Ma l’altra cabina, quella appartenuta a me da mortale? Aprii la porta di collegamento senza toccarla, e scoprii che anche quella era stata svuotata e ripulita.
Qual era la prossima mossa? Non volevo rimanere sulla nave più a lungo del necessario, perché sarei stato al centro dell’attenzione non appena mi avessero scoperto: la débàcle aveva avuto luogo nella mia suite.
Udii il passo riconoscibile del cameriere che c’era stato così utile in precedenza, e aprii la porta proprio mentre stava passando. Quando mi vide, apparve molto confuso ed eccitato. Gli feci segno di entrare.
«Oh, signore, la stanno cercando! Credevano che lei avesse lasciato la nave a Barbados! Devo mettermi subito in contatto con la sicurezza.»
«Mi dica cos’è successo», lo sollecitai, scrutandolo dritto negli occhi. Vidi che la forza ammaliatrice faceva effetto su di lui. Si addolcì, abbandonandosi a uno stato di totale fiducia.
All’alba, c’era stato un terribile incidente nella mia cabina. Un anziano signore inglese, che in precedenza aveva dichiarato essere il mio medico, aveva esploso diversi colpi contro un giovane aggressore che, almeno così sosteneva, aveva cercato di ucciderlo. Nessuno dei colpi tuttavia era andato a segno. Anzi nessuno era stato in grado di trovare il giovane aggressore. Sulla base della descrizione fornita dall’anziano signore, si era stabilito che il giovane aveva occupato proprio la cabina in cui ci trovavamo in quel momento, e che era salito a bordo della nave sotto falso nome.
E altrettanto aveva fatto l’anziano signore. In effetti, la confusione sui nomi era una parte non secondaria dell’intera faccenda. Il cameriere non sapeva tutto quello che era successo, tranne che l’anziano signore era stato trattenuto sotto sorveglianza fino a quando non era stato condotto a terra.
II cameriere era perplesso. «Credo che fossero molto sollevati a non averlo più sulla nave… Ma adesso dobbiamo chiamare l’ufficiale della sicurezza, signore. Sono molto preoccupati per lei. E incredibile che non l’abbiano fermata quand’è tornato a bordo, a Barbados. È tutto il giorno che la cercano.»
Non ero affatto certo di volermi sottoporre a un esame accurato da parte dei funzionari della sicurezza, ma non ci fu il tempo di decidere diversamente: due uomini in uniforme bianca apparvero davanti alla porta della Queen Victoria Suite.
Ringraziai il cameriere e mi avvicinai ai due, invitandoli nella suite. Mi spostai nell’ombra, com’ero solito fare durante incontri del genere, pregandoli di perdonarmi se non accendevo le luci. In effetti, la luce che entrava dalle porte della veranda era più che sufficiente, spiegai, considerando le cattive condizioni della mia pelle.
Erano entrambi molto preoccupati e sospettosi, e ancora una volta feci del mio meglio per esercitare su di loro la magia della persuasione.
«Cos’è accaduto al dottor Alexander Stoker?» domandai. «È il mio medico personale, e sono molto preoccupato.»
Era chiaro che il più giovane dei due, un uomo dal volto arrossato e dall’accento irlandese, non credeva a ciò che gli stavo dicendo. Percepiva che qualcosa non andava affatto nei miei modi e in quello che dicevo. La mia unica speranza era confondere quell’individuo, in modo che rimanesse in silenzio.
L’altro, un inglese alto e istruito, era molto più facile da incantare, e cominciò a raccontare tutta la storia senza sotterfugi. Sembrava che il dottor Stoker non fosse il dottor Stoker, bensì un inglese di nome David Talbot, anche se si era rifiutato di spiegare perché avesse utilizzato un nome falso. «Sapete, signore, questo signor Talbot aveva una pistola!» disse l’ufficiale alto, mentre l’altro continuava a fissarmi con un’aria di profonda sfiducia. «Questa organizzazione di Londra, questo Talamasca, o quello che è, si è scusata moltissimo, e si è detta disposta a sistemare le cose. Alla fine, tutto è andato a posto, sia col comandante sia con alcuni dirigenti della Cunard. Non è stata sporta nessuna denuncia nei confronti del signor Talbot, giacché quest’ultimo ha acconsentito a fare i bagagli e a lasciarsi scortare a un aereo che sarebbe partito subito per gli Stati Uniti.»
«Per dove, negli Stati Uniti?»
«Per Miami, signore. Io stesso l’ho accompagnato all’aereo. Ha voluto darmi un messaggio per lei, signore: mi ha chiesto di dirle che vi sareste incontrati a Miami, al Park Central Hotel, quando fosse stato comodo per lei. Mi ha ripetuto il messaggio non so quante volte.»
«Capisco», replicai. «E l’uomo che l’ha aggredito? L’uomo al quale ha sparato con la pistola?»
«Non abbiamo trovato nessuno, signore, anche se quell’uomo era stato visto in precedenza sulla nave da parecchie persone, e in compagnia del signor Talbot… Almeno così sembra. In effetti, quella è proprio la cabina di quel giovane signore, e mi pare che lei fosse là dentro a parlare col cameriere, quando siamo arrivati.»
«Tutta la faccenda è assai enigmatica», dissi nel modo più intimo e confidenziale che potei. «Lei crede che quel giovane dai capelli castani non sia più sulla nave?»
«Ne siamo pressoché certi, signore, anche se è impossibile fare una ricerca a tappeto su un’imbarcazione come questa. Gli effetti personali del giovane erano ancora nella cabina quando l’abbiamo aperta. Abbiamo dovuto farlo, naturalmente: il signor Talbot insisteva nel dire di essere stato aggredito dal giovane e affermava che il giovane viaggiava sotto falso nome! Custodiamo il suo bagaglio, certo. Signore, se lei volesse venire con me nell’ufficio del comandante, credo che potrebbe far luce su…»
Mi affrettai a dichiarare di non sapere nulla di tutto quello. Nel periodo in questione non mi trovavo nella cabina. Ero sceso a terra, a Grenada, senza nemmeno sapere che quei due stavano salendo a bordo. Ed ero sbarcato quella mattina a Barbados per un giro turistico senza nemmeno sapere che quell’incidente aveva avuto luogo.
Ma tutte quelle chiacchiere non erano che una maschera, una componente della strategia di persuasione che continuavo a esercitare su entrambi. Chiesi ai due di andarsene, così che potessi cambiarmi d’abito e riposarmi un po’.
Quando chiusi la porta dietro di loro, sapevo che erano diretti agli alloggi del comandante e che, tra pochi minuti, sarebbero tornati. In realtà non aveva importanza. David era in salvo, aveva lasciato la nave e aveva proseguito il suo viaggio per Miami, dove ci saremmo incontrati. Era tutto ciò che volevo sapere. Grazie a Dio aveva trovato subito un volo in partenza da Barbados. E chissà dov’era finito James.
Quanto al signor Jason Hamilton, di cui avevo il passaporto in tasca, aveva ancora nella suite un armadio pieno di abiti: intendevo subito utilizzarne qualcuno. Mi tolsi lo smoking spiegazzato e il resto degli abiti eleganti, e trovai una camicia di cotone, una dignitosa giacca di lino e un paio di pantaloni. Tutto era confezionato su misura per il mio corpo. Perfino le scarpe di corda calzavano a pennello.
Presi con me il passaporto e una consistente somma in dollari americani che avevo trovato negli abiti.
Poi uscii sulla veranda e rimasi fermo nella dolce brezza carezzevole, muovendo lo sguardo come in sogno sul blu profondo e luminoso del mare.
La Queen Elizabeth 2 procedeva rombando alla sua celebrata andatura di ventotto nodi, mentre le brillanti onde traslucide s’infrangevano contro la sua prora possente. L’isola di Barbados era scomparsa alla vista. Alzai lo sguardo verso il fumaiolo nero che sembrava, nella sua immensità, proprio il camino dell’inferno. Era una vista splendida, quella del denso fumo grigio che ne usciva con uno sbuffo, formando poi un arco che scendeva all’indietro, proprio fino all’acqua, sotto le continue raffiche di vento.
Tornai a guardare l’orizzonte. Il mondo appariva soffuso di un’incantevole luce azzurra. Al di là di una foschia sottile che i mortali non avrebbero potuto neppure intravedere, scorsi le delicate costellazioni scintillanti e i pianeti luminosi transitare con estrema lentezza. Mi stiracchiai, apprezzando la sensazione che mi trasmettevano le membra e i dolci brividi che mi scendevano lungo le spalle e la schiena. Scossi il capo, godendo della sensazione dei capelli sul collo, poi appoggiai le braccia sulla ringhiera.