mamma?»

L’uomo col cappuccio restò come paralizzato nel corridoio, mentre la luce sul pianerottolo del primo piano si accendeva. Uno scalpiccio di passi si fece più vicino; erano passi brevi, incerti; due piedini nudi sul legno lucido dell’impiantito.

«Mamma?»

Il bambino comparve in cima alle scale e guardò in basso. In una mano stringeva il peluche che si trascinava dietro. Indossava un paio di mutandine bianche e una maglietta di Spider-Man. Si sfregava gli occhi assonnati con un piccolo pugno paffutello.

«Mamma?» ripeté ancora. Sempre guardando in basso, finalmente scorse la sagoma scura del cappuccio ai piedi delle scale.

«Papà?»

L’assassino restò là immobile e fissò il bambino. Infilò adagio in tasca una mano inguantata, stringendo le dita sull’impugnatura di un pugnale. Sarebbe finito tutto in un solo istante. Un doppio omicidio invece di un solo morto. Che importanza aveva? Madre e figlio, cosa diavolo importava? Contrasse i muscoli e si preparò a commettere un altro delitto. Però restò immobile. Continuò semplicemente a fissare l’esile figuretta in controluce. Il potenziale testimone oculare.

«Papà?» ripeté il bambino, con una vocina in cui cominciava a trapelare la paura dopo che non aveva ottenuto nessuna risposta.

L’uomo si riprese appena in tempo. «Sono io, piccolo. Torna subito a dormire.»

«Non eri partito in macchina, papà?»

«Avevo dimenticato una cosa, Tommy. Fila a letto prima di svegliare i tuoi fratelli. Sai che quando il tuo fratellino più piccolo comincia a piangere è finita. E dai a Bucky un bacino da parte mia.» Bucky era l’orsacchiotto del bambino. Se da un lato non sapeva imitare esattamente la voce del papà, conoscere il nome del bambino, sapere che aveva due fratellini anch’essi maschi ed essere al corrente di altri particolari intimi avrebbe di sicuro messo il piccolo a suo agio.

Aveva fatto accurate ricerche sulla famiglia Robinson. Sapeva quasi tutto di loro: dai soprannomi ai numeri della previdenza sociale, dai loro ristoranti preferiti agli sport praticati dai due bambini più grandi, Tommy e Jeff: Tommy giocava a baseball e Jeff a calcio. Sapeva che Harold Robinson era uscito di casa poco prima di mezzanotte, diretto a Washington… che la loro mamma li adorava… che solo pochi minuti prima li aveva privati per sempre di quella persona. Lo aveva fatto per l’unico motivo che la poverina, mentre andava a comprare latte e uova, aveva avuto la tragica sfortuna di passare davanti al suo schermo radar. Poteva capitare alla mamma di chiunque. Chiunque. Ma si dava il caso che fosse capitato alla mamma di Tommy. E del dodicenne Jeff. E del piccolo Andy, di undici mesi, che per i primi sei mesi di vita aveva sofferto di coliche. Incredibile quanti dettagli intimi la gente si lasciava sfuggire, se solo la si ascoltava. Eppure più nessuno ascoltava con un briciolo di attenzione, tranne forse i preti. E gli assassini come lui.

Lasciò il pugnale in tasca. Tommy avrebbe avuto la possibilità di crescere. Un Robinson era già abbastanza per quella notte.

«Torna a letto, piccolo» disse ancora, con maggior fermezza.

«Sì, papà. Ti voglio bene.» Il bambino si voltò e ritornò nella sua camera.

L’uomo dal cappuccio nero restò immobile a lungo, decisamente troppo a lungo, fissando lo spazio vuoto occupato fino a un momento prima dall’assonnato Tommy, lassù in cima alle scale, dove il bambino aveva detto: “Papà, ti voglio bene”. Doveva darsi alla fuga. Completare l’opera eseguendo la sua ultima incombenza. Papà, ti voglio bene.

A un tratto si vergognò per il fatto di trovarsi nella stessa casa con il bambino che gli aveva detto quella cosa, per quanto erroneamente. Si maledisse. Vattene. Vattene subito. Il marito probabilmente in questo stesso istante sta telefonando alla polizia. Vattene subito, idiota!

Di sotto, nello scantinato non ancora rifinito, puntò la luce della torcia elettrica sul tubo di scarico di un gabinetto di servizio ancora da collegare. Svitò il coperchio di plastica, si levò di tasca un sacchetto di cellophane contenente diversi oggetti, lo incastrò nel tubo di scarico e rimise a posto il coperchio. Seminando prove indiziarie non si doveva essere né troppo banali né troppo ottusi. Il suo specchietto per allodole doveva essere perfetto.

Sgattaiolò fuori, attraversò il giardino posteriore e si diresse verso il punto in cui aveva posteggiato la sua Volkswagen a diversi isolati di distanza. Si levò il cappuccio nero, mise in moto e partì. Poi fece una cosa che non aveva mai fatto. Tornò indietro in auto e andò a fermarsi proprio davanti alla casa in cui aveva appena commesso il delitto forse più atroce di tutti. La madre assassinata era nella sua camera da letto. Tommy era nella sua: la terza finestra dell’abbaino da sinistra. I bambini si svegliavano alle sette per prepararsi per andare a scuola. Se la loro mamma non si fosse alzata per quell’ora, sarebbero scesi loro a cercarla. Controllò l’orologio: adesso era l’una. A Tommy restavano forse altre sei ore di normalità. «Goditele tutte, Tommy» mormorò rivolto alla finestra buia. «Goditele… e scusami.»

Ripartì, leccando con la punta della lingua il sale delle lacrime che gli scendevano sulle guance.

82

Quando Todd Williams telefonò a Michelle con la notizia della morte di Jean Robinson, King era già partito con un’auto a noleggio. E quando Michelle arrivò sul posto, la casa era circondata di auto e veicoli della polizia e del pronto soccorso. I vicini guardavano terrorizzati dalle finestre e dai porticati. Non si vedeva in giro nessun bambino. I tre piccoli Robinson erano andati a casa di parenti a pochi isolati di distanza con il padre.

Michelle trovò Williams, Sylvia e Bailey nella camera matrimoniale; tutti e tre fissavano ammutoliti l’ex padrona di casa.

Michelle trasalì e si ritrasse leggermente non appena vide ciò che era stato fatto alla donna.

Sylvia la guardò negli occhi e annuì con aria comprensiva. «Stimmate.»

Le palme delle mani e le piante dei piedi di Jean Robinson erano state incise in modo da assomigliare ai segni dei chiodi di Gesù. E anche il suo corpo era stato disteso come quello del figlio di Dio sulla croce.

Bailey osservò stancamente: «Bobby Joe Lucas. Fece la stessa cosa a quattordici donne nel Kansas e nel Missouri nei primi anni Settanta, dopo averle violentate».