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«Non m’importerebbe nemmeno se fossero tutti nudi. Sarà una nottata infernale.»

La famosa sala da pranzo di prima classe era un po’ più tranquilla e civile delle altre sale che avevamo attraversato. Caratterizzata da tappezzerie bianche e superfici nere laccate, era abbastanza piacevole nel suo generoso chiarore. L’arredamento aveva un che di rigido e fragile, come d’altronde tutto a bordo. Non era affatto brutto, comunque, e il cibo, preparato con cura, era buono.

Dopo circa venticinque minuti da quando quell’essere tenebroso era volato via, feci un commento. «Non è in grado di usare un decimo della sua forza! Ne è atterrito.»

«Sì, sono d’accordo. È così spaventato che in effetti si muove come se fosse ubriaco.»

«Già, dici bene. Era a una decina di metri da me, David. E non aveva idea che io ero lì.»

«Lo so, Lestat, credimi, lo so. Mio Dio, ci sono tante cose che non ti ho insegnato. Sono rimasto lì a guardarti, nel terrore che lui potesse tentare qualche trucco, e non ti avevo dato la minima istruzione su come fermarlo.»

«David, se usasse davvero il suo potere, niente potrebbe fermarlo. Ma, come vedi, non sa usarlo. E se mi avesse aggredito, avrei agito d’istinto, perché è questo ciò che mi hai insegnato a fare.»

«Sì, è vero. Si tratta dei trucchi che tu già conoscevi e comprendevi nell’altra forma. Ieri notte ho avuto la sensazione che lo scambio ti riuscisse meglio se dimenticavi di essere un mortale e tornavi a comportarti come quello di un tempo.»

«Forse è così», dissi. «A essere onesto, non lo so. Oh, la vista di lui nel mio corpo…»

«Sstt, consuma il tuo ultimo pasto, e abbassa la voce.»

«II mio ultimo pasto», ridacchiai. «Sarà lui il mio pasto, quando alla fine lo prenderò.» M’interruppi, rendendomi conto con disgusto che stavo parlando della mia stessa carne. Abbassai lo sguardo sulla lunga mano dalla pelle scura che reggeva il coltello d’argento. Provavo qualche attaccamento per quel corpo? No. Volevo il mio corpo vero e non potevo sopportare il pensiero che dovessimo aspettare ancora quasi otto ore prima che esso tornasse a me.

Non lo rivedemmo fin dopo l’una.

Sapevo di dover evitare il piccolo Club Lido, perché era il posto migliore per ballare, cosa che lui amava fare, ed era anche confortevolmente buio. Bazzicai invece nelle zone più ampie, con gli occhiali scuri ben sistemati e i capelli pettinati all’indietro e impomatati con una buona dose di brillantina che un giovane cameriere confuso mi aveva procurato su mia richiesta. Non m’importava di avere un aspetto tanto orribile. Così mi sentivo più anonimo e al sicuro.

Quando lo individuammo, si trovava di nuovo in uno dei corridoi esterni e stava entrando nel casinò. Fu David a seguirlo per sorvegliarlo… ma soprattutto perché non riusciva a resistere.

Volevo ricordargli che non eravamo costretti a pedinare quel mostro. Sarebbe stato sufficiente arrivare nella Queen Victoria Suite al momento opportuno. Il piccolo quotidiano della nave, del quale era già uscita l’edizione della mattina, fissava il sorgere del sole alle sei e ventuno. Risi quando lo vidi, ma d’altra parte non potevo dire una cosa del genere con analoga precisione, no? Be’, per le sei e ventuno sarei stato di nuovo me stesso.

Alla fine, David tornò a sedersi accanto a me e raccolse il giornale che aveva letto alla luce della piccola lampada da tavolo.

«È alla roulette e sta vincendo. Quella bestia sta usando i suoi poteri per vincere! Com’è stupido.»

«Sì, lo dici in continuazione», dissi. «Vogliamo parlare dei nostri film preferiti, adesso? Non ho visto niente con Rutger Hauer di recente. Quel tipo mi manca.»

David ridacchiò. «Sì, quell’attore olandese piace molto anche a me.»

Alle tre e venticinque stavamo ancora discorrendo, quando ci capitò di vedere il bel Jason Hamilton passare di lì un’altra volta. Così lento, così sognante, così condannato. Quando David fece per seguirlo, posai la mia mano sulla sua.

«Non ce n’è bisogno, vecchio mio. Ancora tre ore soltanto. Raccontami la trama di quel vecchio film, Anima e corpo. Te lo ricordi? Era quello sul pugile, e non c’era una battuta sulla tigre di Blake?»

Alle sei e dieci la luce lattiginosa stava già riempiendo il ciclo. Era quello il momento in cui di solito raggiungevo il mio luogo di riposo, e di certo lui era già andato a rifugiarsi nel suo. Lo avremmo trovato dentro il lucido baule nero.

Non lo vedevamo da poco dopo le quattro, quando stava ballando, con lente movenze da ubriaco, con una donna minuta dai capelli grigi, che indossava un grazioso, morbido abito lungo, sulla piccola pista del Club Lido quasi deserto. C’eravamo mantenuti a una certa distanza, fuori del bar, con le spalle contro il muro, ad ascoltare la sua voce. Oh, una voce così «inglese». Poi eravamo scappati.

Il momento si avvicinava. Non saremmo più fuggiti da lui. La lunga notte stava volgendo al termine. Diverse volte mi venne in mente che sarei potuto morire nel giro di pochi minuti, però mai in vita mia un simile pensiero mi aveva impedito di fare qualcosa. Se avessi pensato che qualcosa di male poteva capitare a David, avrei perso del tutto la testa.

David non era mai stato così determinato. Aveva appena preso la grossa pistola argentata dalla cabina sul Ponte Cinque, e la teneva nella tasca del soprabito. Là avevamo lasciato il baule aperto, pronto per me, e sulla porta avevamo appeso il cartello NON DISTURBARE per tener fuori i camerieri. Avevamo anche deciso che non avrei portato con me la piccola pistola nera perché, dopo lo scambio, sarebbe finita nelle mani di James. Abbandonammo la cabina senza chiuderla a chiave. Anzi vi lasciammo le chiavi dentro, perché non potevo rischiare di portare con me nemmeno quelle. Se qualche cameriere zelante avesse chiuso la porta, avrei dovuto aprire la serratura con la mente, il che non sarebbe stato affatto difficile per il vecchio Lestat.

Ciò che invece portavo con me, nella tasca del soprabito, era il falso passaporto di Sheridan Blackwood e denaro sufficiente a quello sciocco per lasciare Barbados e raggiungere qualunque parte del mondo in cui avesse voluto fuggire. La nave stava già entrando nel porto di Barbados. Se Dio voleva, non ci avrebbe messo troppo tempo ad attraccare.

Come avevamo sperato, l’ampio passaggio intensamente illuminato del Ponte Segnalazioni era deserto. Sospettavo che il cameriere si trovasse dietro le tende della cambusa a schiacciare un pisolino.

Procedemmo fino alla porta della Queen Victoria Suite, e David infilò la chiave nella serratura. Fummo subito dentro. Il baule giaceva lì, aperto e vuoto. Le lampade erano accese. Lui non era ancora tornato.

Senza dire una parola, spensi le luci a una a una, poi mi avvicinai alle porte della veranda e tirai le tende. Il ciclo manteneva ancora il colore blu scintillante della notte, ma si faceva sempre più pallido. Una luce delicata e gradevole riempì la stanza. Gli avrebbe fatto bruciare gli occhi quando l’avesse vista, oltre a causargli una vampata di dolore sulla pelle esposta.

Senza dubbio era diretto lì. Doveva esserlo, a meno che non avesse un altro nascondiglio di cui non eravamo a conoscenza.

Tornai alla porta e rimasi sul lato sinistro. Entrando, non mi avrebbe scorto, perché la porta stessa mi avrebbe celato alla sua vista.

David aveva salito i gradini che portavano al soggiorno rialzato, e si era messo con le spalle alla vetrata, rivolgendosi verso la porta della cabina e tenendo la grossa pistola con entrambe le mani.

Improvvisamente udii alcuni passi veloci che si facevano sempre più vicini. Non osai fare un segnale a David, ma capii che anche lui lo sentiva avvicinarsi. La creatura stava quasi correndo. La sua audacia mi sorprese. Poi David sollevò la pistola e la puntò, mentre la chiave entrava nella serratura.

La porta girò verso di me e poi sbatté, mentre James entrava, quasi barcollando. Teneva il braccio alzato per schermare gli occhi dalla luce che entrava dalla vetrata, e lanciò un’imprecazione mezza soffocata, maledicendo i camerieri per non aver chiuso le tende com’era stato detto loro di fare.