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Dopo la grande manifestazione l'attività frenetica non venne mai meno, ma c'erano periodi in cui veniva meno l'energia, in cui "il movimento non si muoveva", come scherzava la dottoressa Yeron. Durante uno di questi periodi andai da lei a proporle di metter su una tipografia per stampare libri. Era da tempo uno dei miei sogni, nato quel giorno ad Hagayot in cui Seugi aveva pianto toccando le sue parole.

«Le parole volano via,» dissi. «Tutte le parole o le immagini nella rete volano via, e chiunque può alterarne la memoria, ma i libri restano. I libri durano. Sono il corpo della storia, come dice il signor Yehedarhed.» «Ci sono gli ispettori,» obiettò la dottoressa Yeron. «Finché non otterremo l'emendamento della Costituzione sulla libertà di stampa, i Capi non permetteranno a nessuno di pubblicare qualcosa che non sia stato scritto sotto loro dettatura.»

Non volevo rinunciare all'idea. Sapevo che nella regione di Yotebber non avremmo potuto pubblicare niente di politico, ma feci presente che avremmo potuto pubblicare racconti e poesie di donne della regione. Altri sostennero che sarebbe stato uno spreco di tempo. Discutemmo a lungo sull'argomento sviscerandone ogni aspetto. Il signor Yehedarhed rientrò da un viaggio all'ambasciata, lassù a nord, nella Vecchia Capitale. Stette ad ascoltare le nostre discussioni, ma non si pronunciò, il che mi deluse. Avevo contato sul suo appoggio al mio progetto.

Un giorno stavo rientrando da scuola nel mio appartamentino che si trovava in un grande edificio, vecchio e rumoroso, non lontano dal lungofiume. Mi piaceva quel posto perché le mie finestre si aprivano fra i rami degli alberi, e attraverso gli alberi potevo scorgere il fiume, largo sei chilometri in quel punto, che scorreva tranquillo in mezzo a strisce di rena, cespugli acquatici e isolotti coperti di salici nella stagione secca, e sfiorava il limitare degli argini nella stagione umida quando era gonfiato dai temporali. Quel giorno, mentre stavo per arrivare a casa, incontrai il signor Yehedarhed con due delle sue guardie del corpo dalle facce scorbutiche che lo seguivano come di consueto. Mi salutò e mi chiese se potevamo parlare. Imbarazzata, non trovai di meglio che invitarlo a salire di sopra da me.

Le sue guardie rimasero nell'atrio. Io avevo una sola stanza spaziosa al terzo piano. Mi sedetti sul letto e il Vice-Nunzio si accomodò su una sedia. Possidente gli si strofinò ripetutamente contro le gambe, ronfando.

Avevo spesso osservato che il Vice-Nunzio si divertiva a deludere le aspettative del Capo e dei suoi accoliti che avevano una grande passione per la pompa, le parate di macchine, l'esibizione di decorazioni e alte uniformi. Lui e le sue guardie del corpo andavano in giro per tutta la città e per tutta la regione di Yotebber sulla sua macchina governativa oppure a piedi. Alla gente lui piaceva per questo. Sapevano, come avevo saputo anch'io, che era stato assalito, picchiato e lasciato esanime per strada da un commando del Partito Mondiale il suo primo giorno qui, mentre passeggiava da solo. I cittadini apprezzavano il suo coraggio e la sua disponibilità a intrattenersi con chiunque e dovunque. Lo avevano adottato. Noi del Movimento di Liberazione lo consideravamo il "nostro Nunzio", ma lo era in realtà degli altri, e anche del Capo. Il Capo poteva essere forse infastidito dalla sua popolarità, ma ne approfittava.

«Così ha intenzione di fondare una casa editrice,» esordì, carezzando Possidente che si era sdraiato zampe all'aria.

«La dottoressa Yeron dice che è del tutto inutile finché non avremo ottenuto gli Emendamenti.»

«Esiste una stampa qui su Yeowe che non è direttamente controllata dal governo,» continuò il signor Yehedarhed accarezzando il pancino di Possidente.

«Stia attento, che la morde,» dissi. «E quale sarebbe?»

«Quella dell'università. Eccoci!» esclamò il signor Yehedarhed guardandosi il pollice. Presentai le mie scuse. Mi domandò se ero sicura che Possidente fosse maschio. Risposi che così mi era stato detto, ma che non mi ero mai presa la briga di controllare. «Ho l'impressione che il suo Possidente sia in realtà una signora,» disse il signor Yehedarhed in un tono tale da farmi sbellicare dalle risate.

Rise anche lui con me, si succhiò il sangue dal pollice e proseguì. «L'università non ha mai contato molto. Era un espediente delle Corporazioni per dare agli schiavi l'illusione di accedere agli studi superiori. Durante gli ultimi anni della guerra era stata chiusa. Dal Giorno della Liberazione è stata riaperta ed è andata avanti alla bell'e meglio senza che nessuno ci facesse molto caso. Le facoltà sono per lo più antiquate. È tornata in auge dopo la guerra. Il Governo Nazionale le dà un contributo per poter dire di avere un'università di Yeowe, ma non le dà importanza in quanto non ha alcun prestigio. E i suoi membri non brillano certo per la genialità,» Lo disse non con tono di disprezzo, ma semplicemente descrittivo. «Però dispongono di una tipografia.»

«Lo so,» dissi. Tesi una mano verso il mio vecchio libro e glielo mostrai.

Lo sfogliò per qualche minuto. Il suo viso assunse un'espressione quasi di tenerezza. Non potevo fare a meno di guardarlo. Era come guardare una donna con un bambino, un gioco costante e mutevole di richiami e di risposte.

«Pieno di propaganda, di errori e di speranza,» decretò alla fine, e anche la sua voce tradiva tenerezza. «Credo che partendo da qui si possa andare oltre. Non è d'accordo? Non manca che un editore. E degli autori.»

«Ci sono gli ispettori,» feci presente, imitando la dottoressa Yeron.

«La libertà accademica è un campo in cui l'Ekumene può facilmente esercitare la sua influenza,» disse, «per il fatto che invitiamo persone a frequentare le Scuole Ecumeniche su Hain e su Ve. È ovvio che intenderemmo invitare anche laureati dell'Università di Yeowe. Ma naturalmente, se il loro livello di istruzione è troppo basso a causa della mancanza di libri, di informazione…»

«Signor Yehedarhed, ha intenzione di sovvertire i programmi del governo?» La domanda mi era scappata senza riflettere.

Lui non rise. Esitò prima di rispondere. «Non saprei,» disse. «Finora ho avuto l'appoggio dell'ambasciatore. Forse subiremo entrambi dei richiami. O saremo licenziati. Quello che vorrei è…»

I suoi strani occhi erano di nuovo puntati su di me. Li abbassò sul libro che teneva ancora in mano. «Quello che vorrei è diventare cittadino di Yeowe,» disse. «Ma la mia utilità per Yeowe e per il Movimento di Liberazione risiede nella mia posizione presso l'Ekumene. Quindi continuerò a usarla, o ad abusarne, finché non mi obbligheranno a fermarmi.»

Quando se ne andò riflettei su quel che mi aveva appena chiesto di fare. Entrare all'università come insegnante di storia, e una volta entrata offrirmi volontaria per la gestione della tipografia. Mi sembrava così assurdo, per una donna col mio passato e della mia scarsa cultura, che pensai di aver capito male. Quando mi confermò cheavevo capito benissimo, pensai che doveva aver equivocato lui sulla mia persona e sulle mie capacità. Dopo averne discusso per un po' andò via, evidentemente con la sensazione di avermi messo a disagio, e forse sentendosi a disagio lui stesso, nonostante che in effetti avessimo riso molto e io non mi fossi sentita affatto a disagio, ma solo in una situazione un po' irreale.

Cercai di riflettere su quel che mi aveva chiesto di fare, un balzo in avanti così ai di là delle mie forze. Mi riusciva difficile anche solo pensarci. Era come qualcosa che mi pendeva sul capo, quest'ardua scelta che dovevo compiere, questo futuro che non riuscivo neanche a immaginare. Il mio pensiero era invece concentrato su di lui, su Yehedarhed Havzhiva. Lo rivedevo seduto sulla mia vecchia sedia, chino ad accarezzare Possidente. Nell'atto di succhiarsi il sangue dal pollice. Di ridere. Di guardarmi coi suoi occhi dagli angoli bianchi. Vedevo il suo viso rosso-bruno e le sue mani rosso-brune, del colore della terracotta. Riascoltavo mentalmente la sua voce sommessa.

Presi il gattino, ormai abbastanza grandicello, e lo esaminai tra le zampe posteriori. Non c'era traccia di attributi maschili. Il suo corpicino serico mi si divincolava tra le mani. Pensai a lui mentre mi diceva, "Il suo Possidente è una signora" e mi venne di nuovo da ridere, e da piangere. Carezzai la gattina e la misi giù, e lei mi si accoccolò accanto, mettendosi a leccarsi la schiena. «Oh, povera piccola signora!» dissi. Senza sapere a chi mi riferivo. Alla gattina, o alla signora Tazeu, oppure a me stessa.