Tenendomi il più lontano possibile, mi protesi ad afferrare la stoffa e la strappai via. Il mio cuore mortale batteva frenetico; quasi persi l’equilibrio mentre mi allontanavo di qualche metro dal baule. Ma il corpo che vi giaceva, ben visibile, con le ginocchia piegate proprio come mi ero immaginato, e le braccia raccolte intorno alle ginocchia, non si mosse.
Il volto bruciato dal sole era immobile come quello di un manichino, con gli occhi chiusi e il profilo familiare che spiccava contro la funerea imbottitura sottostante. Il mio profilo. I miei occhi. Il mio corpo in un abito da sera nero, quello da vampiro si potrebbe dire, con lo sparato bianco e la lucida cravatta nera al collo. I miei capelli, sciolti, folti e dorati nella luce soffusa.
II mio corpo!
E io lì, in un tremante guscio mortale, con quella pezza di seta nera che pendeva come la cappa di un matador dalla mia mano tremante.
«Sbrigati!» sussurrò David.
Proprio mentre le sillabe gli uscivano dalle labbra, vidi che, all’interno del baule, un braccio piegato iniziava a muoversi. Il gomito si tese. La mano cominciò ad allentare la presa sul ginocchio piegato. Subito buttai la stoffa sul corpo, guardandola ricadere e prendere lo stesso aspetto informe di prima. E, con un rapido gesto della sinistra, abbassai il coperchio, che cadde con un rumore sordo.
Grazie a Dio il tessuto all’esterno non rimase preso in mezzo ma tornò al suo posto, coprendo il chiavistello sganciato. Mi allontanai dal baule, in preda a un vago senso di nausea per la paura e la sorpresa, e sentii la pressione rassicurante della mano di David sul mio braccio.
Rimanemmo lì insieme, in silenzio, per un lungo momento, finché non fummo sicuri che quel corpo soprannaturale avesse ricominciato a dormire.
Alla fine mi ero riavuto a sufficienza da dare un’occhiata in giro con calma. Stavo ancora tremando, ma ero anche molto eccitato per il compito che mi attendeva.
Pur con quegli spessi strati di materiali sintetici, l’alloggio era sontuoso da ogni punto di vista. Rappresentava il genere di lusso che pochissimi mortali riescono a permettersi. Come gli doveva piacere. Ah, tutti quei bei vestiti da sera… Smoking di velluto nero insieme con altri abiti in stile più casual, e perfino un mantello da sera: anche quello, si era concesso. Sul fondo dell’armadio c’erano schiere di scarpe lucide e, in bella mostra sul bar, liquori a volontà.
Attirava lì le donne con la proposta di un cocktail, quando si godeva la sua bevutina?
Guardai la lunga vetrata, ben visibile per via della striscia di luce sul bordo superiore e inferiore delle tende. Solo allora mi resi conto che la camera dava a sud-est.
David mi strinse il braccio. Non era venuto il momento di andarsene?
Lasciammo subito il ponte. Non incontrammo neppure il cameriere. David aveva la chiave nella tasca interna.
Scendemmo fino al Ponte Cinque, l’ultimo ponte con le cabine, anche se non l’ultimo della nave. Trovammo lì la piccola cabina interna del sedicente signor Eric Sampson: lì un altro baule attendeva di essere occupato dal corpo che in quel momento stava di sopra… non appena quel corpo fosse di nuovo appartenuto a me.
Si trattava di un piccolo ambiente, grazioso e senza finestre. Aveva un normale chiavistello… ma dov’erano gli altri, quelli che Jake aveva portato a bordo su nostra richiesta?
Risultarono troppo macchinosi per i nostri scopi. Compresi tuttavia che la porta poteva essere resa praticamente invalicabile se le avessi spinto contro il baule. Ciò avrebbe tenuto fuori sia un cameriere rompiscatole sia James, ammesso che riuscisse ad andarsene in giro dopo lo scambio. In realtà, se avessi incastrato il baule tra la porta e l’estremità della cuccetta, nessuno avrebbe potuto muovere la porta stessa. Eccellente. Così quella parte del piano era completata.
Ora bisognava decidere un percorso dalla Queen Victoria Suite a quel ponte. Dal momento che c’erano grafici della nave appesi per ogni dove, non fu difficile.
Mi resi conto in fretta che la Scala A era la migliore via interna. In effetti era forse l’unica scala che andasse direttamente dal ponte sotto di noi fino al Ponte Cinque senza interruzioni. Non appena arrivammo ai piedi di quella scala, compresi che sarebbe stato uno scherzo per me lasciarmi cadere dal suo punto più alto attraverso il pozzo formato dalle ringhiere. Non mi rimaneva che salire la scala fino al Ponte Sport e capire come arrivarci dal nostro ponte.
«Ah, questo lo lascio fare a te, mio caro giovanotto», disse David. «Io prendo l’ascensore per arrivare in cima a quelle otto rampe.»
Quando c’incontrammo di nuovo nella tranquilla luce del Queens Grill Lounge, avevo pianificato ogni passo. Ordinammo un paio di gin tonic, una bevanda che trovavo abbastanza sopportabile, e rivedemmo l’intero schema fin nei minimi dettagli.
Ci saremmo nascosti durante la notte, finché James non si fosse ritirato a causa dell’avvicinarsi del giorno. Se fosse rientrato presto, avremmo atteso il momento giusto prima di fare la nostra mossa: sollevare il coperchio del baule.
David avrebbe tenuto la Smith Wesson puntata su di lui, mentre entrambi avremmo cercato di sbalzare ù suo spirito fuori del corpo. A quel punto, io mi ci sarei precipitato dentro. Il tempismo era cruciale. Avrebbe percepito il pericolo della luce del sole, comprendendo inoltre di non poter rimanere in quel corpo di vampiro. Ma non doveva avere l’opportunità di fare del male a nessuno di noi due.
Se la prima aggressione fosse fallita e ne fosse seguito uno scontro, gli avremmo chiarito la vulnerabilità della sua posizione. Se avesse cercato di distruggere me o David, le inevitabili grida avrebbero richiamato all’istante una marea di persone. E un eventuale cadavere sarebbe rimasto lì, nella sua cabina. Senza contare che lui non poteva davvero rifugiarsi da nessuna parte. Era molto improbabile che sapesse quanto a lungo poteva rimanere cosciente, una volta che il sole fosse sorto. In realtà ero certo che non si era mai spinto fino al limite, come io avevo fatto molte volte.
A quel punto, lui sarebbe stato così confuso che un secondo attacco avrebbe avuto successo, senza dubbio. E mentre David teneva il grosso revolver puntato sul corpo mortale di James, io sarei scattato con velocità soprannaturale lungo il corridoio del Ponte Segnalazioni, scendendo la scala interna fino al ponte sottostante; avrei quindi attraversato il ponte di corsa, uscendo prima in uno stretto corridoio ed entrando poi in quello più ampio dietro il Queens Grill Lounge. Lì avrei trovato la sommità della Scala A, sarei sceso di otto piani fino al Ponte Cinque; mi sarei quindi precipitato nel corridoio, entrando nella piccola cabina interna, e avrei chiuso a chiave la porta. Infine, una volta messo il baule tra il letto e la porta, ci sarei andato dentro, abbassando il coperchio.
Se anche avessi incontrato un’orda di goffi mortali sulla mia strada non avrei impiegato più di pochi secondi a compiere quel percorso, e per quasi tutto il tempo sarei stato nella parte interna della nave, dunque protetto dalla luce del sole.
James, di nuovo nel suo corpo mortale e senza dubbio furioso, non avrebbe potuto capire dove mi ero diretto. Anche se avesse sopraffatto David, non era concepibile che potesse localizzare la mia cabina senza una ricerca sistematica, ricerca che di certo andava oltre le sue possibilità. E David gli avrebbe aizzato contro gli addetti alla sicurezza, accusandolo di sordidi crimini di ogni genere.
David, inoltre, non aveva la minima intenzione di farsi sopraffare. Avrebbe tenuto la Smith Wesson puntata su James finché la nave non fosse attraccata a Barbados, quando avrebbe scortato l’uomo alla passerella, invitandolo a sbarcare. A quel punto, David sarebbe rimasto di guardia, per assicurarsi che James non tornasse a bordo. Al tramonto io sarei uscito dal baule e avrei raggiunto David, e ci saremmo goduti la notte di viaggio fino al porto successivo.