«Considera la cosa dal punto di vista di Harry. La donna che amava da una vita era sposata con un mostro. Rammenta che la sera in cui Bobby morì lui era all’ospedale. Ci ha detto che l’ospedale lo aveva chiamato perché è il loro consulente legale.»
«Vuoi dire che non lo è?»
«No, lo è, ma non l’avevano chiamato. Ci è andato di sua iniziativa. Ha fatto in modo di incontrarci mentre uscivamo. Ci ha detto che era un vecchio amico di Bobby. Ci ha chiesto se avevamo visto Remmy. Tutte cose per allontanare qualsiasi sospetto potessimo nutrire su di lui.»
«E la sera in cui Battle fu assassinato?»
«Remmy lasciò l’ospedale intorno alle dieci. Fece un segnale a Harry, che aspettava nel parcheggio probabilmente camuffato da dottore con camice bianco, cuffietta e mascherina. È il consulente legale dell’ospedale. Conosce bene gli orari dei turni e ciò che avviene durante i cambi. È entrato, ha manomesso la telecamera di sorveglianza a circuito chiuso, ha iniettato la sostanza nella sacca della flebo, ha lasciato i falsi indizi e se l’è filata.»
«Ma la presenza di Remmy fino all’ultimo momento la incrimina. Perché avrebbero agito in questo modo? Perché avere Remmy da qualche parte là vicino?»
«Perché hanno piazzato la prova che era opera del serial killer. Ho controllato: Remmy era già ricca di famiglia, anche se Bobby non le avesse lasciato ogni proprietà con il testamento. Perciò cadeva il suo movente. E proprio perché Remmy si trovava là la gente avrebbe creduto che potesse essere stata vittima di un tranello per incastrarla. All’inizio avrebbero anche potuto sospettare di lei, ma con il passar del tempo tutti avrebbero adottato il tuo stesso ragionamento: se fosse veramente stata lei, in nessun caso si sarebbe fatta trovare vicino a quella stanza la sera in cui suo marito morì.»
«E che intenzioni avranno avuto lei e Harry? Aspettare un po’ e poi convolare a nozze?»
«No, sospetto che dopo un discreto intervallo Remmy si sarebbe trasferita altrove. Poi anche Harry avrebbe fatto la stessa cosa. La tappa successiva? Forse un’isola privata in Grecia.»
Michelle inspirò a fondo ed espirò lentamente. «E adesso che facciamo?»
«Andremo a cena con Remmy e Harry.»
«Cosa? Stai scherzando?»
«No, andremo a cena a casa di Harry.» King si sporse in avanti. «Michelle, hanno commesso un errore, uno sbaglio minimo, ma è bastato. Usando un apparecchio di sorveglianza che ho comprato a Washington, mi sono procurato le prove che mi servivano.»
«Todd o Bailey sono al corrente di tutto questo?»
«No, solo io e te. Non approverò mai ciò che Harry e Remmy hanno fatto, ma ritengo che meritino un trattamento il più dignitoso possibile.»
«Quando?» domandò Michelle.
«Domani sera alle sette. Harry è fuori città fino a domani pomeriggio. Saremo solo noi quattro. Non appena capiranno che sappiamo la verità e abbiamo le prove, sono certo che confesseranno e ci seguiranno senza opporre resistenza. Poi li affideremo a Todd.»
«Ho una brutta sensazione a questo riguardo, Sean. Una sensazione veramente brutta.»
«Pensi che a me faccia piacere? Harry è stato a lungo giudice della Corte suprema della Virginia. Per anni è stato uno dei miei più cari amici.»
«Lo so, ma…»
«Per quanto Harry ti sia simpatico, devi mettere da parte questi scrupoli. Bobby Battle era per tanti versi un uomo orribile. Ho anche scoperto che soffriva di una malattia cronica che potrebbe aver trasmesso a Remmy.»
«Oh mio Dio!»
«Ma ciononostante» proseguì King «non meritava di essere assassinato.» La scrutò negli occhi e concluse in tono pacato: «Ecco, ti ho detto tutto quel che so». Una breve pausa, poi: «Sei con me o no, Michelle?».
«Sono con te» rispose lei con calma.
86
King aveva chiesto a Harry di concedere a Calpurnia la serata libera per poter cucinare personalmente per loro quattro.
«Hai una cucina che sembra una reggia, Harry» proclamò King mentre serviva in tavola aiutato da Michelle. «Apprezzo molto che tu mi abbia permesso di venire presto per preparare tutto quanto.»
Harry esaminò gli elaborati manicaretti preparati con estrema cura da King. «Veramente, Sean, sarei portato a credere che in quanto a organizzazione avrei fatto meglio di te.»
Harry indossava uno dei suoi completi più belli, anche se in effetti sembrava un po’ troppo attillato. «Il mio peso non è cambiato da quarant’anni a questa parte, ma la sua distribuzione sì» spiegò in un finto tono depresso.
«Dici bene» osservò Remmy, a sua volta vestita con estrema eleganza. Lei e Harry erano seduti fianco a fianco di fronte a Sean e Michelle nella spaziosa sala da pranzo.
«Spero solo vivamente che il vostro ritorno a casa sia meno movimentato dell’ultima volta che avete cenato con me.»
«A dire il vero sono convinto che questa serata potrebbe comportare delle sorprese uniche» disse King in modo vago mentre iniziava a servire la cena. Michelle nel frattempo lo assisteva con espressione assente.
«Michelle, mia cara, cosa c’è?» chiese Harry.
La giovane si affrettò a tranquillizzarlo. «Niente, è solo che non mi sento tanto bene. Probabilmente è un lieve disturbo primaverile.»
La cena trascorse serenamente. Finirono il dessert e poi si trasferirono in biblioteca per il caffè. La sera si era fatta fredda, e il fuoco nel caminetto era un sollievo. King andò a osservare da vicino un enorme paravento di legno e stagno inciso a stampa, posizionato in diagonale in un angolo del vasto salone.
«È un magnifico pezzo d’antiquariato» disse.
«Del diciottesimo secolo» spiegò Harry. «È stato fatto a mano proprio qui nella nostra proprietà.»
King si mise davanti al fuoco del caminetto. Lanciò una nervosa occhiata a Michelle e poi dichiarò: «Temo di essere stato un po’ disonesto stasera».
Harry e Remmy smisero di chiacchierare e lo fissarono sorpresi.
Remmy esclamò: «Come?».
«Lo scopo della cena in realtà non era la compagnia.»
Harry posò la tazzina di caffè, lanciò occhiate prima a Remmy e poi a Michelle, che era a capo chino e con la mano affondata nella tasca della giacca. «Non capisco, Sean. Intendi forse dire che volevi parlare ancora un po’ del caso?»
«No, in effetti non mi serve più discutere del caso. Penso di sapere tutto quello che mi occorre.»
La coppia continuò a fissarlo sorpresa.
Alla fine Michelle sbottò: «Diglielo, Sean».
Harry le fece eco: «Dirci cosa?».
La mano con cui Remmy reggeva la tazzina e il piattino cominciò a tremare.
Tutti si voltarono. L’uomo dal cappuccio nero era entrato in biblioteca, con la pistola in pugno e il punto rosso del mirino laser proiettato sul cuore di Harry.
King si interpose immediatamente tra l’incappucciato e Harry.
«Adesso basta» disse con calma. «Basta con gli omicidi.»
«Togliti di mezzo o sarai il primo a morire!»
Remmy si alzò dal divano. La pistola fu puntata nella sua direzione. «Seduta!» le intimò l’uomo.
King avanzò di un passo ma si bloccò quando la pistola tornò a puntare nella direzione precedente. «Michelle» disse l’uomo dal cappuccio nero «tira fuori la pistola e posala sul tavolo. Subito! Niente eroismi.»
Michelle obbedì, impugnandola per la canna.
«Non puoi ucciderci tutti» disse King.
«Veramente ci sto pensando, eccome» ribatté l’uomo mentre osservava Remmy.
«Be’, allora immagino che sia arrivato il momento di chiarire la tua intuizione errata» disse King in tono tranquillo. «Remmy e Harry non c’entrano nulla con la morte di Bobby. Era una trappola. Una trappola per farti uscire allo scoperto.» King effettuò una pausa e aggiunse: «Ho trovato la microspia».