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David sedeva nella poltrona verde pallido, bevendo quel che rimaneva del suo gin tonic e valutando il piano. «Naturalmente ti rendi conto che non posso giustiziare quel piccolo demone», disse. «Con o senza pistola.»

«Be’, non puoi farlo qui a bordo, questo è certo», ammisi. «Si sentirebbe lo sparo.»

«E se lui se ne accorgesse? Se cercasse di prendere la pistola?»

«Allora si ritroverebbe con lo stesso problema. Di sicuro è abbastanza sveglio da capirlo.»

«Gli sparerò, se ci sarò costretto. È questo il pensiero che potrà leggere nella mia mente con tutta la sua abilità telepatica. Lo farò, se ci sarò costretto. Poi formulerò le accuse del caso. Stava cercando di svaligiare la tua cabina e io stavo aspettando te, quando lui è entrato.»

«Senti, e se facessimo lo scambio prima del sorgere del sole con un margine tale da permettermi di scaraventarlo oltre il parapetto?»

«Non funzionerebbe. Ci sono ufficiali e passeggeri ovunque. Qualcuno lo vedrebbe di sicuro… Si alzerebbero grida di ‘uomo in mare’ e scoppierebbe il caos.»

«Va da sé che gli stritolerei il cranio.»

«Allora dovrei nascondere il corpo. No, speriamo che si renda conto di essere stato fortunato e si limiti a sbarcare tranquillamente dalla nave. Non voglio essere costretto… Non mi piace l’idea di…»

«Lo so, lo so, ma potresti ficcarlo in quel baule. Nessuno lo troverebbe.»

«Lestat, non voglio spaventarti, ma ci sono ottime ragioni per non ucciderlo! Lui stesso te le ha elencate. Non ricordi? Minaccia quel corpo e lui ne salterà fuori, aggredendoti di nuovo. In realtà non avrebbe altra scelta. E prolungheremmo la battaglia telepatica nel momento peggiore possibile. Non si può escludere che lui ti segua mentre ti dirigi al Ponte Cinque e cerchi di rientrare. Sarebbe stupido a fare così senza un luogo in cui nascondersi. Ma supponi che abbia un secondo nascondiglio. Pensaci.»

«Forse hai ragione.»

«Inoltre non conosciamo la misura del suo potere telepatico», riprese lui. «E dobbiamo ricordarci che sono queste le sue specialità: lo scambio e la possessione! No, non cercare di affogarlo o stritolarlo. Lascialo rientrare in quel corpo mortale. Terrò la pistola puntata su di lui finché non sarai scomparso dalla scena, e io e lui faremo due chiacchiere su quello che ci aspetta.»

«Capisco.»

«Se poi dovrò sparargli, benissimo. Lo farò. Lo metterò nel baule, sperando che nessuno noti il rumore dello sparo. Chissà? Può anche darsi che vada bene.»

«Dio, ti lascerò con quel mostro, te ne rendi conto? David, perché non lo aggrediamo non appena tramonta il sole?»

«No. Assolutamente no. Significherebbe una battaglia telepatica senza esclusione di colpi. E lui può tenere quel corpo abbastanza a lungo da volare via e lasciarci a bordo di questa nave, che sarà in mare per tutta la notte. Lestat, ho riflettuto su tutto. Ogni aspetto del piano è cruciale. Vogliamo coglierlo nel momento di massima debolezza, appena prima dell’alba, con la nave in procinto di attraccare: in tal modo, una volta che lui si trovi nel corpo mortale, potremmo costringerlo a scendere a terra con le buone. Devi fidarti di me: so come trattare questo tizio. Non hai idea di come lo disprezzi! Se avessi fiducia in me, forse non ti preoccuperesti affatto.»

«Puoi star certo che, quando lo troverò, lo ucciderò.»

«A maggior ragione sarà disposto a sbarcare. Vorrà avere un po’ di vantaggio. Io gli consiglierò di fare alla svelta.»

«La Caccia Grossa. Mi piacerà. Lo troverò, anche se si nasconderà in un altro corpo. Che gioco delizioso sarà.»

David tacque per un attimo, poi disse: «Lestat, c’è un’altra possibilità, naturalmente…»

«Come? Non capisco.»

Distolse lo sguardo, come se stesse cercando le parole giuste. Poi mi guardò dritto negli occhi. «Sai, potremmo distruggere quella cosa.»

«David, sei impazzito? Anche solo pensarlo è…»

«Lestat, noi due potremmo farcela. Ci sono vari modi per farlo. Prima del tramonto, potremmo distruggere quella cosa, e tu saresti…»

«Non dire altro!» Ero arrabbiato. Ma quando vidi sul suo volto la tristezza, la preoccupazione, l’evidente turbamento, sospirai, mi appoggiai allo schienale e assunsi un tono più dolce.

«David, io sono il vampiro Lestat. Quello è il mio corpo. Noi lo riprenderemo per restituirlo a me.»

Per un momento non rispose, poi annuì enfaticamente e mormorò: «Sì. Giusto».

Ci fu qualche istante di silenzio. Io cominciai a ripensare a ogni singolo aspetto del piano. Quando tornai a guardare David, sembrava anche lui pensieroso, anzi assai concentrato.

«Sai una cosa? Credo che andrà tutto liscio», disse. «Soprattutto se ripenso alla tua descrizione di lui in quel corpo: goffo, non a proprio agio. E non dobbiamo dimenticare quale genere di umano egli sia: la sua età reale, il suo vecchio modus operandi, per così dire. Mmm… Non riuscirà a togliermi quella pistola. Sì, penso che andrà tutto secondo i piani.»

«Anch’io», dissi.

«E tutto considerato… Be’, è l’unica possibilità che abbiamo.»

22

Passammo le due ore successive a esplorare la nave. Era indispensabile che fossimo in grado di nasconderei durante le ore notturne, quando James si sarebbe aggirato per i vari ponti. Per farlo, dovevamo conoscerla, e devo confessare che la mia curiosità riguardo a quell’imbarcazione era assai viva.

Uscimmo dal tranquillo Queens Grill Lounge e tornammo nel corpo principale della nave, passando davanti alle porte di numerose cabine prima di raggiungere la balconata circolare, col suo villaggio di negozi eleganti. Proseguimmo lungo l’ampia rampa di una scala circolare e attraverso una vasta e lucida pista da ballo fino al salone principale, quindi ci spingemmo verso altri bar e saloni poco illuminati, ognuno col pavimento rivestito di moquette, animati da una vibrante musica elettronica. Costeggiammo una piscina coperta, intorno alla quale centinaia di persone stavano pranzando, sedute a grandi tavoli circolari, dopodiché ci spingemmo all’esterno, fino a un’altra piscina, circondata da innumerevoli passeggeri che prendevano il sole sulle sdraio, sonnecchiando o leggendo.

Arrivammo quindi a una piccola biblioteca, piena di frequentatori silenziosi, e a un casinò buio che avrebbe aperto i battenti solo quando la nave avesse lasciato il porto. Vi si trovavano schiere di tetre slot-machine spente e tavoli da blackjack e da roulette.

A un certo punto sbirciammo nel teatro buio e scoprimmo che era enorme, anche se solo quattro o cinque persone stavano guardando il film su uno schermo gigantesco.

Poi c’era un altro salone, e poi un altro ancora, qualcuno con finestre, altri al buio, e un bel ristorantino per passeggeri delle classi intermedie, raggiungibile con una scala a chiocciola. Un terzo ristorante, anch’esso piuttosto bello, serviva i clienti dei ponti inferiori. Scendemmo, passando oltre la cabina che fungeva da mio nascondiglio segreto. E lì trovammo non una, bensì due palestre, con i macchinari per farsi i muscoli e le saune per pulire i pori della pelle coi getti di vapore.

Incontrammo il piccolo ospedale, con gli infermieri nella loro uniforme bianca e piccole stanze intensamente illuminate; a un altro svincolo, c’imbattemmo in una grande sala senza finestre piena di computer davanti ai quali c’erano parecchie persone che lavoravano in silenzio. C’era un salone di bellezza per signore, e uno simile per gli uomini. Vedemmo pure un’agenzia di viaggi e una specie di banca.

Continuavamo a camminare lungo stretti corridoi di cui non riuscivamo quasi a vedere la fine. Muri e soffitti di uno smorto punto di beige si chiudevano intorno a noi. Una moquette di colore orribile lasciava il posto a un’altra moquette ugualmente orribile. Succedeva che i vistosi motivi moderni si scontrassero tra loro con tale violenza che quasi scoppiavo a ridere. Persi il conto delle numerose scale dai bassi gradini rivestiti. Non riuscivo più a distinguere una fila di ascensori dall’altra. Ovunque guardassi c’erano porte di cabine, tutte numerate. I quadri nelle cornici erano scialbi e indistinguibili l’uno dall’altro. Più volte dovetti cercare gli schemi della nave per capire dov’ero stato e dov’ero diretto oppure come sfuggire a un percorso circolare che mi trovavo a percorrere per l’ennesima volta.