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Nel suo solito modo incerto, si girò verso i gradini, poi si fermò. Vide David che teneva la pistola puntata contro di lui.

Fu allora che David gridò: «Ora!»

Lo aggredii con tutto il mio essere. La parte invisibile di me si alzò in volo, uscendo dal mio corpo mortale e, con uno slancio poderoso, si precipitò verso la mia vecchia forma. Fui ributtato indietro all’istante! Tornai nel mio corpo mortale con tale velocità che il corpo stesso, sconfitto, si ritrovò scagliato contro la parete.

«Di nuovo!» urlò David, ma ancora una volta venni respinto con rapidità sconvolgente. Cercai di recuperare il controllo delle mie pesanti membra mortali e di rimettermi in piedi.

Vidi il mio vecchio volto di vampiro incombere su di me, e gli occhi azzurri arrossati e stretti nella luce che diventava sempre più intensa. Ah, conoscevo il dolore che provava! Conoscevo quella confusione. Il sole stava ustionando la pelle morbida, che non era mai guarita del tutto da quella volta nel deserto dei Gobi! Forse le sue membra si stavano già indebolendo per l’inevitabile torpore del giorno che avanzava.

«D’accordo, James, il gioco è finito», disse David con evidente furore. «Usa il tuo astuto cervellino!»

La creatura si voltò come se la voce di David l’avesse riportata bruscamente alla realtà, poi arretrò contro il comodino. Il pesante materiale plastico andò in pezzi con un rumore forte e sgradevole. Lui alzò le braccia per schermare gli occhi. In preda al panico, vide la distruzione che aveva causato, poi cercò di nuovo di guardare David, in piedi con le spalle al sole che stava per sorgere.

«Cosa intendi fare ora?» domandò David. «Dove puoi andare? Dove puoi nasconderti? Facci del male e la cabina sarà perquisita non appena saranno scoperti i corpi. È finita, amico mio. Arrenditi.»

James emise un ruggito profondo. Abbassò la testa come se fosse un toro cieco in procinto di caricare. Vidi le sue mani chiudersi a pugno e un brivido di paura mi attraversò.

«Arrenditi, James», gridò David.

E mentre quell’essere lanciava un’ondata di maledizioni, mi lanciai contro di lui ancora una volta, guidato tanto dal panico quanto dal coraggio e dalla semplice volontà dei mortali. Il primo raggio rovente di sole tagliò l’acqua! Ah, ora o mai più, non posso fallire. Non posso. Entrai in collisione con lui, provando la sensazione di uno shock elettrico paralizzante quando gli passai attraverso. Poi non vidi più nulla. Fui risucchiato da un gigantesco vuoto e caddi sempre più in basso, nell’oscurità, gridando: «Sì, dentro di lui, dentro di me! Nel mio corpo, sì!»

Mi ritrovai a fissare un bagliore di luce dorata.

Il dolore agli occhi era insopportabile. Era il calore dei Gobi. Era la luce grande e definitiva dell’inferno. Ma ce l’avevo fatta! Ero all’interno del mio vero corpo! E quel bagliore era il sole che sorgeva, e che stava scottando il mio meraviglioso, preziosissimo volto soprannaturale e le mie mani.

«David, abbiamo vinto!» urlai, e le parole eruppero a un volume assurdo. Mi rialzai di scatto dal pavimento, nuovamente in possesso di tutta la mia velocità e di tutta la mia fantastica, gloriosa forza. Correndo alla cieca, cercai di raggiungere la porta, cogliendo una fuggevole immagine del mio vecchio corpo mortale che si affannava verso i gradini.

La camera stava esplodendo di calore e di luce quando raggiunsi il passaggio. Non potevo rimanere lì un secondo di più. Fu allora che udii la pistola sparare un colpo con un rumore assordante.

«Che Dio ti aiuti, David», mormorai. Arrivai ai piedi della prima rampa di scale. In quel passaggio interno non giungeva la luce del sole, grazie al ciclo, ma le forti membra a me familiari si stavano già indebolendo. Quando udii il secondo colpo, avevo scavalcato la ringhiera della Scala A, precipitando fino al Ponte Cinque. Piombai sulla moquette e mi misi a correre.

Udii un altro colpo ancora prima di raggiungere la piccola cabina. Ma era così debole! La mano scura e bruciata dal sole che aprì la porta era quasi incapace di girare la maniglia. Di nuovo stavo lottando contro il freddo, proprio come se stessi vagando nella neve di Georgetown. Ma la porta si aprì con uno scatto e io caddi in ginocchio all’interno della cabina.

Con un ultimo slancio di volontà, sbattei la porta, feci scivolare in posizione il baule aperto e ci crollai dentro. Poi afferrai il coperchio. Non provavo più nulla quando lo udii cadere e chiudersi. Giacevo lì immobile, con un sospiro roco che mi sfuggiva dalle labbra.

«Che Dio ti aiuti, David», ripetei. Perché aveva sparato? Perché? E perché tanti colpi da quella pistola grande e potente? Com’era possibile che nessuno ne avesse sentito il rumore?

Ma ormai non c’era potere al mondo che mi avrebbe consentito di aiutarlo. I miei occhi si stavano chiudendo. E poi mi trovai a fluttuare nella profonda oscurità vellutata che non avevo più conosciuto dal tempo di quel fatale incontro a Georgetown. Era passata, era finita. Ero di nuovo il vampiro Lestat, e nient’altro contava. Niente.

Credo che le mie labbra abbiano formato la parola «David» ancora una volta, come se quella fosse una preghiera.

23

Non appena mi svegliai, sentii che David e James non si trovavano sulla nave.

Non sono certo di come facessi a saperlo. Ma lo sapevo.

Dopo avere stiracchiato un po’ i miei abiti ed essermi crogiolato in una vertiginosa felicità, guardandomi allo specchio e flettendo le meravigliose dita delle mani e dei piedi, uscii per assicurarmi che i due non fossero a bordo. Non speravo di trovare James. Ma David… Cos’era successo a David dopo quegli spari?

Tre proiettili avrebbero certamente ucciso James! E tutto ciò era accaduto nella mia cabina. Trovai infatti al sicuro in tasca il mio passaporto col nome di Jason Hamilton. Procedetti così verso il Ponte Segnalazioni, con la massima prudenza.

I camerieri correvano avanti e indietro, impegnati a portare cocktail e a riordinare le camere di coloro che erano già usciti per la serata. Feci ricorso a tutta la mia abilità per spostarmi velocemente lungo il passaggio ed entrare nella Queen Victoria Suite senza essere visto.

Era evidente che la suite era stata riordinata. Il baule nero laccato che James aveva utilizzato come bara era chiuso, con la stoffa distesa a coprire il coperchio. Il comodino danneggiato e spaccato era stato portato via, ma aveva lasciato un segno sulla parete.

Non c’era sangue sulla moquette. Anzi non c’erano segni che quell’orribile lotta avesse avuto luogo. E, attraverso i vetri che davano sulla veranda, vidi che stavamo lasciando il porto di Barbados sotto lo splendido velo brillante del crepuscolo, diretti verso il mare aperto.

Uscii sulla veranda per un momento, soltanto per alzare lo sguardo verso la notte senza limiti e provare ancora una volta la gioia della mia vera visione vampiresca. Sulla lontana costa luccicante scorsi un milione di piccoli dettagli che nessun mortale avrebbe potuto cogliere. Ero così eccitato: provavo la vecchia leggerezza fisica, il senso di agilità e di grazia… Volevo ballare. Sarebbe stato bello ballare il tip-tap prima lungo un lato della nave e poi lungo l’altro, schioccando le dita e cantando.

Ma non c’era tempo per quello. Dovevo scoprire cos’era accaduto a David.

Aperta la porta che dava sul passaggio, agii rapidamente e silenziosamente sulla serratura della cabina di David dall’altra parte del corridoio. Poi, con un breve guizzo di velocità soprannaturale, vi entrai, non visto da coloro che percorrevano il corridoio.

Era sparito tutto. La cabina era stata addirittura disinfettata per un nuovo passeggero. Evidentemente David era stato obbligato a lasciare la nave. Magari si trovava a Barbados! Be’, se fosse stato lì, l’avrei potuto trovare rapidamente.