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«Lui ti riconoscerebbe all’istante», ribatté, liquidando la cosa come se parlasse a un bambino. Si mise un paio di occhiali scuri. «È improbabile che noti me.»

«D’accordo», dissi, seccato. Ero indignato di dover aspettare lì, mentre lui andava in giro!

Mi abbandonai nella poltrona, bevvi un altro lungo, freddo, antisettico sorso del mio gin tonic, e mi sforzai di vedere, nella fastidiosa oscurità, le numerose giovani coppie che si muovevano sulle luci lampeggianti del pavimento illuminato della pista da ballo. La musica era insopportabilmente alta. Ma il sottile movimento vibratorio della gigantesca nave era delizioso. Stava già navigando a tutta velocità. Guardando all’estrema sinistra di quel pozzo d’oscurità innaturale, al di fuori di una delle tante vetrate, vedevo scorrere il ciclo pieno di nuvole, ancora chiaro nella luce della prima sera.

Una nave possente, pensai. Quello dovevo ammetterlo. Pur con tutte le sue lucine pacchiane e le sue orribili moquette, i suoi soffitti oppressivamente bassi e le banali sale comuni, era davvero una nave possente.

Stavo riflettendo, cercando di non impazzire per il nervosismo, tentando di vedere la cosa dal punto di vista di James, quando fui distratto dalla comparsa, in lontananza, di un giovane biondo e straordinariamente bello. Era tutto vestito da sera, fatta eccezione per un paio di assurdi occhiali viola, e stavo apprezzando il suo aspetto — com’è tipico mio —, quando, d’un tratto, mi resi conto con orrore che… stavo osservando me stesso.

Era James, in smoking e camicia inamidata, che scrutava l’ambiente da dietro le lenti alla moda e si stava avvicinando alla sala.

La stretta che sentivo al petto era insopportabile. Ogni muscolo del mio corpo prese a contrarsi per l’ansia. Con estrema lentezza, alzai la mano verso la fronte e chinai appena un poco la testa, tornando a guardare a sinistra.

Ma come faceva a non vedermi, con la vista acuta di quegli occhi soprannaturali? L’oscurità non era nulla per lui. Poteva senza dubbio cogliere l’odore della paura che io emanavo, mentre il sudore mi scorreva sotto la camicia.

Ma quel demone non mi aveva visto. Anzi si era sistemato al bar con la schiena rivolta a me, e si era voltato a destra. Potevo scorgere soltanto il profilo del suo zigomo e della mascella. Sembrava del tutto a suo agio, ma mi accorsi ben presto che era solo una posa, quel suo starsene lì seduto, col gomito appoggiato al legno lucido, col ginocchio destro un po’ piegato, col tacco agganciato al poggiapiedi dello sgabello. Muoveva la testa al ritmo di quella musica lenta. Ed emanava un piacevole orgoglio, un sublime senso di appagamento per quello che era e per dov’era.

Trassi un profondo respiro. Lontano, dall’altra parte della sala, vidi l’inconfondibile figura di David fermarsi per un istante sulla porta aperta. Poi la figura si mosse. Grazie a Dio aveva scorto la creatura, che di certo sembrava a tutti normale come lo era sembrata a me, fatta eccezione per la sua bellezza davvero eccessiva e vistosa.

Quando la paura tornò a montare in me, immaginai un lavoro che non avevo, in una città in cui non ero mai stato. Pensai a una fidanzata di nome Barbara, bellissima e irritante, e a una discussione tra noi due che, com’era ovvio, non c’era mai stata. Accatastai nella mia mente immagini del genere e pensai a un milione di altre cose scelte a caso: ai pesci tropicali che un giorno o l’altro avrei tenuto in un piccolo acquario, e se era il caso di andare al teatro per vedere lo spettacolo.

Il mostro non mi prestò nessuna attenzione. In effetti, mi resi conto ben presto che non dedicava attenzione a nessuno. C’era quasi qualcosa di violento nel modo in cui se ne stava seduto lì, col viso rivolto verso l’alto, all’apparenza godendosi quel posticino buio, piuttosto banale e di certo brutto.

Gli piace questo posto, riflettei. Quegli ambienti pubblici rivestiti di plastica e pieni di ciarpame rappresentano, per lui, una sorta di eleganza: si sente eccitato alla semplice idea di essere lì. Non ha nemmeno bisogno di essere notato. Non bada a chi potrebbe fare caso a lui. È un piccolo mondo a sé stante come lo è la nave che viaggia a grande velocità sul mare caldo.

Perfino nella paura, capii d’un tratto che tutto ciò era commovente e tragico. E mi chiesi se anch’io non avessi dato ad altri la stessa impressione di sfibrante fallimento, quando mi trovavo in quella forma. Ero forse apparso altrettanto triste?

Tremando con violenza, sollevai il bicchiere e inghiottii il drink come se fosse una medicina, ritirandomi ancora una volta dietro quelle immagini inventate, mascherando attraverso di esse la mia paura, e perfino canticchiando tra me, seguendo la musica od osservando il gioco delle luci dai colori tenui su quella adorabile capigliatura bionda.

Improvvisamente lui scese dallo sgabello e, girando a sinistra, camminò attraverso l’oscurità del bar, oltrepassandomi senza vedermi, fino alla luce più intensa che circondava la piscina coperta. Teneva il mento sollevato, i suoi passi erano così lenti che sembrava provare dolore nel camminare. Scrutava lo spazio che percorreva volgendo la testa da una parte e dall’altra. Poi, con la stessa prudenza, che denotava più debolezza che forza, spinse la porta di vetro che dava sul ponte esterno e scivolò fuori, nella notte.

Dovevo seguirlo! Non avrei dovuto e lo sapevo, ma mi trovai in piedi prima di potermi fermare, e gli andai dietro, ossessionato da quella facciata di falsa identità. Mi bloccai prima di oltrepassare la porta. Lo vedevo, lontano, all’estremità del ponte, con le braccia appoggiate al parapetto e il vento che soffiava forte tra i suoi capelli. Guardava il ciclo, e ancora una volta mi parve soffuso d’orgoglio e di soddisfazione: forse perché il vento e l’oscurità gli piacevano. Ondeggiava un poco, come un musicista cieco quando suona, come se si godesse ogni secondo trascorso in quel corpo, nuotando nella felicità pura.

Fui attraversato ancora da quello sconcertante senso di familiarità. Ero sembrato anch’io così sciocco e vano a coloro che mi avevano conosciuto e condannato? Oh, misera, misera creatura che, fra tutti i luoghi possibili, hai trascorso la tua vita soprannaturale proprio in questo luogo così dolorosamente artificiale, coi suoi passeggeri vecchi e tristi, nel fasto pacchiano di appartamenti squallidi, isolato dal grande universo pieno di vero splendore che si trova là fuori.

Soltanto dopo un bel po’ di tempo piegò il capo, e fece scorrere le dita lungo il risvolto della giacca. Un gatto che si lecca il pelo non sarebbe potuto sembrare più rilassato. Con quale amore accarezzava quell’irrilevante pezzo di stoffa! Era più indicativo dell’intera tragedia di qualunque altra cosa avesse fatto.

Poi, girando il capo prima da un lato e poi dall’altro, e vedendo sulla sua destra soltanto un paio di passeggeri lontani e rivolti in tutt’altra direzione, s’innalzò all’improvviso dal ponte, scomparendo all’istante!

Era volato via. E io rimasi a tremare al di qua della porta di vetro, guardando quel luogo deserto, col sudore che mi correva lungo il volto e la schiena, e udii David che mi sussurrava qualcosa in un orecchio.

«Vieni, vecchio mio, andiamo a cena al Queens Grill.»

Mi voltai e vidi l’espressione forzata del suo volto. James era ancora abbastanza vicino da sentirci! Abbastanza da udire qualunque cosa insolita senza nemmeno farlo apposta.

«Sì, il Queens Grill», dissi, cercando di non pensare a quello che Jake aveva detto la sera prima, e cioè che il tipo non era ancora comparso in quella sala nemmeno per un solo pasto. «Non ho fame in realtà, ma ci si stanca tanto, vero, a starsene in giro?»

Anche David stava tremando. Ma era anche terribilmente eccitato. «Oh, devo avvertirti che sono tutti in smoking, lassù, ma ci dovranno servire perché siamo appena saliti a bordo», disse in tono affettato, mentre tornavamo indietro attraverso la sala e ci dirigevamo poi verso la scala lì vicino.